Il 16 dicembre 1857 a Maratea.

 

NellÕepoca dei media ci sembra impossibile che un evento, lieto o tragico che sia, possa venire dimenticato. Eppure, oltre il naturale oblio del passato, anche lÕeconomia dei media obbliga, a un certo punto, a tralasciare il ricordo anche di ricorrenze che, magari, hanno segnato unÕepoca.

Il 16 dicembre 1857 tutta la Basilicata fu scossa da un violentissimo terremoto. Distrusse quasi del tutto il paese di Montemurro e uccise oltre 11mila persone.

ĒIl giorno del 16 dicembre 1857 fu Š ci racconta Giacomo Racioppi (1827-1908), che ne fu testimone Š quali i suoi precedenti dello stesso mese, sereno e tiepidissimo. A mezzo il corso del d“ il cielo si vel˜ di quei sparsi bioccoli di nuvole, che paiono ordinate serie di vellosi tosoni, promettitrici di pioggia al cultore dei campi; ma il sole sereno si volse allÕoccaso, e una tiepida notte sorvenne. E giˆ tutti a giacere, secondo il costume della provincia, quando poco oltre a 5 ore della notte una prima e violenta scossa ci sbalza esterrefatti dal letto; e nel cieco spavento dei brancolanti nel buio a covrirsi di un cencio, ad accendere un lume, una seconda, feroce, fischiante e prolungata per 30 secondi, accese il cielo a sanguigne fiamme, commosse a sbalzo la terra, agir˜ lÕaere a fremito. La terra convulsa si dibatte; e le mura si schiantano, i tetti si sfondano, i palchi ruinano, le imposte si convellono, precipitano le mura e si proiettano dÕimpeto lontano: spavento, ululato, orrore, cui il bujo della notte accresce, e il rombo dellÕaere e il fremito della terra rispondono. Fuggono nude e lacere le genti; altri chiama a soccorso, altri a raccolta, si urtano nel buio, e nuove ruine precipitanti allÕassiduo scrollar della terra ricoprono in un cupo fragore grida, gemite e vite. La potenza di unÕarcana forza slancia ad incredibile distanza le mura spezzate; un edifizio si compenetra nellÕaltro; imposte, usciali, battenti si spalancano di forza, o strappate dai cardini e slanciate come schegge volano di via in via, di camera in camera. Cos“ uomini e cadaveri, animali e suppellettili, ingenti sassi e gravi mobiglie spinte a ignoto segno da arcano impeto, quindi rinvenuti vivi, o sfracellati, o malconci, o scomposti tra le macerie di lontani edifizii. I sopravviventi al feral gioco non sanno ridere nel loro smarrimento in che guisa balzarono portati a s“ grande distanza: alcuno paragon˜ lo scroscio degli edifizii proiettati lontano al fremente strepito di dieci locomotive sfrenate; altri al rombo dellÕuragano, che assorda, accieca, annichila; tutti ˆn s“ poca chiarezza di quel che avvenne nel supremo istante della cosmica crise, che non  dato ridire quel che provarono e sentirono.

Intanto allo scorscio delle fabbriche ruinanti  successo un ululato di spavento e di preghiera. Gli avanzi di tanto naufragio riparano nel loro smarrimento alle ample piazze, o allÕorlo escremento delle estreme ruine: si accendono fuochi; ed altri fuochi rispondenti allÕestremo orizzonte, lˆ dove il sole oriente salute al d“ ville e paesi, annunziano che lÕira divina ci lampeggia dÕintorno e da lungi. Cori di preghiera e grida di angoscia, devote salmodie, ed urli di terrore echeggiano di lato in lato e si confondono in un gemito supremo: chi domanda un soccorso che nessuno pu˜ dargli; altri invoca Dio e la gran Vergine; e si riannodano a coro preghiere, che a un tratto il cupo fremito della terra interrompe e mescola a grida di spavento e a un furioso picchiar di petti. Cos“, e tra ineffabili ambasce, passa la feral notte del 16, limpidissima, mite, anzi tepidissima; senza un lieve aliare di vento; giocondamente adorna, quasi scherzo intempestivo, di filanti stelle a centinia; e cui solo rendea ferale il rombo, che di tratto in tratto rompea lÕaere in alto, e il fremito della terra scotentesi di sotto ai piedi. Venti e pi volte fu avvertito il fero sommovimento fino allÕalba del 17.Č

Le notizie pi affidabili sui fanno recati dalla scossa a Maratea si trovano nei fondi dellÕarchivio di Stato di Potenza. Qui si dice che a subire i danni pi considerevoli furono la Chiesa Madre, la Torre di Santa Venere e lÕex monastero delle Salesiane (oggi Hotel Locanda delle Donne Monache): a questo sisma, tra lÕaltro, si pu˜ far risalire la scomparsa della chiesa della Madonna della Visitazione, cio la settecentesca chiesetta allÕinterno dello stesso monastero. Ci fu anche un morto, il cui nome, per˜, non si trova segnato nŽ nei registri dello Stato Civile nŽ nei libri parrocchiali.

In particolare, la chiesa di S. Maria Maggiore era giˆ malandata per il precedente terremoto del 1831, che aveva spiombato il campanile e procurato diverse crepe nelle strutture portanti. Riparata alla meglio grazie alle risorse della parrocchia e del Comune, le condizioni della chiesa non erano per˜ affatto in grado di resistere a unÕaltra, violentissima scossa.

I danni furono tali che la chiesa rimase pericolante per decenni. Nel 1876 e 1890 il parroco Luigi Marini (1814-1906) dei lavori di consolidamento e restauro, il secondo di questi, tra lÕaltro,  ricordato nellÕiscrizione latina sotto lÕarco dellÕingresso principale della chiesa. Soltanto nel 1912, poi, il suo successore, Vincenzo Scognamiglio (1856-1914), riusc“ a portare a termine il restauro completo e definitivo.

Il terremoto fu talmente scioccante che in Maratea si decise di ricordarlo ogni anno nel suo anniversario. Con delibera del 7 marzo 1858 il Collegio Decurionale (un organismo simile allÕattuale consiglio comunale) di Maratea stabil“ Ēche il giorno 16 dicembre di ciascun anno sia dichiarato votivo in questo comune, in rendimento di grazia alla Vergine Santissima Immacolata che lÕha risparmiata dal terribile flagelloČ, in quanto i danni, in fin dei conti, erano stati lievi.

Ma gli anni e i secoli sono passati e oggi il 16 dicembre  un giorno come un altro: a questo piccolo scritto, se possibile, il compito di ricordarlo.

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