NATALE UN GIORNO DI SOSTA

 di Angelo Di Lieto

Nelle carte di mio Zio Umberto Scoppetta, ho rinvenuto due scritti, uno sul Natale e lĠaltro sulla grotta di Marina di Maratea, che ho copiato e riprodotto integralmente anche nel titolo, perchŽ non voglio che questi fogli si perdano in un cassetto, per poi finire un giorno al macero.

Io ho un sacro rispetto per tutte le pagine, le lettere e le cartoline scritte che trovo, perchŽ amo sempre scoprire dalla loro lettura gli avvenimenti, le storie, i ricordi che lĠoccasionale amanuense ha voluto involontariamente lasciare nel suo semplice messaggio.

In queste pagine vivono sempre i sentimenti, le sensazioni di una persona anziana che si trova a vivere in unĠepoca che non  pi la sua. Capita anche a noi oggi di ricordare un passato, biasimando nel confronto la realtˆ nella quale viviamo.

Non ha una datazione, ma in questi righi di Zio Umberto ho rinvenuto nostalgia verso i tempi passati e una sincera voglia di augurare gioia e felicitˆ a tutti gli uomini della Terra, nella speranza anche di trovare nella fede e nellĠamore la pace agognata e i valori della vita umana e quelli storici della Patria.

Non so se queste considerazioni che ha dattiloscritto su alcuni fogli di carta velina, siano stati tracciati prima del tragico Natale, o forse, pi probabilmente, quando in un momento di solitudine e di nostalgia Franz era giˆ scomparso da parecchi anni.

Zio Umberto ha sicuramente vissuto dei momenti in cui ha ardentemente desiderato di avere tutta la famiglia raccolta attorno al focolare domestico, ma che, sfortunatamente, si  trovato solo, con una grande tristezza nel cuore per la morte di Gaetano e di Franz e con i figli sopravvissuti lontani da Maratea.

Riproduco integralmente il suo testo scritto in una serata di tristezza, di sofferenza e di sentimenti cristiani e umani. Ovviamente questi flash vanno inquadrati in una realtˆ appartenente ad unĠepoca molto, ma molto lontana dai tempi attuali, ma di grande elevazione spirituale, di fede e di sacralitˆ.

Le altre sensazioni li lascio alla lettura del testo, che se lette attentamente, ponendo attenzione ad ogni parola e ad ogni messaggio, diventano delle pagine sublimi e di profonda commozione.

A distanza di oltre cinquanta anni, da quando queste idealitˆ sono state scritte, devo dire che molte cose sono state profetiche, perch realmente si  perso quellĠatmosfera di bellezza e di sacro che un tempo il Natale aveva; oggi tutto si svolge di corsa, tutto  fuori dalla famiglia, predomina lo spreco e ogni forma di ostentazione, nulla di quella notte misteriosa e santa  rimasto.

 

LA POESIA DEL NATALE

di Umberto Scoppetta di Maratea(1-1-1891 / 12-8-1974)

 ÒLa poesia del Natale se ne va. La uccidono a poco a poco il progresso, il lusso, la furia di vivere. Poesia  grazia, estasi, raccoglimento, penombra.

Il Natale moderno  soprattutto un pranzo, e se ci sono dei bimbi, un pino rachitico sotto un sole freddo di luce elettrica e un presepe messo l“ alla meglio con la grotta sbambagiata, con la mangiatoia irta di pagliuzze col bue e collĠasinello, con la piccola folla di pastori dai costumi variopinti e fra essi lĠimmancabile ÒZa Pizzicata, Écon lo scialle e la cuffiaÓ, per lĠammirazione e la delizia dei piccoli.

Regali per altri, perchŽ si scelgono le cose che ameremmo; regali per noi, perch sono particolarmente in piena contraddizione coi nostri gusti.

Bastava una volta un piccolo pino, un dindo rosso di forno (=n.d.a il tacchino, originario dellĠIndia,  detto dindo; il termine  maggiormente usato nellĠAmerica Latina e diffusosi forse in Maratea da qualche emigrante) e qualche vecchia bottiglia, su cui la mano di una buona massaia aveva scritto il nome del vino, il tempo e la data, dove si sono formati i merletti delle ragnatele.

Pi la composizione era semplice e pi appariva grandiosa e quasi commovente. Le poche candele facevano splendere lĠalbero come un faro e attenuavano tutte le altre luci della casa.

Oggi, sotto la luce elettrica, lĠalbero  pieno di riflessi gialli per le sue smorte fiammelle e i bimbi che, con un bel vestitino nuovo, hanno passeggiato sulle vie del paese, girando attorno alle bancarelle ed alle vetrine dei negozi, torcono giˆ il visetto con disgusto ai doni troppo modesti e provano le prime disillusioni.

Il pranzo non  elegante se non  complicato, i vini non sono apprezzati se non spumano carbonico; la frutta anche se viene dallĠOriente o dallĠAmerica come i datteri e le banane e lĠuva fresca di Malaga, sono appena degnate di uno sguardo dai vostri invitati che li hanno giˆ visti presso i rivenditori di primizie, unitamente alle pesche e alle fragole fresche.

Davvero,  ormai grave e difficile anche pei ricchi comporre un Natale, perchŽ questo  ormai il Natale: essere seduti ad una tavola imbandita.

Tutta la bellezza che la nostra infanzia aveva accumulato intorno alla sacra notte, tutta lĠintimitˆ di cui avevamo per qualche ora trasformato le necessitˆ umili della vita, tutto il fascino del cerchio familiare chiuso attorno al ceppo ardente dei nostri focolari o intorno al desco, tutto questo  scomparso e attenuato. Natale si  fatto troppo borghese, troppo ricco, e di conseguenza, troppo prosaico.

Forse gli  venuto a mancare la fede. PerchŽ ormai come il matrimonio si fa senza amore, il vino senzĠuva, il ÒpuddingÓ (=dolce) senza frutta. Natale si fa senza fede. Spogliato della sua origine cristiana, separato dalla sua leggenda cos“ piena di grazia, di sogno e di poesia, tagliato dalla via della tradizione quasi bruscamente, il giorno sacro allĠumanitˆ intera  diventato un numero volgare di un mese poco gradito.

Natale per i nostri padri era un anniversario di elevazione soprannaturale e di risorgimento spirituale.

Il bene, il progresso, la serenitˆ erano venuti al mondo col mistero della Vergine Madre e rinascevano idealmente di anno in anno fra il concerto delle campane a mezzanotte e il riflesso dei simbolici fal˜ accesi qua e lˆ nella nostra valle ammantata di bianco.

Tutta la famiglia si riuniva per ringraziare insieme il Signore liberatore e chiedergli nuova forza per affrontare la vita; si formava una catena di preghiere che salivano dallĠultimo nato al padre del padre come per una scala di spiriti.

Per una notte le leggende sono piene di episodi, gli uomini obbedivano a quanto di pi puro vi era ancora nella loro anima, si calmavano gli odi, si conchiudevano armistizi, si rifiutavano di sacrificare e di uccidere. Si cantava gloria a Dio nei Cieli e sĠinvocava la Pace sulla Terra.

LĠaffanno del lavoro, dellĠambizione e della lotta si placava per qualche ora, si chetava addormentato dal ritmo che i campanili versavano dalle loro bifore azzurre nella Notte SantaÉ Anche sul capo dei miscredenti passava almeno per un attimo il terrore e il desiderio di Dio.

OggiÉ I fedeli aspettano ancora con una perfetta ingenuitˆ di cuore che nella notte favolosa il miracolo dei miracoli si compia? Qualche cosa dellĠincredulitˆ, quasi generale, non fa sorridere la loro incerta fede, non affretta le loro preghiere, non precipua i loro riti? E per gli altri, che cosa  rimasto del Natale se non la cena e, per meglio dire il cenone, e cio quello che era per gli avi soltanto una soggezione necessaria e magari piacevole alle necessitˆ della carne, dopo unĠora di elevazione?

Il Natale, snaturato del suo carattere religioso dĠorigine, restava come una festa familiare. Ma anche la famiglia non ha pi il vigore dĠunione e di compattezza che la individuava nel passato.

Una volta tutti i figli restavano a portata di corriera, due o tre tappe lontane. Adesso il vapore disperde i figliuoli come il vento fa degli uccelli di una nidiata. Si sa come e quando si parte e non si sa quando si ritornerˆ. Si va via, si vedono altri natali, si dimentica il nostro, ci si disabitua, non sĠinsegna la consuetudine a quelli che nascono da noi.

Non cĠ pi tempo del resto. Perch tutta lĠUmanitˆ sembra preoccupata di conquistare un mezzo per camminare sempre pi velocemente? PerchŽ dopo la ferrovia ha creato lĠautomobile, lĠaeroplano, voli spaziali, il razzo, e per quanto appena si sa, il disco volante?

Oh! Non per avere ali, non per ingenua ambizione di dominare un elemento e di emulare le aquile, no: ma per raggiungere i cinquecento kilometri allĠora, per non avere ostacoli, per coprire con la propria anima immensa e ardente il maggiore spazio possibile di terra, di tempo, di nazioni.

Oggi si chiede di pi: si tenta persino di sfruttare lĠenergia nucleare, lĠatomo, di effettuare viaggi nei pianeti al punto di precisare preventivamente date e tempo in cui dovrebbero conseguirsi tali realizzazioni dopo i progressi giˆ conseguiti nel campo televisivo e radiotelefonico lĠuno e lĠaltro connesso.

Qualcosa palpita irrefrenabilmente dinanzi a noi e ci attrae come in un vortice lasciato da un volo instancabile. Da qui udiamo il batter delle ali che ci riempiono il giorno di affanno, che turbano la notte, i nostri sonni, le grandi ali invisibili che trascinano dietro a sŽ il nostro destino, sono quelle della vittoria o quelle della morte? Non lo sappiamo e non ci importa saperlo. Corriamo nel solco freneticamente, con gli occhi aperti in principio, con gli occhi chiusi e fiduciosi nellĠistinto, quando la stanchezza ci prendeÉ

Bisognerebbe fermarsi, ci mormora una voce lontana per Natale. Rifare un poĠ di strada allĠindietro, per raggiungere la famiglia, il focolare che ci  noto, la madre, la sposaÉ, i figliuoliÉ

Ah, Natale! é la nostra ambizione, il gusto che abbiamo giˆ preso ad una intensitˆ di vita, sempre pi aspra, ci fanno rispondere, qualche volta con un leggero senso di malinconia, che non abbiamo pi tempo!

Eppure la vita moderna, quintessenza di luce e di moto, ha pi che mai bisogno di una festa, di questa festa, quintessenza di silenzio e di pace. Fermiamoci se  possibile. Colmiamo con un giorno lĠansia dellĠimpeto del nostro cuore, attenuiamo le luci, viviamo dĠintimitˆ per un giorno. Sentiamoci per una volta esseri umani nellĠumanitˆ, non bolidi lanciati nello spazio per tutto travolgere e non atomi crudeli di un meccanico egoismo.

ComĠera dolce il simbolo cristiano del Dio che scendeva in terra per redimere gli uomini e come  bene che almeno una volta, nellĠanno, gli uomini riflettano sui loro doveri verso lĠumanitˆ.

Le nostre lotte, i contrasti che lĠabitudine delle armi contratta nella guerra che fa cos“ prontamente sanguinosi, lĠabitudine verso la violenza, il disprezzo per il bene e la vita degli altri, si rinnoveranno soltanto in una rinnovata spiritualizzazione della vita.

A si! é necessario tornare alla vecchia leggenda, riflettere sul significato umano che si contiene in ogni festa religiosa; come riprendiamo lĠabitudine di spiegarci il significato nazionale dĠogni festa patriottica.

Un Dio  nato stanotte per farsi uomo e salvare il suo simile, per un giorno almeno, se possibile, cessiamo di odiare e amiamo anche noi il nostro simile.

Ne avremo una gioia nuova, quella di cui godono, pur soffrendo, coloro che sanno di essere buoniÓ.

 Umberto Scoppetta

 

LA GROTTA DI MARINA DI MARATEA

di Umberto Scoppetta di Maratea(1-1-1891 / 12-8-1974)

 

In quel tratto della litoranea n.18, che corre dal ponte di Mezzanotte al fiume Noce, quasi parallelo alla linea ferroviaria, lˆ dove si forma unĠinsenatura di scogliere profumate e di piccole spiagge civettuole, alcune delle quali incavate nelle stesse rocce, a guisa di capanne, fu scoperta anni fa una superba grotta, battezzata col nome di grotta Marina, sul pend“o del Monte Sacro, su cui sĠerge maestoso e vetusto lo storico Santuario di S. Biagio.

Vi si accede per un comodo sottopassaggio, chiuso da un cancello, mentre lĠocchio del visitatore affonda subito in quanto di pi meraviglioso e di incantevole abbia potuto concepire nel varcarne lĠaccesso.

LĠinterno  addirittura abbagliante e si pu˜ asserire, senza tema di smentita, che nulla di simile esista altrove.

Le stalagmiti hanno trasparenze carnose ed azzurrastre di tendine messe a nudo, e con colorazioni cos“ delicate che non cĠ tavolozza che possa ridarle. I colori hanno unĠincidenza e una fusione cos“ splendente, che sembrano date da luci interne. La purezza cristallina delle masse  tale che diventa sonante al pi leggero tocco.

Certe colonne di bianco assoluto sono cresciute di cortine che le fanno somigliare a pagine ritte di un libro aperte a raggiera. Al tocco pi tenue risuonano come campane, e la principale dˆ tante e s“ diverse note argentee, che la mano pratica pu˜ trarne il suono delle campane suonate a stormo, a festa, o i mesti rintocchi dellĠAve Maria: un vero carillon.

Il soffitto  verde azzurro, letteralmente ricoperto di leggeri bastoncini di vetro.

Se il visitatore facesse per un istante chiudere la luce elettrica (disposta male da mano inesperta) e si facesse precedere di qualche passo da una guida munita di lampada a gas con riflettore che dirigesse i fasci di luce in fondo alla grotta, vedrebbe le ombre dei cannelli rincorrersi fuggenti sul soffitto, ed avrebbe addirittura lĠimpressione che si muovono e si agitino per una strana magia.é una profusione di vere selvette di stalagmiti bianco-azzurre e bianco-rosee di tutte le dimensioni, alcune sottilissime come fragili bastoncelli.

In un canto vi  unĠeccezionale formazione cristallina: una stalattite ad un punto si tripartisce e va ad abbracciare la sottoposta stalagmita con tre serpentelli sottili e guizzanti.

Il suolo  tutto unĠincrostazione di bellissime stalattiti bianche, lilla, rose, grigie, alcune simili a colonne bianche, come tante lapidi di un cimitero. Pi oltre una colonna sorregge il soffitto dalla cui volta pendono festoni e gale arricciate, tutto un insieme fantastico, di abbagliante, che affascina e incanta.

 Umberto Scoppetta Anno 1938

 

Notizie: La Grotta, chiamata oggi delle Ò MeraviglieÓ , la pi piccola dĠItalia (90 mt) e si trova ad 8 metri di profonditˆ dallĠentrata; ha poi unĠaltezza media di 7 mt.

Fu scoperta nel 1929 durante i lavori per la costruzione della Strada statale 18 delle Calabrie.

 

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