Raccolta

di notizie riguardanti le due Università di Maratea

Superiore ed Inferiore,

ricavati dai manoscritti del parroco di S. Biagio

D. Carmine Iannini

Cavaliere dello Speron d’Oro

esistenti nell’archivio della famiglia Iannini

ed accresciuti da altre notizie procurate dal discendente

 Sac. Biagio Ant. Iannini

 

fascicolo II


= PRIVILEGI DI MARATEA =

Come ho detto innanzi, parlando dell’Archivio dell’Università, questa nel 1597 possedeva ventisei pergamene, ed un libro contenente il sunto dei privilegi; nel 1759 l’Archivio era vuoto (vedi atto De Lieto) ma furono ricuperati diciassette scritture tra le più importanti; nel 1792 le scritture erano ventuno, ma lo stipo dove si conservavano era senza chiave.

L’atto De Lieto dell’otto maggio 1759 descrive le scritture indicando per ognuna la data, il nome del sovrano e in modo sommario, ma preciso, il contenuto del diploma.

Il notaro dichiara che le diverse scritture furono vedute ed esaminate dalle parti in sua presenza; tale dichiarazione conclude oggi dubbiezza e l’istrumento acquista un valore inestimabile, perché accerta la esistenza e il contenuto delle lettere regie o privilegii o diplomi e le diverse immunità e grazie generali che i nostri antenati seppero ottenere.

Nel 1792 esistevano ancora nella sacristia del SS., dovevano pure esistere nei primi decenni del secolo XIX, perché io trascrissi e copiai tutti quelli che avevo potuto avere da diverse nobili famiglie di Maratea.

I privilegi da me trascritti e conservati sono tutti elencati nell’istrumento De Lieto 1759. Ebbi tra le mani, ai miei tempi parecchie pergamene importantissime che lessi e studiai e che subito restituii ai signori che me le avevano favorite.

1° Istrumento del notaio Giacomo Basile di Napoli del 21 giugno 1531. Il Dottore in diritto Nicola Parnello, il nobile Gregorio Di Lieto e Antonello Migliolo, Sindaci e procuratori delle Università, depositarono il diploma dato dall’Imperatore Carlo V in Brusselles il 9 Marzo 1531 contenente la conferma dell’istrumento del notaio Sebastiano Canoro di Napoli del 6 Ottobre 1530, col quale il Cardinal Pompeo Colonna, Vicerè del Regno vendeva all’Università il demanio per ducati 3mila, e trecento ducati annui di fiscali feudali per altri ducati 3mila confermava tutti i privilegi e le università concedute dai precedenti sovrani.

2° Copia dell’atto diploma dello stesso imperatore Carlo V, rilasciato in Napoli il 18 Marzo 1536 contenente nuova conferma dei privilegi credo che i nostri antenati dovettero impetrare questa conferma in occasione della venuta in Napoli del potentissimo sovrano perché il diploma è datato in Napoli “in Castello nostro novo” e non contiene nuove grazie, ma contiene e trascrive quello del 1531 – La copia in pergamena, che ebbi tra le mani è dichiarata conforme all’originale esistente nello Archivio dell’Università del notaio Giov. Pietro Lombardi la cui firma e poi dichiarata autentica dai notai Domenico Antonio Perrelli, Antonio Mancini e Mario Comes. Ebbi ancora tra le mani documenti contenenti certificati estratti o licenze rilasciati a particolari cittadini per potersi avvalere dei privilegi o immunità universali; queste licenze sono oltremodo importanti perché dimostrano il possesso e l’uso che i cittadini facevano della concessioni sovrane. Ritengo che presso molte famiglie se ne devono trovare, perché a traverso i secoli molti Marateoti avevano avuto necessità di avvalersi della immunità del pagamento di dogana, gabelle e dazi; nonché della facoltà, viaggiando fuori dal proprio paese, di portare armi per difesa. Ma oltre di quelle accennate di sopra, ho veduto ancora una sola patente per immunità di dogana rilasciata a Giov. Giacomo, a Giov. Biagio Bonnunzio che trovasi nella famiglia Mazzei. Quelle che io osservai relative all’immunità di dogana furono rilasciate a Scipione Pepe figli Giov. Berardino e Giuseppe il 28 Febbraio 1640; a Michelangelo Fiorillo il 8 Maggio 1646, e la terza a Francesco Bono e figli altre due riguardano il diritto di andare armati in qualsivoglia parte del regno, meno che in Maratea, e furono rilasciate a Giov. Pietro Carimaro, e a Giov. Pietro Bonnunzio. Riassumendo di alcuni privilegi abbiamo la semplice menzione in altri privilegi, cosi nella conferma di Alfonso di Aragona del 4 Gennaio 1441 è parola di privilegi concedenti da Re Roberto, dalla Regina Giovanna 1° e dal Re Carlo III di Durazzo; nel Diploma di Giovanna Seconda del 2 Settembre 1414 è cenno di privilegi conceduti dai precedenti sovrani confermati poi da Re Ladislao.

Di altri privilegi avviamo solo la notizia dell’inventario di De Lieto del 1759 e propriamente dei seguenti:

Del Re Ladislao del 20 Luglio 1404

Del Re Alfonso d’Aragona del 20 Settembre 1444 Del Re Carlo VIII del 12 Aprile 1495

Del Gran Capitano Consalvo di Cordova del 3 Luglio 1503

Del Vicerè Martines 8 Ottobre 1707

Della facoltà del Conte Carafa di nominare il Governatore

Di altri privilegi, oltre la menzione di De Lieto, abbiamo la copia da me trascritta:

Della Regina Giovanna Seconda 2 Settembre 1414

Della stessa Regina 4 Marzo 1419

Del Re Alfonso d’Aragona 4 Gennaio 1441 Del Re Ferdinando 1° 16 Ottobre 1469 Del Re Federico III 3 Dicembre 1496

Del Re Ferdinando il Cattolico 31 Gennaio 1506 Del Cardinale Colonna 6 Aprile 1530 Del Re Filippo III 15 Settembre 1605

 

= CLERO DI S. MARIA MAGGIORE =

= IN MARATEA =

Il clero di Maratea si è sempre distinto, ha dato vescovi e tre Cardinali alla Chiesa. I Vescovi sono i sottoscritti con i tre cardinali.

Mons. Ventapane

Sua Eminenza Santoro

Mons. Gennari

Sua Eminenza Dal Verme

Mons. Dal Verme

Sua Eminenza Gennari

Mons. Labanchi

L’ultimo Cardinale vissuto ai tempi nostri, nomavasi Casimiro Gennari Ordinato sacerdote a Cosenza da Mons. M.le Bombini, Vescovo di Cassano Jonio, venne in patria dove appassionato allo studio fondò una Rivista mensile col titolo di Monitore Ecclesiastico (anno 1876) gli abbonati fermano migliaia. Nel 1880 nominato Vescovo di Conversano nelle Puglie. Nel 1897 Sua Santità Leone XIII lo chiamò in Roma come Assessore del Santo Ufficio. Nel 1901 lo stesso Pontefice lo nominò Cardinale del Sacro Collegio. Fu uno dei compilatori del nuovo Diritto Canonico. Il 31 Gennaio del 1914 la sua dell’anima, lasciò questa terra, e tra il compianto generale, se ne volò al Cielo. La sua salma da Roma fu portata a Maratea è tumulata nella Cappella Gentilizia di famiglia. Lasciò diversi legati di beneficenza. Lasciò 1500 ogni 5 anni da servire per una S. Missione al popolo di Maratea. Lasciò 150 per continuare il mese mariano predicato nella chiesa dell’Immacolata da lui introdotto. Lasciò 80 annui per la congregazione dei Luigini pure da lui fondata per l’insegnamento religioso. Lasciò ancora una borsa di studio perché si volesse far sacerdote di 450; li stessi legati lasciò nella città di Conversano, dove per tanti anni fu Vescovo. Nel 1899 il sopra detto Cardinale Gennari staccò Maratea dalla lontana diocesi di Cassano Jonio e l’aggregò alla vicina diocesi di Policastro Bussentino, e tentò di trasportale la sede vescovile da Policastro a Maratea, ma per la nequizia umana non vi riuscì.

Nel 1911 il villaggio di Acquafredda fu nominato Vicaria e fu diviso dalla Parrocchia di Maratea, aggregandosi nel 1937 anche il villaggio di Cersuta. Nel 1908 le suore di Nostra Signora a Monte Calvario furono chiamate da Roma a Maratea per governare l’istituto femminile di De Pino, ed ora è stato parificato ed ha raggiunto il massimo splendore.

 

= ORIGINE DI MARATEA =

Trascrivo letteralmente un brano di Mons. Nicola Con. Curzio Arciprete di Lauria Inferiore riguardante l’origine di Maratea. L’erudito Monsignore così si esprime in un opuscolo da lui stampato: Le vere origini di Lauria e paesi circonvicini:

“Maratea fu fondata da una colonia Fenicia di Marathos città della Fenicia di rimpetto all’isola di Arado citata da Plutarco e Quinto Curzio. Detta colonia, approdata prima all’isola da essi detta di Marate, vedendo ristretti i confini dell’isola, formò un’altra colonia che si stabilì nel sito ove oggi risiede Maratea, detta così perché fondata dai Maratei.

Tra l’odierna Maratea e Tortora sorgeva Blanda, ricordata da Livio come sopra ho detto.

Da qualche poco erudito scrittura del MedioEvo la si voleva designare come sorta presso l’odierna Belvedere Calabria. Niente più assurdo di ciò. Basta dare uno sguardo alla Tavola Peutingeriana per accertarsi di ciò, quassù d’anche non ci volesse prestar fede a Livio che la chiama città Lucana…

Lo storico Troilo dice che i Saraceni, fierissimi nemici dei Cristiani, dopo aver devastato le marine del regno, distrussero anche nella Lucania, Grumento, Blanda, Tebe, Pandosia nel 914 dell’Era Cristiana. Il coro della chiesa di Blanda, in legno di noce, venne trasportato a Torot ove si conservò fino a 28 anni or sono, ma attualmente si trova nel Museo di Budapest, come opera preziosa, venduta incosciamente da un incompetente ecclesiastico agli stranieri. (Vedi l’opuscoletto dell’arciprete di Lauria a pag. 8 e 9).” Io credo che tale sia la vera origine di Maratea.

 

= NOTIZIA CONCERNENTE LA STATUA =

= DI S. BIAGIO DI ARGENTO =

Il 23 febbraio 1709, morto il degnissimo sacerdote in Napoli D. Biase Mercadante di Maratea, santo operario, colui che fece diriggere la Statua di Argento di S. Biase protettore; ed era direttore della Chiesa di Sette dolori.

Estratto da una memoria scritta da D. Nicola Ginnari, padre del Cardinale Casimiro, il 16 Settembre 1846.

Il Campanile della Chiesa di S. Biagio sul Castello era simile al Campanile della Chiesa di S. Maria Maggiore in Maratea Inferiore. Un fulmine ne distrusse il cono e il Parroco di quel tempo D. Carmine Jannini lo fece covrire nel modo attuale come ora si vede.

Il medesimo parroco fece pure selciare lo spianato davanti la Chiesa, e in quello spazio fece piantare due olmi, uno di essi fu abbattuto da un vento impetuoso ed ora se ne vede esistente uno solo. Il parroco Jannini, cessato l’assedio al Castello; la prima volta che salì in Maratea Superiore, sua Parrocchia alla Grotticella trovò il cadavere di un soldato francese insepolto, lo fece subito seppellire nella grotta accennato benedicendo il fosso e piantando su di esso una croce.

Il Parroco Monsignor D. Gennaro Buraglia della Chiesa di S. Biagio sul Castello, durante il suo parrocato in quella cura fece rivestire la Cappella di S. Biagio tutta di marmi, collocando sulla possa di essa, il medaglione di marmo del S. Protettore, che prima detta Cappella era fregiata di stucchi. Vi fece la porta di ferro che prima era di legno, e un cancellino di ottone quando la porta di ferro era aperta per tenere chiuso l’ingresso. Fece pure costruire il coro in legno di noce per i sacerdoti dietro l’altare maggiore. Pavimentò tutta la Chiesa con mattoni a rigiole, fece costruire il pulpitino per la catechesi al popolo, fece costruire il Bancone in sacrestia per conservare gli arredi sacri, acquistò il trono o baldacchino per la esposizione del SS. Sacramento, fece costruire il campanone sul Campanile e l’orologio per segnare le ore del giorno, fece pure costruire un tronco di strada nuova che adesso non più esiste, fece costruire nel villaggio Brefaro una Cappella che quivi non esisteva, in somma tutto l’arredamento e tutte le suppellettili di quel Santuario è opera del Parroco Buraglia. Fece ancora situare nel difendere la Chiesa dalla scariche elettriche che quasi tutti gli anni la danneggiavano, fu un parroco solerte e degno di tutti gli encomi: pace alla sua anima benedetta.

Dopo la morte del Parroco Monsignor Buraglia ebbe la cura di quel Santuario il sacerdote Don Giuseppe Iaselli. Costui pure fece molto al Santuario. Fece mettere a nuovo il pavimento della sacristia con mattoncelli come ora si osserva. Fece pitturare la Chiesa ad olio e fece il pavimento nuovo nell’atrio della chiesa facendo pure costruire una cappella al villaggio S. Caterina ed altri arredi alla detta chiesa. Sotto la sua cura fu costruita la cappella del villaggio Massa che prima non esisteva.

Il Parroco di Maratea Inferiore D. Luigi Monsignor Marini fece pavimentare tutta la sua Chiesa di S. Maria Maggiore con mattoni a rigiole. Fece scavare la torre sotto l’attuale coro, creandovi un soccorpo ed erigendovi un altare per la celebrazione delle messe. Fece costruire una muraglia nuova alla Chiesa che minacciava crollare. Fece abbellire il campanile adornandolo con una inferriata e procurandovi l’orologio per segnare le ore. Procurò pure una statua di S. Emidio e fece pure un organo nuovo ed altre opere esistenti nella Chiesa di S. Maria Maggiore sotto la sua cura fu riedificata la Chiesetta di S. Vito, che fu la prima chiesa di Maratea che era rovinata e rimasta un casaleno. Dopo la sua morte gli successe Monsignor D. Vincenzo Scognamiglio Protonotaio Apostolico, il quale rinnovò tutta la Chiesa che era ridotta a mal partito. Rinnovò tutto il tetto mettendolo a nuovo, intonacò al di fuori tutta la chiesa, l’arricchì di biancheria e mobili parati, riformò ed abbellì la sacrestia creandovi un gabinetto bellissimo per il parroco, mise in bello il Cappellone creandovi un frontespizio, costruì due altari di marmo nella detta Chiesa procurò la statua di S. Gerardo Maiella, mise in ordine tutte le rendite appartenenti alla Parrocchia che prima nessuno pagava. La morte lo colse prima del tempo, altrimenti la Chiesa Parrocchiale di Maratea sarebbe divenuta una vera cattedrale. Sotto la sua cura fu rivendicato la casa canonica annessa alla cappella del Porto che era stata alienata abusivamente da quei naturali di quel villaggio.

Dopo la morte del parroco D. Vincenzo Sconamiglio la Parrocchia passò al parroco D. Antonio Mons. Crispino che durò in carica 20 anni. Dopo la morte di Crspino il Vescovo Commarata conferì il Benefizio Parrocchiale di Maratea ad un sacerdote di Rivello per nome D. Vito Mirabile, trascurando senza alcuna ragione il clero di Maratea, che era all’altezza di poter reggere tutte le parrocchie della Diocesi di Policastro. Il Mirabile fu poco accetto alla popolazione, di modo che, dopo pochi anni, fu mandati a reggere la Parrocchia di Lagonegro e fu sostituito dal Parroco Gaetano Santoro di Maratea.

In una località di Maratea denominata Pietra del Sole, esiste una Cappella gentilizia sotto il titolo dell’Angelo Custode. Tale Cappella, per lo passato, apparteneva alla nobile famiglia Latronico; ora appartiene al Signor Cav. Domenico Bombace. In tale Cappella trovasi un’urna marmorea cineraria molto antica, e la tradizione dice che sia stata trovata nella contrada Fiumicello detta Santa Venere. Si vuole che quella contrada fosse stata abitata da una colonia greca. Sull’urna vi è una scritta in lingua greca che io trascrivo fedelmente su questo foglio:

La Chiesa di S. Biagio sul Castello è Chiesa consacrata. La Chiesa di S. Maria Maggiore in Maratea Inferiore è pure consacrata. La Chiesa della SS. Annunziata succursale di S. Maria Maggiore è pure consacrata e fu consacrata dal pro zio del Cardinale D. Casimiro Gennari Vescovo della Diocesi di Monte Marano per nome D. Onofrio Gennari. La Chiesa della SS. Annunziata fu allungata dal Padre D. Mariano Arcieri morto in concetto di santità, ignoro l’epoca del’allungamento di detta chiesa come pure ignoro la patria del sopra detto D. Mariano Arcieri, forse l’Arcieri in quel tempo era Vicario Generale della Diocesi di Cassano Jonio.

Gli antichi volevano rendere chiesa madre la SS. Annunziata, ed avevano concepito il disegno di ampliarla, occupando i due vicoli che si trovavano a destra e a sinistra di detta chiesa, e nei vicoli laterali formare tanti cappelloni per quanti altari si trovavano in detta chiesa, simile a quella di S. Biagio sul Castello con tre porte di fuori, però tale disegno rimase a disegno e mai nulla fu eseguito.

 

= TEATRO DI MARATEA =

= ANDATO IN ROVINA =

Nella contrada Molo Piccolo esiste un fabbricato andato in rovina, il quale era un teatro municipale. Possedeva una vasta platea da contenere circa mille persone. Vi erano due file di palchi che la maggior parte erano palchi padronali appartenenti a varie famiglie nobili del paese. Sulla porta d’ingresso vi era il palco del municipio appartenente al Comune. Aveva un Palcoscenico vasto e con delle scene di tela bellamente pitturate. Gli antichi spesse volte erano soliti rappresentare e procuravano al popolo leciti ed oneste serate.

In origine tale teatro era una Chiesa di S. Biagio. Quando i Francesi assediarono il Castello, il loro Generale adibì quella Chiesa a magazzeno bellico; vi chiuse animali, foraggio, cannoni, fucili, polvere, ed altro materiale bellico di modo che quella Chiesa rimase interdetta per molti anni e non fu mai più adibita al culto. Gli antichi allora la adibirono a teatro e quante volte le sere facevano le recite, cantavano prima l’inno del Santo Protettore e poi incominciavano a recitare le loro opere drammatiche.

L’anno 1880 moriva il Dottor in medicina D. Biagio Barone, compianto da tutto il paese di Maratea per la sua rettitudine ed onestà spiccata.

Costui, perché eminentemente religioso e cattolico, durante la sua vita si diede a raccogliere molte reliquie di santi e ne formò un magnifico reliquiario di molto valore, con l’idea poi di regalarlo al santuario di S. Biagio. Morto all’età di circa 50 anni, la sua famiglia, ossia i suoi nipoti, conoscendo l’intenzione dello Zio, ne formarono due quadri con cornici dorate, e fedelmente le regalarono al santuario di S. Biagio dove tuttora esistono.

 

= STORIA DELLA CAPPELLA DI S. ANNA =

La Chiesetta di S. Anna Benedetta in origine era una minuscola cappella di tale Santa che col tempo andò in rovina e il fabbricato rimase senza tetto e senza porta per molte diecine di anni.

Due sorelle di S. Chirico Raparo che stavano nel monastero del Rosario, di santa vita e di perfetta osservanza monastica, una notte entrambe fecero un sogno misterioso. Sognarono di parlare con la Santa Benedetta, la quale disse loro le seguenti parole: «Figlie care, la mia antica casetta, nel paese di Maratea è andata in Rovina, e nessuno a più pensato a riattarla.

Io desidero che il mio nome sia venerato in tale paese perché amo immensamente tale popolo e voglio che il mio culto sia ripreso in mezzo a lui; per tale motivo desidero che voi domani, appena suonerà la sveglia, nel monastero, vi impongo di mettervi alle grate della finestra delle vostre celle che sporgono sul piano sottostante e chiamare il primo che passa per tale piano al parlatoio e comunicargli i miei desideri che a voi ho manifestati nel sogno di questa notte.» Le povere sorelle Virgallite, che tale era il loro cognome, appena svegliatesi comunicarono entrambe il sogno avuto e figuratevi quale stupore e meraviglia non destò tale sogno nei loro vergini cuori!

Effettivamente la mattina appena suonata la sveglia si posero alle grate delle finestre aspettando con ansia qualcuno che transitasse per di là.

Non passò molto tempo e comparve un giovine contadino che si avviava per quella località diretto ad un vicino podere per la coltura del terreno, costui aveva il nome di Giuseppe Ciciararo. Le suore come lo viddero lo chiamarono e lo invitarono a presentarsi al parlatorio del convento.

L’educato e bravo giovine subito si presentò da loro domandando il perché di quella chiamata.

Le suore dalla grata del parlatorio gli comunicarono il sogno avuto e gli raccomandarono caldamente che si fosse occupato seriamente di S. Anna benedetta.

Il Ciciararo dopo aver ascoltato la misteriosa narrazione, pieno di stupore disse a quelle sante suore: «Sorelle care, cosa posso fare io per S. Anna benedetta? Io sono un poverello, perché se fossi nato ricco avrei col mio proprio denaro rifatta quella cappelletta già ruinata, e l’avrei aperta un’altra volta al culto di S. Anna, ma voi sapete che vivo col sudore della fronte e le vostre raccomandazioni, con mio sommo dolore, non potranno riuscire a nulla.» Ciò dicendo prese commiato e andò via.

Strada facendo, il Ciciararo, soprannominato il Cantore, ruminava nella sua mente, alla fine io non commetto nessun delitto se domani, domenica, mi metterò in giro per la campagna manifestando al popolo i sogni fatti e se vogliono darmi qualche elemosina per riattare quella cappella già diruta ed aprirla novellamente al culto della Santa Benedetta; tale pensiero divenne realtà e la mattina della domenica seguente il povero Giuseppe il Cantore effettivamente si pose a girare raccontando i sogni e pregando tutti di voler rifare la Cappella di S. Anna benedetta.

I cittadini di Maratea a tale narrazione tutti incominciarono ad offrire a lui larghe elemosine di modo che il bravo Giuseppe, in breve tempo, con l’oblazione dei fedeli, mise all’opera.

In breve la cappella fu restaurata, fu benedetta e restituita al culto di S. Anna.

La divozione per tale Santa mise in gran movimento tutti i cittadini di Maratea, di modo che Giuseppe Ciciararo non solo con le elemosine ricevute potette riattare l’antica cappella diruta, quanto l’ampliò, procurò ad essa una ottima sacrestia, la anche il simulacro della Santa che ancora esiste in tale Chiesa.

In seguito vi procurò pure l’organo per le sacre funzioni, fece pure con l’elemosine raccolte a Napoli la statua di S. Gioacchino, vi stabilì dei legati, che ora per incuria sono andati perduti, ed ogni anno si celebrava la festa di S. Anna e S. Gioacchino con grande solennità e concorso di popolo.

Il Ciciararo per tali fatti, si procurò grande stima e fiducia presso tutto il popolo di Maratea e tutti pieni di fiducia davano elemosina nelle sue mani, sicuri che si spendevano esattamente per il culto dei santi. Anche la Cappella di Santa Maria ad Nives situata alla cresta i un monte era andata in rovina, e Ciciararo la restaurò e la fece aprire novellamente al culto.

Il tempio di S. Biagio minacciava di crollare, Ciciararo, accortosi di ciò, si mise in giro, raccolse grosse somme e rinforzò il santuario di s. Biagio con grossi baluardi di fabbriche assicurandone la stabilità per molti secoli ancora. Giuseppe Ciciararo soprannominato il Cantore, morì di circa ottanta anni e più, rivelando al superiore locale della Chiesa i capitali lasciati alla chiesa di S. Anna, alla Madonna della Neve e alla Madonna della Catena. Tali capitali sono andati quasi perduti per incuria di chi avrebbe dovuto averne cura.

Nell’anno 1942 nel mese di Agosto il R. Parroco di S. Biagio D. Domenico Damiano insieme al Podestà Vitolo Biagio di Maratea inferiore, col concorso di popolo, costruirono una strada sul Castello e propriamente dalla cresta del monte incominciando dallo spianato che trovasi avanti la chiesa fino alla punta più culminante del detto monte, in tale punto culminante che domina tutto l’agro del paese di Maratea, fu innalzata una colonna di pietra e su di essa venne collocata una croce di cemento visibile da ogni parte del sottoposto paese. Un bravo al zelante Parroco ed al solerte Podestà Vitolo!

 

= LO STEMMA DI MARATEA =

Lo stemma di Maratea è formato di tre torri con un’aquila bicipite sopra di esse. Una torre ora è casa appartenente alla famiglia Passeri. Un'altra forma il coro della Chiesa Madre S. Maria Maggiore. Un altro che trovasi ancora intatta è sulla via denominata Galata ed apparteneva alla nobile famiglia D’Alitto unita la palazzo per mezzo di un ponte. L’aquila sullo stemma di Maratea è abusiva perché nessun decreto reale lo asserisce.

Il nome di Arciprete al Parroco di Maratea è pure abusivo perché nessun decreto canonico lo dice e non si trova in Archivio.

Il parroco di Maratea era di diritto patronato. Il Comune di detto paese, morto il titolare della Parrocchia, si riuniva e sceglieva tra i sacerdoti del paese 3 soggetti che presentava al Vescovo per la scelta del Parroco, se il Vescovo li scartava si presentavano altri 3 soggetti sino a che il Vescovo si doveva decidere a nominare il Parroco da uno dei soggetti dal Comune presentati.

In un piccolo larghetto del paese denominato Tocco la tradizione dice che colà era solito riunirsi il Decurionato per decidere gli affari della università ora appellato Municipio. Detto punto o larghetto trovasi di rimpetto alla casa del Medico Pietro Mazzei.

Nel mese di Marzo 1943 in questo paese fu impiantato il divertimento del Cinema, ogni sera il popolo accorre numeroso.

Nel mese di Marzo 1943 vennero a stabilirsi in questa Parrocchia i Padri Oblati, vi fondarono una casa, perché ebbero in dono tutta l’eredità della Famiglia Siciliani ora completamente estinta.

Sotto la cura del Rettore Curato D. Domenico Damiano nell’anno 1942 la Chiesa del Castello fu nominata Basilica Pontificia.

Sotto la cura dell’Arciprete D’Alitto, Parroco Curato della Chiesa Madrice di S. Maria Maggiore di Maratea, il Cavaliere dello Speron d’Oro D. Carmine Monsignor Iannini, missionario figlio del fu D. Giuseppe e fu Vittoria Bianco venne a Maratea da Napoli in compagnia di altri missionari per tenere una missione in questa Parrocchia. Morto il Parroco Libotti sul Castello egli andò a Cassano per il concorso, lo vinse e il Vescovo Cardosa di Cassano lo nominò Parroco della Parrocchia di S. Biagio in Maratea superiore (Castello). Dopo vari anni morì il 3 luglio del 1835 munito con tutti i SS. Sacramenti. Fu sepolto nella Chiesa del Rosario nel sepolcro di famiglia a pie’ dell’altare gentilizio di S. Filippo Neri, che appartiene alla detta famiglia Jannini. Fu eletto parroco del Castello il 1804 il 25 Aprile all’età di anni 30. Morì di 61 anno e fu Parroco circa 30 anni. Sotto la sua cura avvenne l’assedio dei Francesi al Castello nell’anno 1806.

Qui trascrivo ora una nota:

“Liber bis Matrimoniorum elaceratus fuit et sub die IV dicembris 1806, a militis Gallis sub Duce Maurizio Lamarque, qui venerunt ad proelium istituendum contra Castellum huius Maratheae superioris: et sub die XXII augusti, anni 1811, quando alii Milites sub Centurione Carolo Corredag venerunt ad diligentiam faciendam in domini mea abitationis nam falso denunciatum fuit a D. Nicolao Diodato, sue esse fidelem nico legitimo Regi Ferdinando IV, Panorimi tunc regnanti; et penes me abusive epistolas, arma, alioque in hoc regno proibita. De fedeli tate nulli dubinum de epistolis, armis aliisque, mendacium fuit; non sciebam arma sacerdotum esse la esmas, orazione, preaces et sacrificia. Teoto corde denuncianti Calunniatori veniam dedi: sino beneficia inultoties praestavi.”

Carmine Capp. Jannini.

La venuta del missionante Jannini dei Pii Operai da Napoli a Maratea fu causa della stabilirsi la famiglia a Maratea dove ancora si trova perché prima dimorava in Napoli dove sono sepolti al Camposanto Vecchio tutti gli antenati di detta famiglia. Così vanno le cose di questo mondo.

Licini chiamasi una località del villaggio di Marina a lido di mare, prende quella località tal nome dalle vicine isole che trovansi li vicino nominate S. Janni, Matriella e Dino dette anticamente isola Itacesie.

Nel 1943 l’Italia trovandosi in guerra in compagnia con la Germania contro l’Inghilterra, Maratea fu molte volte bombardate dai nemici. La popolazione terrorizzata abbandonò la notte le proprie abitazioni, rifugiandosi nelle grotte di S. Vito ed ad altri punti della compagnia e ciò per parecchi mesi. S. Biagio però, nostro potente Patrono, non permise alla bombe lanciate dal nemico, nessun guasto, ed invece di cadere sui fabbricati del paese e della campagna, le dette bombe andarono a cadere tutte a mare, il popolo divoto ciò l’attribuivano al patrocinio del Santo nostro Protettore il quale, in tutti i tempi, ha difese sempre il popolo di Maratea, dalla Provvidenza a Lui affidato. Solo una bomba, la notte del 17 agosto 1943, cadde nella contrada denominata Molo Piccolo uccidendo un maiale e rompendo parecchi vetri alle finestre delle case vicine. S. Biagio, nostro glorioso Protettore, difese tutto il popolo di Maratea in tale terribile e spaventoso periodo. Finalmente l’Italia non potendo più resistere ai continui bombardamenti dei nemici che distruggevano le città, paesi e villaggi, l’otto settembre domandò al nemico l’armistizio che subito fu concesso dalla parte avversa. Durante poi il lungo periodo bellico, Maratea dovette sopportare furti e rapine dalle truppe nemiche che tutti i giorni e tutte le notti passavano a migliaia per tutti i punti del comune. Dopo l’armistizio però, tale passaggio, termine alquanto, ed il nostro popolo, dimenticando le venazioni dei soldati nemici e i bombardamenti rapportati, rivolse il pensiero al guadagno lecito ed illecito come meglio gli riusciva. La gente più inferocita era quella di campagna, massimo le donnicciole che pretendevano della loro roba prezzi fantastici. Un uovo costava lire dieci e quindici un mazzettino di cavoli di Massa lire 14. Un chilo di fagioli secchi lire 17. Fichi secchi lire 50 al chilo. Un litro di Olio Lire 230. Un chilo di latticini lire 100. Un fazzoletto per il naso che prima della guerra si vendeva 4 soldi, nel periodo bellico si vende a Lire 100 l’uno. La carne nei macelli a L 150 il chilo e così di seguito. Il flagello castigo di Dio; però con tutto ciò si rubava senza punto curare i diritti della propria coscienza!

L’anno 1932 la Reverenda Suora Maria Serafina Ruscito di cara memoria, vero tipo angelico della Compagnia delle Suore Figli di M. Santissima di Monte Calvario, trovandosi nell’Orfanotrofio di Maratea, era solita tutti i giorni di andare nel giardino annesso al monastero a pregare in una grotti cella che trovasi in quella località. Molte persone devote del paese in quella grotticina dove avevano messo un quadro della Madonna di Lurdes. Col tempo, il benemerito e divoto cittadino Biagio Limongi Brando e la sua pia consorte Marse’, spinti e pregati vivamente dalla fervorosa Suora concepirono di chiudere la grotticella in un tempietto, vi edificarono un altare di marmo e vi situarono l’immagine della Vergine di Lurdes creando così un simpatico santuario. Spesso in quella grotticina accorre il popolo numeroso e fa colà celebrare delle messe pregando con fervore la Vergine Benedetta di Lurdes. Tutti gli anni vi si celebrava la festa della Madonna Benedetta con le consuete funzioni sacre e panegirici e il popolo di Maratea numerosissimo corre ricco di fede ad assistere alle sacre funzioni che colà si celebravano pregando la Vergine Santa che facesse scendere dal cielo le celesti benedizione del Signore Benedetto. Un bravo di cuore al devoto cittadino Biagio Limongi Brando e pace sempiterna alla defunta Suora Maria Serafina Ruscito.

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