Raccolta
di notizie riguardanti le due Università di Maratea
Superiore ed Inferiore,
ricavati dai manoscritti del parroco di S. Biagio
D. Carmine Iannini
Cavaliere dello Speron
d’Oro
esistenti nell’archivio della famiglia Iannini
ed accresciuti da altre notizie procurate dal discendente
Sac. Biagio Ant. Iannini
fascicolo II
Come ho detto innanzi,
parlando dell’Archivio dell’Università, questa nel 1597 possedeva ventisei
pergamene, ed un libro contenente il sunto dei privilegi; nel 1759 l’Archivio
era vuoto (vedi atto De Lieto) ma furono ricuperati
diciassette scritture tra le più importanti; nel 1792 le scritture erano
ventuno, ma lo stipo dove si conservavano era senza chiave.
L’atto De Lieto dell’otto
maggio 1759 descrive le scritture indicando per ognuna la data, il nome del
sovrano e in modo sommario, ma preciso, il contenuto
del diploma.
Il notaro dichiara che le
diverse scritture furono vedute ed esaminate dalle parti in sua presenza; tale
dichiarazione conclude oggi dubbiezza e l’istrumento
acquista un valore inestimabile, perché accerta la esistenza e il contenuto
delle lettere regie o privilegii o diplomi e le
diverse immunità e grazie generali che i nostri antenati seppero ottenere.
Nel 1792 esistevano ancora
nella sacristia del SS., dovevano pure esistere nei
primi decenni del secolo XIX, perché io trascrissi e copiai tutti quelli che
avevo potuto avere da diverse nobili famiglie di Maratea.
I privilegi da me
trascritti e conservati sono tutti elencati nell’istrumento De Lieto 1759. Ebbi
tra le mani, ai miei tempi parecchie pergamene importantissime che lessi e
studiai e che subito restituii ai signori che me le avevano favorite.
1°
Istrumento del notaio Giacomo Basile di Napoli del 21 giugno 1531. Il Dottore in diritto
Nicola Parnello, il nobile Gregorio Di
Lieto e Antonello Migliolo, Sindaci e procuratori
delle Università, depositarono il diploma dato dall’Imperatore Carlo V in Brusselles il 9 Marzo 1531 contenente la conferma
dell’istrumento del notaio Sebastiano Canoro di Napoli
del 6 Ottobre 1530, col quale il Cardinal Pompeo Colonna, Vicerè del Regno
vendeva all’Università il demanio per ducati 3mila, e trecento ducati annui di
fiscali feudali per altri ducati 3mila confermava tutti i privilegi e le
università concedute dai precedenti sovrani.
2° Copia dell’atto diploma
dello stesso imperatore Carlo V, rilasciato in Napoli il 18 Marzo 1536
contenente nuova conferma dei privilegi credo che i
nostri antenati dovettero impetrare questa conferma in occasione della venuta
in Napoli del potentissimo sovrano perché il diploma è datato in Napoli “in
Castello nostro novo” e non contiene nuove grazie, ma contiene e trascrive
quello del 1531 – La copia in pergamena, che ebbi tra le mani è dichiarata
conforme all’originale esistente nello Archivio dell’Università del notaio Giov. Pietro Lombardi la cui firma e poi dichiarata
autentica dai notai Domenico Antonio Perrelli, Antonio Mancini e Mario Comes. Ebbi ancora tra le mani documenti contenenti
certificati estratti o licenze rilasciati a particolari cittadini per potersi
avvalere dei privilegi o immunità universali; queste licenze sono oltremodo
importanti perché dimostrano il possesso e l’uso che i cittadini facevano della concessioni sovrane. Ritengo che presso molte famiglie
se ne devono trovare, perché a traverso i secoli molti Marateoti avevano avuto
necessità di avvalersi della immunità
del pagamento di dogana, gabelle e dazi; nonché della facoltà, viaggiando fuori
dal proprio paese, di portare armi per difesa. Ma
oltre di quelle accennate di sopra, ho veduto ancora una sola patente per
immunità di dogana rilasciata a Giov. Giacomo, a Giov. Biagio Bonnunzio che
trovasi nella famiglia Mazzei. Quelle che io osservai
relative all’immunità di dogana furono rilasciate a
Scipione Pepe figli Giov. Berardino e Giuseppe il 28
Febbraio 1640; a Michelangelo Fiorillo il 8 Maggio 1646, e la terza a Francesco
Bono e figli altre due riguardano il diritto di andare armati in qualsivoglia
parte del regno, meno che in Maratea, e furono rilasciate a Giov.
Pietro Carimaro, e a Giov.
Pietro Bonnunzio. Riassumendo di alcuni
privilegi abbiamo la semplice menzione in altri privilegi, cosi nella conferma
di Alfonso di Aragona del 4 Gennaio 1441 è parola di privilegi concedenti da Re
Roberto, dalla Regina Giovanna 1° e dal Re Carlo III di Durazzo; nel Diploma di
Giovanna Seconda del 2 Settembre 1414 è cenno di privilegi conceduti
dai precedenti sovrani confermati poi da Re Ladislao.
Di
altri privilegi avviamo
solo la notizia dell’inventario di De Lieto del 1759 e propriamente dei
seguenti:
Del
Re Ladislao del 20 Luglio 1404
Del Re Alfonso d’Aragona
del 20 Settembre 1444 Del Re Carlo VIII del 12 Aprile
1495
Del Gran Capitano Consalvo
di Cordova del 3 Luglio 1503
Del Vicerè Martines 8 Ottobre 1707
Della facoltà del Conte Carafa di nominare il Governatore
Di altri privilegi, oltre
la menzione di De Lieto, abbiamo la copia da me trascritta:
Della
Regina Giovanna Seconda 2 Settembre 1414
Della
stessa Regina 4 Marzo 1419
Del Re Alfonso d’Aragona 4
Gennaio 1441 Del Re Ferdinando 1° 16 Ottobre 1469 Del
Re Federico III 3 Dicembre 1496
Del Re Ferdinando il
Cattolico 31 Gennaio 1506 Del Cardinale Colonna 6
Aprile 1530 Del Re Filippo III 15 Settembre 1605
= CLERO DI
S. MARIA MAGGIORE =
= IN
MARATEA =
Il clero di Maratea si è
sempre distinto, ha dato vescovi e tre Cardinali alla Chiesa. I Vescovi sono i
sottoscritti con i tre cardinali.
Mons. Ventapane
Sua Eminenza Santoro
Mons. Gennari
Sua Eminenza Dal Verme
Mons. Dal Verme
Sua
Eminenza Gennari
Mons. Labanchi
L’ultimo Cardinale vissuto
ai tempi nostri, nomavasi Casimiro Gennari Ordinato sacerdote a Cosenza da Mons.
M.le Bombini,
Vescovo di Cassano Jonio, venne in patria dove
appassionato allo studio fondò una Rivista mensile col titolo di Monitore Ecclesiastico (anno 1876) gli
abbonati fermano migliaia. Nel 1880 fù nominato
Vescovo di Conversano nelle Puglie. Nel 1897 Sua Santità Leone XIII lo chiamò
in Roma come Assessore del Santo Ufficio. Nel 1901 lo
stesso Pontefice lo nominò Cardinale del Sacro Collegio. Fu uno dei compilatori
del nuovo Diritto Canonico. Il 31 Gennaio del 1914 la sua dell’anima, lasciò
questa terra, e tra il compianto generale, se ne volò al Cielo. La sua salma da
Roma fu portata a Maratea è tumulata nella Cappella Gentilizia di famiglia.
Lasciò diversi legati di beneficenza. Lasciò ₤ 1500 ogni 5 anni da servire per una S.
Missione al popolo di Maratea. Lasciò ₤
150 per continuare il mese mariano predicato nella chiesa dell’Immacolata da
lui introdotto. Lasciò ₤
80 annui per la congregazione dei Luigini pure da lui fondata per
l’insegnamento religioso. Lasciò ancora una borsa di studio perché si volesse
far sacerdote di ₤
450; li stessi legati lasciò nella città di Conversano, dove per tanti anni fu
Vescovo. Nel 1899 il sopra detto Cardinale Gennari staccò Maratea dalla lontana
diocesi di Cassano Jonio e l’aggregò alla vicina diocesi di Policastro Bussentino, e tentò di trasportale
la sede vescovile da Policastro a Maratea, ma per la nequizia umana non vi
riuscì.
Nel 1911 il villaggio di
Acquafredda fu nominato Vicaria e fu diviso dalla Parrocchia di Maratea,
aggregandosi nel 1937 anche il villaggio di Cersuta. Nel 1908 le suore di
Nostra Signora a Monte Calvario furono chiamate da
Roma a Maratea per governare l’istituto femminile di De Pino, ed ora è stato
parificato ed ha raggiunto il massimo splendore.
= ORIGINE DI MARATEA =
Trascrivo letteralmente un
brano di Mons. Nicola Con. Curzio Arciprete di Lauria
Inferiore riguardante l’origine di Maratea. L’erudito Monsignore così si
esprime in un opuscolo da lui stampato: Le
vere origini di Lauria e paesi circonvicini:
“Maratea fu fondata da una
colonia Fenicia di Marathos città della Fenicia di
rimpetto all’isola di Arado
citata da Plutarco e Quinto Curzio. Detta colonia, approdata
prima all’isola da essi detta di Marate, vedendo
ristretti i confini dell’isola, formò un’altra colonia che si stabilì nel sito
ove oggi risiede Maratea, detta così perché fondata dai Maratei.
Tra l’odierna Maratea e
Tortora sorgeva Blanda, ricordata da Livio come sopra ho detto.
Da qualche poco erudito
scrittura del MedioEvo la si
voleva designare come sorta presso l’odierna Belvedere Calabria. Niente più
assurdo di ciò. Basta dare uno sguardo alla Tavola Peutingeriana
per accertarsi di ciò, quassù d’anche non ci volesse prestar fede a Livio che
la chiama città Lucana…
Lo storico Troilo dice che
i Saraceni, fierissimi nemici dei Cristiani, dopo aver devastato le marine del
regno, distrussero anche nella Lucania, Grumento, Blanda, Tebe, Pandosia nel 914 dell’Era Cristiana. Il coro della chiesa
di Blanda, in legno di noce, venne trasportato a Torot ove si conservò fino a 28 anni or sono, ma
attualmente si trova nel Museo di Budapest, come opera preziosa, venduta incosciamente da un incompetente ecclesiastico agli
stranieri. (Vedi l’opuscoletto dell’arciprete di
Lauria a pag. 8 e 9).” Io credo che tale sia la vera origine di Maratea.
= NOTIZIA
CONCERNENTE
= DI S.
BIAGIO DI ARGENTO =
Il 23 febbraio 1709, morto
il degnissimo sacerdote in Napoli D. Biase Mercadante di Maratea, santo operario, colui che fece diriggere
Estratto da una memoria
scritta da D. Nicola Ginnari, padre del Cardinale
Casimiro, il 16 Settembre 1846.
Il Campanile della Chiesa
di S. Biagio sul Castello era simile al Campanile della Chiesa di S. Maria
Maggiore in Maratea Inferiore. Un fulmine ne distrusse il cono e il Parroco di
quel tempo D. Carmine Jannini lo fece covrire nel
modo attuale come ora si vede.
Il medesimo parroco fece
pure selciare lo spianato davanti
Il
Parroco Monsignor D. Gennaro Buraglia della Chiesa di
S. Biagio sul Castello, durante il suo parrocato in
quella cura fece rivestire
Dopo la morte del Parroco
Monsignor Buraglia ebbe la cura di quel Santuario il
sacerdote Don Giuseppe Iaselli. Costui pure fece molto al Santuario. Fece
mettere a nuovo il pavimento della sacristia con mattoncelli
come ora si osserva. Fece pitturare
Il Parroco di Maratea
Inferiore D. Luigi Monsignor Marini fece pavimentare tutta la sua Chiesa di S.
Maria Maggiore con mattoni a rigiole. Fece scavare la
torre sotto l’attuale coro, creandovi un soccorpo ed
erigendovi un altare per la celebrazione delle messe. Fece costruire una
muraglia nuova alla Chiesa che minacciava crollare. Fece abbellire il campanile
adornandolo con una inferriata e
procurandovi l’orologio per segnare le ore. Procurò pure una statua di S. Emidio
e fece pure un organo nuovo ed altre opere esistenti nella Chiesa di S. Maria
Maggiore sotto la sua cura fu riedificata
Dopo la morte del parroco
D. Vincenzo Sconamiglio
In una località di Maratea
denominata Pietra del Sole, esiste una Cappella gentilizia sotto il titolo
dell’Angelo Custode. Tale Cappella, per lo passato,
apparteneva alla nobile famiglia Latronico; ora appartiene al Signor Cav.
Domenico Bombace. In tale Cappella trovasi un’urna
marmorea cineraria molto antica, e la tradizione dice
che sia stata trovata nella contrada Fiumicello detta Santa Venere. Si vuole
che quella contrada fosse stata abitata da una colonia greca. Sull’urna vi è
una scritta in lingua greca che io trascrivo fedelmente su questo foglio:
Gli antichi volevano
rendere chiesa madre
= TEATRO
DI MARATEA =
= ANDATO
IN ROVINA =
Nella contrada Molo
Piccolo esiste un fabbricato andato in rovina, il quale era un teatro
municipale. Possedeva una vasta platea da contenere circa mille persone. Vi
erano due file di palchi che la maggior parte erano palchi
padronali appartenenti a varie famiglie nobili del paese. Sulla porta
d’ingresso vi era il palco del municipio appartenente al Comune. Aveva un
Palcoscenico vasto e con delle scene di tela
bellamente pitturate. Gli antichi spesse volte erano
soliti rappresentare e procuravano al popolo leciti ed oneste serate.
In origine tale teatro era
una Chiesa di S. Biagio. Quando i Francesi assediarono il Castello, il loro
Generale adibì quella Chiesa a magazzeno bellico; vi chiuse animali,
foraggio, cannoni, fucili, polvere, ed altro materiale bellico di modo
che quella Chiesa rimase interdetta per molti anni e non fu mai più adibita al
culto. Gli antichi allora la adibirono a teatro e quante volte le sere facevano
le recite, cantavano prima l’inno del Santo Protettore e poi incominciavano a
recitare le loro opere drammatiche.
L’anno 1880 moriva il Dottor in medicina D. Biagio Barone, compianto da tutto il
paese di Maratea per la sua rettitudine ed onestà spiccata.
Costui, perché
eminentemente religioso e cattolico, durante la sua vita si diede a raccogliere
molte reliquie di santi e ne formò un magnifico reliquiario di molto valore,
con l’idea poi di regalarlo al santuario di S. Biagio. Morto all’età di circa
50 anni, la sua famiglia, ossia i suoi nipoti, conoscendo l’intenzione dello
Zio, ne formarono due quadri con cornici dorate, e fedelmente le regalarono al
santuario di S. Biagio dove tuttora esistono.
= STORIA
DELLA CAPPELLA DI S. ANNA =
Due sorelle di S. Chirico
Raparo che stavano nel monastero del Rosario, di santa vita e di perfetta
osservanza monastica, una notte entrambe fecero un sogno misterioso. Sognarono
di parlare con
Io desidero che il mio nome sia venerato in tale paese perché
amo immensamente tale popolo e voglio che il mio culto sia ripreso in mezzo a
lui; per tale motivo desidero che voi domani, appena suonerà la sveglia, nel
monastero, vi impongo di mettervi alle grate della
finestra delle vostre celle che sporgono sul piano sottostante e chiamare il
primo che passa per tale piano al parlatoio e
comunicargli i miei desideri che a voi ho manifestati nel sogno di questa
notte.» Le
povere sorelle Virgallite, che
tale era il loro cognome, appena svegliatesi comunicarono entrambe il sogno
avuto e figuratevi quale stupore e meraviglia non destò tale sogno nei loro
vergini cuori!
Effettivamente la mattina
appena suonata la sveglia si posero alle grate delle finestre aspettando con
ansia qualcuno che transitasse per di là.
Non passò molto tempo e
comparve un giovine contadino che si avviava per
quella località diretto ad un vicino podere per la coltura del terreno, costui
aveva il nome di Giuseppe Ciciararo. Le suore come lo viddero lo chiamarono e lo
invitarono a presentarsi al parlatorio del convento.
L’educato e bravo giovine subito si presentò da loro domandando il perché di
quella chiamata.
Le suore dalla grata del
parlatorio gli comunicarono il sogno avuto e gli raccomandarono caldamente che
si fosse occupato seriamente di S. Anna benedetta.
Il Ciciararo
dopo aver ascoltato la misteriosa narrazione, pieno di stupore disse a quelle
sante suore: «Sorelle care, cosa posso
fare io per S. Anna
benedetta? Io sono un
poverello, perché se fossi nato ricco avrei col mio proprio
denaro rifatta quella cappelletta già ruinata, e
l’avrei aperta un’altra volta al culto di S. Anna, ma voi sapete che vivo col
sudore della fronte e le vostre raccomandazioni, con mio sommo dolore, non
potranno riuscire a nulla.» Ciò dicendo prese commiato
e andò via.
Strada facendo, il Ciciararo, soprannominato il Cantore, ruminava nella sua
mente, alla fine io non commetto nessun delitto se
domani, domenica, mi metterò in giro per la campagna manifestando al popolo i
sogni fatti e se vogliono darmi qualche elemosina per riattare quella cappella
già diruta ed aprirla novellamente al culto della Santa Benedetta; tale
pensiero divenne realtà e la mattina della domenica seguente il povero Giuseppe il Cantore effettivamente si pose a girare
raccontando i sogni e pregando tutti di voler rifare
I cittadini di Maratea a
tale narrazione tutti incominciarono ad offrire a lui larghe elemosine di modo
che il bravo Giuseppe, in breve tempo, con l’oblazione dei fedeli, mise all’opera.
In breve la cappella fu
restaurata, fu benedetta e restituita al culto di S. Anna.
La divozione per tale
Santa mise in gran movimento tutti i cittadini di
Maratea, di modo che Giuseppe Ciciararo non solo con
le elemosine ricevute potette riattare l’antica cappella diruta, quanto
l’ampliò, procurò ad essa una ottima sacrestia, la anche il simulacro della
Santa che ancora esiste in tale Chiesa.
In seguito vi procurò pure
l’organo per le sacre funzioni, fece pure con l’elemosine
raccolte a Napoli la statua di S. Gioacchino, vi
stabilì dei legati, che ora per incuria sono andati perduti, ed ogni anno si
celebrava la festa di S. Anna e S. Gioacchino con grande solennità e concorso
di popolo.
Il Ciciararo
per tali fatti, si procurò grande stima e fiducia presso tutto il popolo di
Maratea e tutti pieni di fiducia davano elemosina nelle sue mani, sicuri che si
spendevano esattamente per il culto dei santi. Anche
Il tempio di S. Biagio
minacciava di crollare, Ciciararo, accortosi di ciò,
si mise in giro, raccolse grosse somme e rinforzò il santuario di s. Biagio con
grossi baluardi di fabbriche assicurandone la stabilità per molti secoli
ancora. Giuseppe Ciciararo soprannominato il Cantore,
morì di circa ottanta anni e più, rivelando al superiore locale della Chiesa i
capitali lasciati alla chiesa di S. Anna, alla Madonna della Neve e alla
Madonna della Catena. Tali capitali sono andati quasi perduti per incuria di
chi avrebbe dovuto averne cura.
Nell’anno 1942 nel mese di
Agosto il R. Parroco di S. Biagio D. Domenico Damiano insieme al Podestà Vitolo
Biagio di Maratea inferiore, col concorso di popolo, costruirono
una strada sul Castello e propriamente dalla cresta del monte incominciando
dallo spianato che trovasi avanti la chiesa fino alla punta più culminante del
detto monte, in tale punto culminante che domina tutto
l’agro del paese di Maratea, fu innalzata una colonna di pietra e su di essa
venne collocata una croce di cemento visibile da ogni parte del sottoposto
paese. Un bravo al zelante Parroco ed al solerte
Podestà Vitolo!
= LO
STEMMA DI MARATEA =
Lo stemma di Maratea è
formato di tre torri con un’aquila bicipite sopra di esse. Una torre ora è casa
appartenente alla famiglia Passeri. Un'altra forma il coro della Chiesa Madre
S. Maria Maggiore. Un altro che trovasi ancora intatta è sulla via denominata Galata
ed apparteneva alla nobile famiglia D’Alitto unita la
palazzo per mezzo di un ponte. L’aquila sullo stemma di Maratea è abusiva
perché nessun decreto reale lo asserisce.
Il nome di Arciprete al
Parroco di Maratea è pure abusivo perché nessun decreto canonico lo dice e non
si trova in Archivio.
Il parroco di Maratea era
di diritto patronato. Il Comune di detto paese, morto il titolare della
Parrocchia, si riuniva e sceglieva tra i sacerdoti del paese 3 soggetti che
presentava al Vescovo per la scelta del Parroco, se il Vescovo li scartava si
presentavano altri 3 soggetti sino a che il Vescovo si doveva decidere a
nominare il Parroco da uno dei soggetti dal Comune presentati.
In un piccolo larghetto
del paese denominato Tocco la tradizione dice che colà era solito
riunirsi il Decurionato per decidere gli affari della università ora appellato
Municipio. Detto punto o larghetto trovasi di rimpetto alla casa del Medico
Pietro Mazzei.
Nel mese di Marzo
Nel mese di Marzo 1943
vennero a stabilirsi in questa Parrocchia i Padri Oblati, vi fondarono una
casa, perché ebbero in dono tutta l’eredità della Famiglia Siciliani ora
completamente estinta.
Sotto la cura del Rettore
Curato D. Domenico Damiano nell’anno 1942
Sotto la cura
dell’Arciprete D’Alitto, Parroco Curato della Chiesa Madrice di S. Maria Maggiore di Maratea, il Cavaliere dello
Speron d’Oro D. Carmine Monsignor Iannini,
missionario figlio del fu D. Giuseppe e fu Vittoria Bianco venne a Maratea da
Napoli in compagnia di altri missionari per tenere una missione in questa
Parrocchia. Morto il Parroco Libotti sul Castello
egli andò a Cassano per il concorso, lo vinse e il Vescovo Cardosa
di Cassano lo nominò Parroco della Parrocchia di S. Biagio in Maratea superiore
(Castello). Dopo vari anni morì il 3 luglio del 1835 munito
con tutti i SS. Sacramenti. Fu sepolto nella Chiesa del Rosario nel sepolcro di
famiglia a pie’ dell’altare gentilizio di S. Filippo
Neri, che appartiene alla detta famiglia Jannini. Fu eletto parroco del
Castello il 1804 il 25 Aprile all’età di anni 30. Morì di 61 anno e fu Parroco
circa 30 anni. Sotto la sua cura avvenne l’assedio dei Francesi al Castello
nell’anno 1806.
Qui trascrivo ora una
nota:
“Liber bis Matrimoniorum elaceratus fuit et sub die IV dicembris
Carmine
Capp. Jannini.
La venuta del missionante Jannini dei Pii
Operai da Napoli a Maratea fu causa della stabilirsi la famiglia a Maratea dove
ancora si trova perché prima dimorava in Napoli dove sono sepolti al Camposanto
Vecchio tutti gli antenati di detta famiglia. Così vanno le cose di questo
mondo.
Licini chiamasi una località del
villaggio di Marina a lido di mare, prende quella località tal nome dalle
vicine isole che trovansi li vicino nominate S. Janni, Matriella
e Dino dette anticamente isola Itacesie.
Nel 1943 l’Italia
trovandosi in guerra in compagnia con
L’anno 1932