Raccolta
di notizie riguardanti le due Università di Maratea
Superiore
ed Inferiore,
ricavati dai manoscritti del parroco di S. Biagio
D.
Carmine Iannini Cavaliere dello Speron d’Oro esistenti nell’archivio della
famiglia Iannini
ed accresciuti da altre notizie procurate
dal
discendente
Sac.
Biagio Ant. Iannini
fascicolo III
= ARCIPRETI DI S. MARIA
MAGGIORE =
= IN MARATEA =
Il primo Arciprete del paese chi si abbia
notizia è Colella Cerrato al quale (da un atto del Notaio P. Greco 20-4-1575)
Perfetto de Santo chiede alcuni documenti per l’appello in una causa canonica.
Segue Giovanni Maimone, il cui nome si ha dall’atto Greco
13-12-1582 quale Commissario del Nunzio Apostolico richiede al Governatore
Fran: de Avolos il branio secolare per una esecuzione
di
Boezio Santoro ebbe il possesso il 1° Novembre 1599 (notar
Fulvio Assafris). Il possesso fu dato dal Cantore Biase De Rosa per delegazione
del Vic. Generale della Diocesi di Policastro Commissario destinato alla sede
Apostolica. Il detto Boezio Santoro, dopo 34 anni, nel 1634
con un atto 30 Maggio del Notar Giacomo Fiorillo resigna il beneficio a favore
del nipote G. G. Santoro e fa procura ad Ant. Dario per le pratiche in
Roma, con un altro atto della stessa data si fa promettere dal nipote la
rinunzia alla donazione che si aveva fatta per terzo patrimonio perchè vi
avrebbe supplito il beneficio. Il primo è detto che il Beneficio Parrocchiale
rende 24 ducati di oro all’anno, tra certi ed incerti.
Il cennato dottore G. Giac. Santoro ebbe il befizio con bolla rilasciata apud
S. M.ia Maiorum a 7 Kal. Julii 1633 menzionata nell’atto di possesso
24 Luglio 1633 (not. Fran: Ant. Mangini) datagli dal Cantore Gregorio De Lieto
e dal Vicario foranco Propezio Scarpello, delegati dall’Arcidiacono di
Policastro, Commissario Pontificio.
A sua volta G. G. Sant. rinunziò a favore del
fratello Giov. Ant. Santoro (Notar Giuseppe Mancini 25-1-1677: intercessero i
testimoni D. Bonaventura Salone Caracciolo, D. Antonio Labanchi; Don Vespasiano
Pallamolla ec. Per impetrar
D. Giov. Ant. Santoro morì il 1701 e così dal possesso di Boezio
(1-11-1599) alla morte di Giov. Ant. i tre Santoro, zio e nipoti, ebbero l’Arcipretura per oltre un secolo.
Successore, previo concorso indetto dal Vescovo di Cassano, Don
Biase Farri, che ebbe il possesso con atto del Vicario Francesco Armeni l’Ottobre 1702.
Per il possesso D’Alitto copiare i numeri 538 e 539.
Dopo D’Alitto il parroco Ferola D. Gabriele;
Dopo Ferola D. Luigi Marini;
Dopo Marini D. Vincenzo Sconamiglio;
Dopo Crispino – D. Vito Mirabile di Rivello e
Dopo D. Vito di Rivello Santoro Sultano.
= CHIESA DI SANTA MARIA MAGGIORE =
Nicola De Rosa e Garzio Taranto, prepositi della Chiesa di S.
Maria Maggiore, con atto F. Assafris 2 Dic. 1596 convengono con Giambattista
Masino di Laurino, la costruzione di un trono intagliato, secondo il modello,
per duc. 25, oltre il vitto ed alloggio, mentre dovevano
fornire dalla Chiesa le tavole. Consegna a metà della Quaresima.
Probabilmente non fu costruito.
Altare di S. Stefano Protomartire. Paolo Palumbo con bollo del 21 Sett. 1621 ne
aveva dato il patronato all’Arciprete Boezio Santoro. Ora Bonizio Santoro e pronipote di D.
Biagio Ant. a 8 Dic. 1667 (in Gialloto De Lieto) ne costituiscono la dotazione.
È detto essere tra l’altare San Sebastiano (ex
cornu Evangeli, poi della Madonna delle Grazie) e quello di San Michele della
famiglia Greco. Lo stesso Bonizio con atto fr. Ant. Manc. del 30-8-1654 assegna
5 docati l’anno per una messa, alla
settimana, il lunedì (meno di 1 carlino a messa).
Altare della Concezione. Il Clero cede il patronato
a Carmine Diodato (Urbano D’Alm. 29-8-1760) pervenutogli con altri beni da
Armonita Cerrato.
Altare della Trinità. Monsignor Nicola De
Lennardifi, Vic. Generale di Cardi: Durante Vescovo di Cassano, ne aveva fato
il patronato ai fratelli Gregorio e Marcello De Lieto il 19-3-1547, i quali,
avevano costituito una donazione di duc. 10, onc. 9 e grani 12 ½ per messe, e
tari 4 e grani 7 ½ per i Vespri della SS. Trinità. I ducati 5 di Marcello
furono pagati dopo la sua morte del figlio D. Giov. Biase, poi da Egidio fillio
di costui, e poi da Dalmazia figlia di Egidio: morta Dalmazia col contagio del
1656, dal marito D. Giulio De Rosa. Lucrezia Giordano, 2° moglie del De Rosa
assegnò in pagamento un capitale di ducati 100 contro l’Università (Mancini 17 Dic. 1678).
Altare Privilegiato. Francesco Ventapane di M.
S. aveva dato duc. 100 al Clero per far consegnare l’altare privilegiato perpetuo ma non si ottenne. Con atto Giuseppe Mancini 9 Marzo 1664
sono restituiti i 100 ducati, e il Ventapane da 120 per due messe la settimana,
una all’altare del Santissimo, e altra all’altare maggiore che era privilegiato
il lunedì, per una concessione ad tempus.
= MADONNA DELLA NEVE CHE IL POPOLO =
= APPELLA MAONNA DEGLI ULIVI =
Gius. Mancini 31-8-1673 e altri atti
dello stesso protocollo costituito Fran. Ant. Santoro De Vescis generalis
procurator ac legittimius administrator Ven. Cappella S.ma M.ae
dell’Olive filialei edicolae Parochialis Eccl.ae
S.ma M.ae Magioris dictae civitatis.
= CANTORATO =
Dopo la morte di Don Gregorio Di Lieto fu nominato Cantore dal
Vic. Capitolare di Cassano Don Fabio Giordani che ebbe il possesso con atto
Gius. Mancini 21 Dic. 1668. È qualificato Cantor et Praefectus Chori, con
facoltà regenti et gubernachori, fu delegato al possesso il Cappellano di San
Biagio i G. Batt. Russo. In luglio 1717 (Fran.
Armenia) ebbe il possesso del Cantorato Don Biase Ant. Iacossianni.
= CAPPELLA DI S. ROCCO =
Le tre cappelle presso il piazzale dei Cappuccini sono conosciute
col nome di San Rocco, e forse una di esse doveva
essere intitolata a questo santo, ma la principale era dedicata alla Madonna di
Loreto, e da questa prendeva benedizione la intera contrada, prima della
edificazione del convento dei Cappuccini. Trovo che
Orazio Giordano Francesco Greco e il Sac. Don Giov. Giac. Bengivenne eletti in
pubblico consiglio preposti e maestri dell’erigendo convento, con atto De Pace 24 agosto
1615 comprano da Don Ant. ed Ovidio Bosso una vigna in contrada S. M. di Loreto
per ducati 100 per la costruzione del Convento. Con altro De Pace 12-6-1621 il Chierico Giov. Mida De Rosa prende possesso
dell’abbazia di S. M. di Loreto in M. fuori le mura, contrada S. Elia, nominato
con bolla Pontificia Caterina Santoro. Infine con atto Nic. Ant. Armenia 24
ott. 1656 dona un oliveto alla Timpa di Castiglione alla Chiesa di S. Rocco
“ove si dice
= LEGATI DE PINO =
Sono fondati da Giov. Ant. De Pino il Convento dei Cappuccini,
il Conservatorio delle Salesiane, trasformato poi nell’attuale Istituto De Pino.
Il De Pino era di M. dedito al Commercio, ammogliato con
Vittoria Messarola e senza figli. La sua casa era in via Piedi lo Stretto, che
è la strada che da S. Maria delle Grazie conduce a San Francesco, probabilmente
dal fabbricato di proprietà Ginnari, ora di diversi proprietari. Non si conosce
l’anno di sua morte, ma probabilmente nel 1613 se poco prima, perché vi è un
atto del Notaio Francesco Ant. Mancini del 23 aprile 1644 nel quale è detto che aveva fatto testamento per mano del Notaio
Decio Santoro (le cui schede sono andate distrutte) nominando erede fiduciaria
la moglie V. M. e che costei con atto del notaio Fulvio Assafirs 9 aprile 1613
(di questo notaio esistono soltanto 4 protocolli, l’ultimo è del 1601) aveva
tartassata la volontà del marito.
Riassunto: (106) atto De Pace 1-7-1621 relativo
alla esecuzione di un legato vivente ancora la vedova V. M.
(169)
atto Giac. Fiorillo 20-9-1641 inventario fatto probabilmente alla
morte di lei
(211)
atto Franc. Ant. Mangini 23-11-1644 compromesso
tra gli eredi egli esecutori delle sue disposizioni
(213)
Lodo, depositato presso il detto notaio atto 10-8-1644.
= CAPPUCCINI =
Giovanni Ant. De Pino aveva disposto che dopo cessato l‘usufrutto della moglie, con le rendite del suo
patrimonio si costruisse un convento dei PP. Cappuccini. Dichiarate
tali sue volontà alla vedova ed erede fiduciaria V. M. con l’atto F. A. del 9 Aprile
1613 furono eletti in pubblico consiglio gli esecutori delle pie
disposizioni, detti preadisposti magistri et procuratores Ven. Monasterii
Cappuccionorum. I primi rappresentanti furono Orazio Giordano
Francesco Greco e Giov. Giacomo Bengivenne, i quali col concorso di Giov.
Camillo Greco e del notaro Fulvio Assafris, con atto De Pace 3 Agosto 1615
fecero ad Orazio Tommaso per riscuotere un capitale di Duc. 1100 dalla Università di Turraca, e che essi avevano avuto
anticipatamente dalla Messarola, usufruttaria come è dichiarato nell’atto De Pace 1-7-1621. Con altro atto De Pace del 24-8-1615 comprarono da Don Ant. ed Ovidio Bosso una vigna
nella contrada Madonna de Loreto per la costruzione del convento ed altri
poderi, fu pagata duc. 100.
Nel 1621 (atto De Pace 117) trovo gli stessi prepositi Giordano
Greco ma al Sac. Bengivenne è sostituito Beldano De Vita. Invece
nel compromesso del 1644 (De Pace 23 Aprile) si costituisce come umile
procuratore dei Cappuccini D. G. B. Ginnari a quell’epoca (1644), dopo circa 30 anni si dichiara
finito il convento, mentre il Prc. Ginnari opponeva ancora il quadro dell’altare maggiore, la libreria e le mura di cinta
del giardino. Nel lodo le rendite della successione sono assegnate al Convento
sino a tanto che “esso Monastero non sarà ornato le fabbriche ed ornamenti
necessari e opportuni ad arbitrum boni viri, conforme
la regola del detto ordine ricerca ecc.” (come nel lodo).
Costruita verso il 1750. Fol. Di Lieto 10 Febbraio 1760 Carmine
Limongi fa donazione alla Chiesa di Acquafredda sotto
il titolo della Imm. Concezione di una terra nella stessa borgata per sacri
arredi. Accetta l’Arc. Fran: Ant. Vita Diodati.
Con atto Carmine Di Lieto 10 Dic. 1797 si fece una convenzione tra l’Arciprete Dalitto e il procuratore della Chiesa
per la costruzione della sepoltura, con riserva per l’Arciprete di tutti i diritti di stola sacra.
= CHIESA DEL ROSARIO =
È tradizione che fosse
edificata pei Domenicani. Ho trovato un atto del Notaro Paolo Greco del 29
Luglio 1567 che d’un inventario di pochi e
insignificanti mobili e di poche vettovaglie d’olio, vino, grano ecc. fatto compilare per la partenza di un
frater Ioannes, mentre si attende un altro monaco, il notaio scrive: personal
iter noi contulinuius ad Monisterium divae M.ae
Misericordia de ordine domenicano.
Dopo un decennio, nel 1578 (P. Greco 11/8) trovo
un P. Giambattista da Miglionico, Ordinis S. Francisci de Obiervantia,
residente in M. in Monisterio S.ma M.ae Misericordia, che
rilascia quietanza agli eredi di Giulia De Caro di Tortorella di un legato fattogli quando era guardiano del Moni. di
San Francesco di Policastro.
Probabilmente all’epoca suddetta,
Altre Cappelle a altari si vennero mano
mano costruendo acquistandone il patronato persone private o confraternite “per
il lascito De Pino (vedi…). Edificò l’altare di San Giovanni Battista
È del 1714 (in Ant. Mangini 15/1) il contratto per
la costruzione della soffitta col maestro napoletano Nicola Fusco, il quale per
duc. 140 oltre dieci duc. di messe ad un carlino si
obbligò di far e lavorare il soffitto con cornice, quadro ingessatura ecc.
dovendosi però fornire dalla Chiesa tutto il materiale, cornice, legname,
travi, ferri, gesso, vernici, ecc. Il convento dei M. M. Oss. viveva quasi
esclusivamente con legati di messe; trovo però un atto del Not. De Pace
30-5-1627 col quale si fa procura a Berardino Clarelli per un impetrare dal
Papa una tolleranza ad divieto di possedere legati perpetui, essendo nel
convento 15 frati, i quali vivono con detti legati, e non potrebbero vivere di
elemosine per la ristrettezza del luogo, nel quale sono molte altri due
conventi.
Ho trovato i seguenti legati:
Notar De Pace 27-2-1616 – sono pagati
duc.
De Pace 1-7-1621 Duc. 200 legato De Bono, da comprarne entrate per celebr. di
messe. – Giacomo Fiorillo 17-1-1640 Giov. Giacomo e
Francesco Giordano cedono annui duc. 4 per il legato di duc. 50 della madre
Laura Buono per messe al proprio altare.
Fran. Ant. Mangini 18-11-1636.
Legato di annui duc. 20 disposto Giov. Ant. Greco per
messe all’altare S. M. dell’Arco.
Nel 1667 da un atto di Fran. Armeni del 20/3 si ha che Biagio di
bietoc. Giov. Ant. Filizzola pagano duc. 50 ciascuno per riparazioni alla
Chiesa. I duc. 100 erano dovuti per la esenzione da
cariche universali personali destinati allo scopo anzidetto in pubblico
consiglio convalidato da R. Assenzo. – Negli atti dello stesso notaio
(9-3-1687) vi è la concessione del patronnato della Cappella a sepoltura di San
Domenico a Luigi De Liguori, di Rivello, residente in M. che si obbliga, ornare
e mantenere l’altare e dare ai PP.
annualmente 12 carlini per 12 messe nel primo mercoledì di ogni
me-se, e il giorno di San Domenico e la solita pietanza o carità per la messe
cantata.
= CONSERVATRIO DELLE SALESIANE =
Il convento dei PP. Cappuccini era quasi finito nel 1644 (vedi pag…) ma passarono molti anni prima che si iniziasse la
costruzione del Monistero di donne “secondo la volontà del De Pino, fu nel
secolo successivo che ai beni del De Pino si aggiunse una donazione del Sac.
Giuseppe De Pace, e così cominciò la costruzione. In un atto del Notaro Antonio
Mangini 25-7-1730 alcuni cittadini dichiararono che il curatore dell’esigendo Conservatorio Sig. Giulio Sifanni aveva fatto redigere un
progetto dall’Ingegnere Biagio Decimo per
trasformare a Convento le rafe donate dal def. De Pace, alle quali erano stati
apprezzati alcuni, orti e aveva anche cominciato, i lavori,
ma che per le piogge copiose erano crollati alcuni muri a 22-8-1730, con atto
dello stesso not. fu fatta altra dichiarazione che le rivalità tra il Convento
dei Cappuccini e il Conservatorio erano state eliminando con pubblica
conclusione del 1613 nella quale n’erano pure accordate franchigie al Conservatorio, ma che questo
era avversato da privati che avevano interesse ad ostacolare la fondazione per
guadagnare essi il legato De Pace.
A quell’epoca (1730) si erano già
riunite le prime suore, in una casa in affitto; era abatessa Suor M.a
Addolorata di Gesù e Vicario Suor M. Chiara Fesanda,
la quale donò al Monastero, rappresentato dal curatore Don Gio. Batt. Ginnari (il Ant. Mans. 11 Sett. 1730) una vigna alla Vallina, conf.
con Don Biase De Sanctis (l’attuale vigna Tarantini gravata di una ipoteca di ducati 100,
che essa suor M. Fesanda aveva preso dal Clero per contribuire alla fabbrica
del Monastero.
I fratelli Sifanni Don Giulio e D. G. B. sono dichiarati
benemeriti del nascente Istituto in un atto del d.o Notaio 28-9-30 è detto anzi che l’Istituto è potuto sorgere per la loro opera. L’Abbatessa e
Il Monistero aveva preso nome dal tenuto benefattore e chimavasi
“S. M. della Pace” cosi è denominato in un atto del
Notaro Urb. D’Armenia 6 Dic. 1755, col
quale l’Università di Torraca cedé in pag.to un
credito di duc. 300 verso Agostino Gemmane di Napoli restando debitore di altri
duc. 23 fruttiferi al 5%.
= CONFRATERNITA DI PORTO SALVO =
È tra le più antiche.
Con atto 7 Assafris 8-2-1598 i padroni
di terra e i marinai si obbligano di pagare mezzo quarto di parte di terra per
ogni viaggio alla Cappella di S. Maria di Porto Salvo esistente nella Cappella
di Santa Maria della Misericordia, officiata dai MM. OO. per
il culto ed altre opere pie. I prepositi o magistri della Congrega erano eletti
dai Marinai. Tale obbligo del mezzo quarto è confermato con altro atto del not.
De Pace 20-5-1630, nel quale è precisato che l’altare è il secondo a destra quando si entra, dopo quello del
Rosario, ed è stabilito che i reggitori della Cappella devono aiutare i marinai
in caso di infermità, con garenzia di pegano per la rivalsa appena tornati in
sanità. In seguito
= CONFRATERNITA DI S. M.
MAGGIORE =
È la più antica. A richiesta del Priore e dei
confratelli, l’Arc. Boezio Santoro dichiarò
pubblicamente (in Giac. Fiorillo 4-4-1637) che per quanto era a sua conoscenza
(aveva 88 anni) e durante il governo suo e dei predecessori Cerrato e Maimone
aveva sempre la precedenza sulla congrega del SS.mo, come più antica
meno nella processione del venerdì infra l’ottava del Corpus e in quella dell’ultimo Giov., nel venerdì perché movendo la processione dall’altare del SS. dove si officiava, si dava la
precedenza alla Cong. del SS.mo nel Giovedì per essendosi per un
certo lungo fatto l’uso delle processioni durante
l’ottava ed avendo la confraternita del SS.mo
la precedenza nel Giovedì sera, ossia la precedenza per accorparsi con
Da questa Confrat. dipendeva un Monte di Pietà liquidato nel
1625, come rilevasi da un atto del notaio De Pace 16 Ott. 1625, col quale il
Cassiere del monte Fran: Roucida rende il conto di buoni e si dichiara che del
cap. di duc. 340 eransi intestati in compra di annue entrate in duc. 21, e
= CONFRATERNITA DEL SS.MO =
Questa Conf. era in quistione con
= CONFRATERNITA DELLA MORTE =
Compra di annue entrate pro Ononosuis
et praepositis Ven.lis Confraternitatis Mortis. È cassiere l’Arciprete Santoro. In Ant. Vincenpius 7-3-1641.
= IDEM SAN CRISPINO =
Appalto delle medicine col farm. Giuseppe M. Russo per nove anni
e per annui duc. 90 (Fran. Greco 22-10-1763).
= IDEM ROSARII =
Capitolo e statuti Sig. Antonio Mangini 5-8-1738.
= IDEM DELLA IMMACOLATA =
Nell’archivio della Confr. si conserva la dichiarazione di voler fondare una
congregazione sotto gli auspicii e la protezione di nostra Signora della
Immacolata Concezione con le seguente firme, Pomponio Giordano, Fran. Ant.
Greco, N. Francesco Perretta, Giulio Cesare (?), Gaetano Fani, Giov. Ferd.
Ginnaro, Donato Giordano, Francesco Sifanno, Giov. Berardino Siciliano,
Giovanni Pietro Lombardi, Antonio Chiarelli, Scipione Pepe, Domenico Linardo,
Diego Ginnaro, Biagio Comes, Don. Ant. Mangino e Biagio Mercadante. Gli statuti
furono approvati dal Vescovo di Cassano (Franciscus
Ep. Cassanem) con rescritto dato a Napoli il 1 di Luglio 1688. Il R. Assenso è del 25 Sett.
È tradizione che
In un atto del Not. Urb. D’Arme: del 15-1-1748 si fa una convenzione col Barone Labanchi
per l’allargamento della Chiesa essendovi a tal uopo
comprata una casa confina a questo scopo. Labanchi con atto del 7-5-1747.
Probabilmente però l’ampliamento, a quel tempo,
non ebbe luogo, non essendo traccia di due diversi ampliamenti; mentre solo
verso il 1825
= CLERO =
Il Clero di S. M. Maggiore è stato sempre immenso. In un atto
del notaio Annibale Assafris 4 Ott. 1575 (compra di annue entrate) sono
indicati i nomi di venti sacerdoti, e in primo luogo il Cantore Biagio De Vita,
probabilmete era morto l’Arcip. Cerrato, e non ancora
era stato nominato il successore perché il nome di Giovanni Maimone figura tra
i sacerdoti. Prendo dalla seguente dichiarazione fatta da alcuni cittadini in
un atto del not. Urb. 5-6-1735.
Quanto alle decime trovo dichiara zioni che erano in contanti e
non in grano fatte in atti del not. Ant. Mancini dai Sindaci di M. S.
(25-3-1738) dai Sindaci e cittadini Trecch: (30-3-1738) di Lago: (3-5-1738) di
M. (31-5-1738).
= MADONNA DELLE GRAZIE =
= (CONSOLAZIONE) =
Alla Garazza. Legato per Vespri e Messa contata un atto Urb. 2
Sett. 17…
= PREDICATORE =
Con atto De Lieto 26-2-1754 Francesco Ant. Cavalcante da
Fuscaldo dei M. M. dichiara che è stato destinato dal
Vescovo a predicare nella Quaresima, ma ciò non pregiudica l’antico solito e il D. della Univer. a nominare il
Predi. Con altro atto del 27-2-1759 (F. De L.) il
Sindaco protesta contro il Pred. mandato dal Vescovo, e dice che non pagherà il
pred. (D. Bonifacio Nasci) risponde di non aver chiesto pagamento di sorta.
= CHIESA DELLA ANNUNZIATA =
In pubblico Parlamento del 4 Sett. 1583
È notevole che dopo la concordia
di Audeno, a successore di Fabio Boreo è nominato della S. Sede Gio.
Nicola Remida, che ha il possesso 4-2-1601 (in P. G.) e nell’atto si parla esplicitamente di Chiesa
Parrocchiale. (Successore di Remida fu Giovanni sono,
e poi Francesco Ginnari che ebbe il possesso con atto De Pace 25-3-1627, e qui
si parla di Cappellano Curato della SS. Annunziata, ma la nomina è fatta con
bolla pontificia). Dopo la morte del Ginnari, il Sac.
Battista Armenia con atto del 6-6-1633 (Fran. Fiorillo) fa premura ad
Ant. Dario in Roma per avere la bolla di Cappellano della Chiesa Parrocchiale della SS. Annunziata fu quindi nominato Giov. Tommaso Biagio
(videre atti 1-12-1650 al no. 175). Quindi
Battista Ginnari nominato con Bolla spedita a Roma il 18 Ott. 1662 e che ebbe
il possesso a 21 Nov. Succ. (ve. Giov. Moriem) dal Cappellano della
Chiesa parrocchiale di S. Biasi Don Giovanbattista Rosso per delegazione del
Vescovo di Cassano. Da notare un atto del Not. Francesco Ant. Mangini 21-8-1638
Don Biagio Santoro già Arciprete era Cappellano perpetuo della Cappellania
eretta da Fabio Torraccani nell’altare di S. Caterina nella Chiesa dell’Annunziata, nominato con bolla Vescovile, e cede
il beneficio, per la grave età, al Clero di S. M. Maggiore. È detto che
Il Convento era stato edificato all’Università e dai
cittadini con Atto De Pace del 27-2-1616 furono pagati duc. 200 di
pubblica sottoscrizione. Con altro atto De Pace 10-9-1631
Francesco Armenia, danno duc. L’Università aveva sin dal 1608 mediante conclusione ecc. copiare
il N. 192. Annessa alla T. vi era altro locale donato
a San Francesco da Gio. Biase Perretta con atto N. Giac. Fiorillo 7-11-1650.
In fine San Francesco fu scelto a compatrono come da atto per
not. Antonio Mancini 5-4-1729 (40404).
= PARLAMENTI GENERALI =
Per l’intervento nei Parlamenti
Generali in Napoli ho trovato i seguenti atti – vedere 5-47-191-249-504-505-506.
= CAPITANO A GUERRA =
A 6-6-1638 (Fr. Ant. Man.) Marco
Antonio Carafa è riconosciuto dalla Università
Capitano a guerra, “citra prejudicium” del d. della Univ. di fare tale nomina.
Il Carafa era stato altra volta Governatore
nel 1633 e nella atto del 207 (Nic. Ant. Arm.) è qualificato
cavaliere napoletano e N. Consigliere di S. M. “in rebus bellicis, ne status Hontriae et ad guerram capitanens”.
Nel 1643 (Fr. Ant. M. 20/7) l’Università fece protesta e il Gov. Bartolomeo Hidalgo, che aveva
attenuto patente di Capitano a Guerra, perché spettava ad essa Univ. di fare la
elezione, e già vi aveva provveduto.
Altra protesta fu fatta il 13-7-1644
(Fran. Ant. M.) contro Giovanni Bonifacio: è detto che negli anni passati si
sono fatti ritirare, malgrado la nomina, essendo diritto della Univ. di
nominarli, e l’Ufficio è stato esercitato da
quelli nom. dalla Univer: così nel
= TORRE D’ALITTO =
La tradizione che
Della torre però non si fa menzione. Un secolo più tardi
= OSSERVANZA DEI PRIVILEGI =
Vedi Capitano a guerra.
Per l’esenzione del passo in Lauria
copiare al no.
111.
Quantunque di questa terra di Maratea non si trova memoria presso gli antichi, alcuni moderni cedettero
fosse già famosa città, ricordata col nome di Blanda, ecc.
Lacava Michele – Del Sito di Blanda, Lao e Tebe Lucana, pag. 19
nota “se Maratea non ha vestigia di antichità, il suo
nome suona greca parola come i nomi di Cheromea, Platea, Mantinea ecc. in
Grecia. Questo fu per la prima volta avvertito dal Mandelli; e Lenormant divide
la medesima opinione. Quindi se non il paese di Maratea, il nome almeno del
luogo e dell’agro è bene antico, e potrà
se non rimontare ai tempi degli antichi coloni greci, essere dell’epoca Bizantina.”
Antonini Gius. Barone di S. Biase Napoli 1745 discorso XII p.
437 “di Maratea e dei luoghi sino al Lao – Venuti alla
sassosa marina di Maratea, un miglio verso la collina trovasi
D.M.
L. AELIO PIO
L. AELIUS. SERENUS
FRATRI. OPTIMO.
Io vi ebbi una volta l'intera armatura, che fu trovata sopra un
cadavero. Sarebbe stata pregievole, se la ruggine non l'avesse consumata.”
Lacava op. cit. pag. 14: …l’incisione addetta non fu rinvenuta in Maratea. È una lapide in
Napoli segnata nel corpo inscript. del Mommsen al 4° 2007, e con sconcia
impostura dell’Antonini attribuita a
Maratea. È a notare che l’Antonini il Dottor P.D. conserva una
incisione, che da noi veduta, essendo stato il padre dell’Antonini Governatore di Maratea nel… è invece
verosimile che l’Ant. abbia veramente veduto
la lapide che in seguito sarà trasportata in Napoli, bastantissima però per
farne credere l’antica memoria.
Sulla montagna che sovrasta a Maratea è posta una
altra terra murata, chiamata Maratea soprana, la quale dimostra di essere
alquanto antica per le sue mura che paiono di circa al secolo X. L’aria che si gode dai piani che qui sono è così
perfetta, che non si può dir di più, e la vedetta si stende sino a Capri da
occidente, e per segni altro lato lontanissima. In questa terra è una mediocre
chiesa ove conservasi il corpo di S. Macario; e per quanto i paesani dicono e
fu autentica scrittura mostrano anche l’intero torace di S. Biagio; sonosi taluni avanzati
a dire esservi l’intero corpo,
ma questa opinione tanto meno mi appiglio, quano che in Civita di Penne,
ne' Marrucini, si venera il Corpo dello stesso Santo, ed io l'ho ben due volte
veduto; posto da parte ciò che si conserva in Napoli nella Chiesa allo stesso
Santo dedicata.
Questa Terra, in così elevato luogo posta,
(quando non sia la città inferiore) fu creduta esser
Pacichelli Regno di Napoli in prospettiva, p. I, pag. 988 “Maratea. È città per privilegio, così detta per
la superstizione dei gentili alla Dea del mare, situata nelle falde e cime di
un monte per un miglio di camin disastroso… ubbidisce al Monarco di Spagna, il
cui Governatore, allo Spesso Nationale, regge i due corpi di lei separati, che
chiamano Città alta, e bassa. Più antica è la prima, chiusa con mura mille
passi, e munita d’inespugnabili Bastioni, e
vari pezzi di Artigleria, con due Porte, esposta alla
furia de’ venti, e le Case picciole di un Sol Quarto,
nominandosi volgarmente il Castello: si scosta per due miglia di tortuoso passeggio
l’altra, e si distingue con le maniere più docili de
gli abitanti.
(Segue di S. Biagio, chiesa e miracoli)
Supponsi antica l’origine di siffatto castello, avendosi registro anche in fede di
Sig. Paolo Regio che nel 287 di nostra salute e anno del martirio del santo,
ricevesse con l’opera dei proprii cittadini,
da Sebaste l’insigne reliquia. È quella di
riputazione fra gli Armeni: e soli son chiamati qui alcuni, creduti successori
di quelli che n’accompagnarono lo stesso
sacro deposito… gli abitanti del Castello 700.
Ora si distende l’inferiore, all’aspetto del settentrione, cresciuta con la popolazione del
castello, e costituita alla fabbriche disfatte, fra
cui
Sei torri custodiscon la sua Riviera, l’ultima delle quali verso il Settentrione, divide
il suo da qual di Sapri. Nel più nobile del Mare giudicasi la migliore del
Regno, quella gran Torre, che viene detta l’Imperadrice, con più Cannoni, e il Reale
Artigliere. Termina con l’Austro
La distruzione di Blanda coincide la formazione e l’incremento di Maratea e probabilmente i pochi
abitanti dispersi avranno accresciuto il numero dei Marateesi; se è vero che
Blanda era in questi luoghi.
Su Maratea non vi sono vestigia di antichità,
e gli Antichi scrittori non ne fanno menzione, eppure il suo nome di Greca
origine rimonda ai tempi delle colonie greche, anziché ai tempi più recenti a
ritenere che non sia stata mai una città o colonia di notevole importanza,
perché di una città scomparsa sussistono sempre gli avanzi delle sue mura, dei suoi edifizii, e della sua esistenza, e se ne trova sempre
qualche memoria negli antichi storici e geografi.
Alcuni scrittori hanno ritenuto che Maratea corrisponde
all’Antica Blanda così Mandelli (luogo citato) Camillo
Pellegrino (nella tavola del Duc. Benevento sopra Blanda nunc Maratea) Cluviero
(Italia antica p. 1263 “Blanda forsam Maratea?”) Troyli (Istoria del Reame di
Napoli tomo 1° p. 2 p. 16… in Mararea con Filippo Cluviero la collocheremo non già
in M. I. città moderna e non molto antica, ma in
quella superiore) Romanelli (…) Giuseppe del Re (…)
Ma sono semplici congetture, assai lontane dal
vero, riconosciute errore da coloro che con accurate indagini hanno
studiata la quistione Blandana. V. Lacava
M. S. non può essere città greca perché gli antichi situavano
bene le loro città e i casolari nelle montagne inaccessibili, come questa di
Maratea, cominciarono a formarsi verso il 6° o 7° secolo
quando scomparvero non poche città che erano al piano e nelle valli. Oltre a
ciò si troverebbe il nome di Maratea negli antichi scrittori e geografi, come
si trova il nome di Blanda in più luoghi, come in Tito Livio (XXIV-20) Pomponio
Mela, in Tolomeo, e nella Tavola Peutingeriana. Dai Tempi della Magna Grecia, o
dei tempi Bizantini però essere il nome di Maratea, dato forse al territorio;
ma dalla natura del nome non si può trarre alcuna conclusione, perché è assai
difficile per non dire impossibile indagare l’origine del nome delle città, e le spiegazioni etimologiche sono
sempre quasi fallaci. Narra la tradizione che al tempo della
traslazione in Maratea del Corpo di S. Biagio, venne
miracolosamente additato il Castello come luogo scelto a novella dimora del
Santo. Ora in che sia fosse cominciato a sorgere ivi il nuovo aggregato di case
che divenne poi Maratea Superiore, sia che le prime
abitazioni siano state costruite introno alla nuova Chiesa eretta per
custodirvi le sacre reliquie, certo Maratea Inferiore ebbe incremento o
nascimento dalla Traslazione del Corpo di S. Biagio. L’epoca di questa traslazione è incerta, ma si può
con giusta ragione assegnare al 7° o all’8° secolo dell’era volgare.
Il Mandelli opinava che M. S. o Castello fosse stato edificato
dai terrazzani o abitanti della valle per rifuggirvi alla invasione
d’improvvisa incursioni di corsari. Dalla lettera di
S. Gregorio Papa a Felice Vescovo di Agropoli, dell’anno 592 risulterebbe che Blanda era stata
devastata dai Longobardi ed altri invasori, e non era in grado di avere il
proprio Vescovo; se nonostante nel 649 vi era Pasquale, Vescovo di Blanda, e
questa trovasi menzionata dall’Anonimo di Ravenna che visse nel 7° secolo è a ritenere che
Blanda subì il fato di tante altre città che in quei secoli vennero a poco a
poco decadendo, essendo ripetutamente saccheggiate e devastate, sino a
scomparire del tutto, senza che si possa parlare di distruzione come
conseguenza di causa unica e determinata.
Il sito dove è edificata M. I. della
quale la parte più antica il primo nucleo, è evidentemente la zona di Capo il
Casale mostra che ebbe origine uguale a quella di M. S., e che rimonta alla stessa epoca, il bisogno cioè di prendere dimora in luoghi
inacessibili, nascosti e di facile difesa contro i nemici. I due rioni di M.
sono uno sulla vetta del monte, introno al Santuario, e l’altro alle falde, in luogo nascosto, erto e
scosceso, fuori la visita del mare, donde si temevano i nemici (corsari).
La necessità della facile difesa, fece dimenticare la insalubrità del sito, che è senza sole. Se là il sito di M. Inf. fosse stato scelto perché più vicino al
Castello, luogo fortificato, e rifugio in caso di bisogno, non si capisce
perché non dovevasi sciegliere poco discosto il luogo più pianeggiante e
salubre, donde fosse egualmente agevole di ritirarsi al Castello, tanto più che
dal Castello si domina il mare e la valle, e come oggi con uno stendardo si
annunzia il miracolo della Manna di S. Biagio, a quel tempo con un segno
qualsiasi potevasi dare l’allarme.
Sembra pertanto che la ubicazione di M. Inf. sia stata
determinata dall’essere il luogo di sua natura
di facile difesa, e nascosto ai Corsari, quando ancora Maratea Superiore o non
esisteva o non era fortificata e in ogni modo non poteva offrire una valida
sicurezza agli abitanti delle valle.
Il Mandelli in un suo manoscritto: “Si ha così la prima menzione
di Maratea al 1079, perché è questa la data della Bolla di Alfano. Due secoli
dopo Maratea doveva già essere una certa importanza a quanto si deduce da
diplomi di Carlo II di Aragona ecc. Maratea Superiore o Castello non può essere
stata una rinomata città della Lucania, anteriore a Blanda, ingrandita
abbellita e fortificata dai greci, perché non ha avanzi di antichità, mentre di una città antica di qualche importanza sussistono sempre le
tracce. Il suo nome di greca origine come avvertiscono Mandelli, Lenormant e
Lacava (vedi Lacava, Blanda, pag. 19 nota) ma non si
può dire se sia appartenuto ad una colonia greca o semplicemente al territorio
né se rimonti agli antichi coloni Greci o all’epoca Bizantina. Ma dal nome non si può trarre alcuna
conclusione, perché è assai difficile per non dire impossibile indagine l’origine del nome della città e le spiegazioni
etimologiche sono quasi sempre fallaci.
Gli antichi scrittori e geografi non riportano il nome di Maratea,
mentre parlano di Blanda in più luoghi. Se M. fosse stata ma
città di qualche importanza coeva a Blanda, se ne troverebbe uno accenno negli
antichi scrittori, e nelle geografie od itinerari.
I Greci non situavano mai le loro città in luoghi inaccessibili,
senza territorio, senza acqua, lontani dal mare, invece tutti i casolari,
borghi, castelli e paesi, situati come M. S. sulle cime de monti cominciarono a
formarsi dal 6° all’8° secolo dell’era volgare, quando devastante e rese inabitabili
dalle continue scorrerie, le città che erano al piano e nelle
valle vennero a poco a poco scomparendo, e gli abitanti si ritirarono in
luoghi di facile difesa e sui monti.
Anche di Blanda si conosce molto poco.
Si sa da Tito Livio (XXIV, 20) che era nella Lucania, ecc. Lucanis Blanda così pure Tolomeo la pone tra le città mediterranee della
Lucania, Geogr. 11-1-70, mentre Plinio la ripone tra i Bruzii (IIIX) se ne
trova solo il nome in Pomponio Mela, e nell’anonimo di Ravenna e nella tavola Peutingeriana itinerario geografico
compilato nel medioevo, su tavole più antiche, è situata a XVI miglia dal Lao.
La distruzione violenta e improvvisa di Blanda per forte
tempesta di terra e di mare sembra inverosimile ed almeno non è ricordata da
antichi scrittori. Si suppone invece che la città sia stata più volte devastata
da scorrerie e invasioni. Blanda era sede Vescovile, e nel 592 S. Gregorio Papa
in una lettera al Vescovo di Agropoli gli commette la
visita della Chiesa di Blanda e di altre sedi vicine (Velina, Bussentina et Blandana)
che non avevano Vescovo, e tra l’altro gli ingiunge… Nille Ministeria recondita si accenna alla
suppellettile dei vari ed arredi sacri nascosti all’avvicinarsi dei Longobardi e di altri nemici, e
non sempre ritrovati per le frodi e le morti di coloro che li avevano nascosti
(Troya e di Meo in Lacava p. 6, nota) Blanda perciò era stata devastata e non
era in grado di aver nuovo Vescovo. Dopo alcuni anni nel 649 tra i Vescovi
intervenuti al Concilio Lateranense si trova Pascalis episcopus S. Ecclesiae
Blandanae terminando così ogni altro accenno della antica
città. Si desume da ciò che Blanda subì la sorte di tante altre città antiche.
Devastata più volte nelle guerre tra Greci e Longobardi, esposta alle scorrerie
nemiche venne a poco a poco scomparendo ed abbandonata dai suoi abitanti e si
perdette col tempo ogni vestigia financo della località ove era situata.
Intanto gli scrittori della antichità non sanno
precisare il posto dove trovasi l’antica città di Blanda.
Ai pantani di Castrocucco, proprio ai terreni secchi e privi di acqua, vicino al ponte, da poco costruito, sul fiume
Noce, per il passaggio della strada carrozzabile che mena a Praia di Aieta,
trovasi in quei terreni dei ruderi che indicano che un tempo colà doveva
esservi una città, credo che qui ruderi sono gli avanzi della antica città di
Blanda distrutta. Chi si porta in quella località potrà vedere, costatare e
convincersi di quanto si asserisce.
I poveri Blandani superstiti alla distruzione della loro patria,
si rifugiarono nella vicina Maratea, per modo che i Marateesi sono in buona
parte discendenti dai cittadini Blandani, i quali ne aumentarono i fabbricati e
il numero degli abitanti.
Anche Buxentum, oggi Policastro trovasi come Blanda senza
Vescovo, e in tali condizioni da non poterne avere, tanto che S. Gregorio l’affidava al Vescovo di Agropoli
con la lettera succitata: ma non fu devastata come Blanda ne’ completamente abbandonata, tanto che dopo uno o
due secoli tornò ad essere la sede Vescovile.
I protocolli dai quali ho attinto maggiore copia di notizie sono
quelli dei notari Giovan Paolo Greco dal 1564 al 1602;
Annibale Assafris dal 1565 al 1576
Fulvio Assafris dal 1590 al 1601
Giovanni Antonio De Pace dal 1601 al 1633
Giovanni Giacomo Fiorillo dal 1613 al 1652
Nicola Antonio Armenia dal 1632 al 1657
Francesco Armenia dal 1663 al 1724
Felice Di Lieto dal 1747 al 1809
Urbano Armenia dal 1730 al 1773.
Giuseppe Mancini dal 1658 al 1697
Pietro D’Orlando dal 1700 al 1745
Francesco Antonio Mancini 1626 al 1614
Antonio Mangini 1698 al 1738
Francesco Greco 1752 – 1794
Gaetano Siciliani 1800 – 1820
= ORIGINI =
Maratea Superiore o Castello, sebbene molto antica
non può essere stata colonia greca, per la sua posizione sopra un monte senza
campagna, senza acqua, in luogo assai ristretto, e deve aver avuto origine dal
6° all’8° secolo, quando gli abitanti delle valli
perseguitati da continue scorrerie cercarono rifugio sui monti per potersi
facilmente difendersi. Eguale deve essere stata l’origine di M. Inferiore
cominciata a costruirsi nella zona di Capo il Casale, sito di facile difesa,
perché inaccessibile e nascosto dalla vista del mare.
Il territorio di Maratea però doveva essere abitato da tempi
remoti, forse da coloni greci, che si dettero il nome
senza costruirvi tuttavia un centro di qualche importanza. Si sa che vi era una
via littoranea da Pesto a Regio detta via Aquilia: la tavola Peutingeriana,
compilata nel medioevo su altre più antiche, seguendo i luoghi lungo questa via
dice: Cesernia VII, Blanda XVI, Laviniam VIII, Cerelis XI accidentalmente in
Maratea non doveva esservi un paese meritevole di esser menzionato, ma la
campagna salubre, l’abbondanza di
acqua, la vicinanza del mare dovevano attirare coloni sino dai primi
tempi; ne è prova la scoperta qua e là di antichi sepolcri, uno dei quali
scoperto nella contrada di S. Basile con alcuni vasi di finissima argilla, e
con bella cornice nera, la consueta dei vasi italogreci. Verso l’epoca suaccennata per l’origine di M. S. avvenne la traslazione delle
reliquie di S. Biagio e ciò fu certo causa del nascimento e dell’incremento del Castello, senza che possa a ciò assegnarsi un epoca certa o probabile. Dato che
il primo nucleo dell’attuale Maratea sia stato un tempo appellato Casale (la parola Capo si
premette comunemente ai luoghi alti) ne deriva che più
antica deve essere stata M. S. o Castello e M. I. ne era un casale.
Si come sian, le prime case di
Maratea furono edificata nella zona di S. Vito e Capo il Casale, bisogna
assegnarsi l’origine alla stessa epoca di
M. S. o Castello dal 6° all’8° secolo quando gli abitanti delle valli non potendo più
sostenersi nelle antiche abitazioni. Nei secoli posteriori si trovano ordinate
in due Università distinte o diverse.
Neppure però ritenersi nel posto dell’attuale città, sito insalubre e senza sole nei
mesi d’inverno ad un estremo della valle e senza acqua. Dovettero cercare dei luoghi nascosti e di facile difesa.
Dopo il 6° secolo gli abitanti delle
valli continuamente bersagliati nelle guerre e dalle scorrerie abbandonarono le
primitive dimore e si ridussero sulle montagne, nei luoghi nascosti,
inaccessibili e di facile difesa. Ciò avvenne da pertutto, e dovette avvenire
in Maratea, dandosi così origine al Castello detto Maratea Superiore, ed alla attuale città, con le prime case probabilmente nel
luogo detto Capo il Casale, che è pure luogo sicuro perché nascosto ripido e di
facile difesa.
Se l’acquisto delle Sacre Reliquie
di S. Biagio coincide con questa epoca (del 6° o all’8° secolo) Maratea Superiore non dovette avere
incremento, o forse addirittura nascimento in tal modo. Narra la tradizione che
miracolosamente fosse additato il luogo eletto da S. Biagio a sua dimora a quel
tempo, già vi erano abitanti, dovette aumentare il numero, sia per la difesa
delle Sacre Reliquie, sia perché cercavasi aiuto e protezione e asilo intorno
alla Chiesa e al sacro deposito. Se non ci erano, fu
quella l’origine di M. S.
Circa l’origine di M. I: si possono fare diverse ipotesi:
Il Mandelli ritiene che M. S. fosse stata
edifcata dai Terrazzani (abitanti della valle e di M. Inf.)
per rifuggirvi nell’occorrenza di improvvisa
invasione di corsari, e secondo questa opinione, più antica sarebbe M. Inf.
come formata dall’unione dei coloni della
valle, e il Castello sarebbe stato edificato a difesa della città e del
Santuario. Secondo altri sarebbe più antica M. S. e la inferiore
sarebbe stata dapprima un casale di quella, nel luogo ove ora dicesi Capo il
Casale, con
M. S. è più antica e M. Inf. fu edificata dai Castellani pel bisogno di coltivare la valle. La ipotesi
del Mantelli è ammissibile, ove al bisogno della più efficace difesa si
aggiunga il culto e il patrocinio di S. Biagio come ho detto innanzi.
La 2° ipotesi avrebbe a sostegno la circostanza che un nome di
M. I. è appellato Casale e un altro Casaletto, e i
casali, e risaputo, erano abitati che si venivano formando nel territorio della
civica o Castrum. Ma non si capisce perché le abitazioni sarebbero
state costruite in un luogo senza sole, quando costava situarla verso il
perimetro dell’attuale città, o d’altra parte.
L’origini comuni delle due frazioni è
indubitabile non solo pel nome anche per la promiscuità del territorio. Il nome
di Maratea, in latino Marathea o Marathia si trova la prima volta, secondo il
Mandelli nella Bolla di Alfano, Arcivescovo di Salerno, del
= LE DUE UNIVERSITA’ =
Per parecchi secoli, sino al 1808, Maratea era divisa in due
frazioni principali, delle quali una era chiamata Castello e l’altra Maratea, e nel linguaggio curiale Maratea
Superiore e Maratea Inferiore.
Questa denominazione sussiste tuttavia nell’ordinamento ecclesiastico, chiamandosi M. S. la
parrocchia di S. Biagio che è il Castello, e M. I. la parrocchia di S. Maria
Maggiore.
Nelle concessioni di privilegi e diplomi e in altre scritture
che emanavano dal Governo centrale però si parla
semplicemente di Maratea, e con questo nome si comprendono i due rioni.
Amministrativamente sino al 1808, erano due Università, con ciascuna il
Sindaco, gli eletti e gli altri officiali, il bilancio
e le proprie entrate, ma parecchie spese erano fatte in comune, e il territorio
era pure promiscuo. Queste promiscuità denota, l’origine comune delle due frazioni, sia che
M. Inf. sia sorta come casale e borgo di M. S., sia che questa sia sorta come
Castello, a difesa di M. e a custodia delle S. Reliquie di S. Biagio. In
contrario non vi sarebbe stata ragione di tale promiscuità non essendovi
traccia di concessione di principe, né potendosi immaginare un possesso
sufficiente da indurre la presunzione (in nota Rinaldi). Altra prova
indiscutibile dell’unica origine sono le leggi o
consuetudini municipali, dette Statuta Universitatis, approvate dai cittadini
delle due frazioni verso il 1845 e delle quali a noi non è pervenuta traccia.
Volendo stabilire la natura giuridica di tali rapporti, che ora mostrano una
sola città Maratea: ora con relazioni promiscue, ora due Università separate e
indipendenti, e a ricordare che nel medio evo, come presso i
Romani le città (oppidum) unitamente al territorio (territorium) a cui
appartenevano luoghi piccoli (vici, castella) e comuni di campagna (pagi) formava un tutto politico (Olegel, Storia dei Municipi
Italiani p. 24). Una città era la riunione della campagna e della città e gli
uomini non si distinguevano, come oggi, in una popolazione urbana ad una popolazione rurale. Ciò che si chiamava vicus o villaggio
era una parte integrante della civitas e l’abitante del villaggio era un membro della città (Fuste da
Conlanges, nelle origini del regime feudale no. 1). Ciò per altro non toglie
che tanto presso i Romani, quanto nei secoli posteriori il vicus e il pagus
avevano una personalità propria e di ragione privata per la quale potevano
contrattare ed accettare donazioni e legati a
somiglianza a qualunque privato cittadino o collegio o corporazione (De
Ruggiero publicus pivatus 5). Quando sul territorio di una colonia o di un
municipio si fondava una specie di villaggio o communello rustico con una certa
autonomia (vicus, pagus) anche questo si costituiva il suo particolare
patrimonio demaniale che si amministrava da se indipendentemente dalla colonia
o dal municipio di cui faceva parte (I-vi).
= GOVERNATORI =
Dal certificato del Sindaco Alasei appare che vi erano sei
governatori della Cappella di S. Biagio, e di questi, due erano nominati dall’Università Superiore, 4 dalla inferiore.
In diversi antichi istrumenti si trovano costituiti gli economi
e prepositi della Cappella. Nel 16 Maggio 1626 (De Pace) due economi eletti della Università e i due Sindaci di Mar. Inf. fanno procura
a Orazio Giordano per riscuotere somme donate dalla Maestà
Cattolica (non si dice quale) Il 23 Marzo 1642 v. n.o 20 vedere 521 e 537.
= DE PINO =
Il Conservatorio delle Salesiane o della Visitazione,
trasformata poi in Istituto De Pino, e il Convento dei PP. Cappuccini, furono
fondati con le sostanze lasciate da Giovanni Antonio De Pino. Questi visse
nella seconda metà del secolo XVI, e morì sui principi del XVII, e probabilmente
con altri facoltosi cittadini di Maratea arricchiti con la mercatura. Fece
testamento per mano del notaro Decio Santoro le cui schede sono perdute, ma da
altri atti, sappiamo che egli istituì erede universale
la moglie Vittoria Messarola, la quale dopo la morte del marito, con atto per
not. Felice Assafris del 9 Aprile 1613 dichiarò di essere erede fiduciario ed
usufruttaria, mentre era volontà del marito, che alla morte di lei, la
successione fosse prima impiegata nella costruzione e dotazione di un monastero
o conservatorio femminile. Il protocollo dell’anno 1613 del not. F. Assafris pure è perduto ma la data e il
contenuto della dichiarazione rilevasi:
1)
dall’atto De Pace 1° Luglio 1621, col quale i rappresentanti
del Convento dei PP. Cappuccini pagato ducati
2)
dal compromesso 23 Aprile 1644 Fra. Ant. Mancini,
tra i Sindaci Marco Bencellato erede di Vittoria Messarola, moglie di Giov. Ant.
De Pino
3)
del loro arbitrale, depositato in atti del notaro Fran. Ant.
Mancini del 10 agosto 1644
Neppure si conosce l’anno di morte della Messarola, usufruttaria dei beni, ma è certo
che essa prima della morte aveva rinunziato all’usufrutto su parte dei beni, e in specie su un capitale dovuto
dall’Università di Torraca, in beneficio delle opere
erigende. Nel lodo arbitrale parlandosi della Messarola sa i dice:
attenta la buona vita e qualità della quale autentica dell’istessa sua dichiarazione e dalle cessione per
essa fatta subito seguita la morte di detto sua marito a beneficio di detti
luoghi più di duc. circa 1700 che detto suo marito doveva conseguire di terre e
capit. dall’Università della Torraca non
ostante che essa predetta Vittoria ne fosse di quelli usufruttaria, vita sua
durante, come di sopra, appare da ciò che la dichiarazione di fiducia fu
spontanea, e non determinata da prove e circostanze estranee, e ciò va notato a
sua lode, e per additar il nome di lei alla memoria e alla gratitudine dei
posteri.
Esiste un inventario fatto fare da Mario Buccellato, erede della
Messarola con l’intervento del Sindaco Orazio
Giordano (essendo a quanto pare l’Univer: esecutrice delle pie disposizioni) e di G. B. Ginnari
maestro e preposito della fabb. del Convento dei P.P. Cappuccini. L’inventario è fatto dal not. Giacomo Fiorillo a 20
Sett. 1641, nella casa del De Pino in via Piedi lo Stretto, composta di 4
stanze e del Cellaro, con due orti contigui, confinante Marco Zavolaro e via
pubblica. La via piedi lo Stretto, è quella che
comincia a S. Maria delle Grazie e quando in seguito la denominazione di Piedi
li Cirasi, e poscia nell’ultimo atto, verso S.
Francesco in via San Leonardo, e potrebbe essere parte dell’antica casa Ginnari. Questa casa fu ceduta a Marco
Bencellato per duc. 180 col lodo suaccennato, e perciò non ha importanza
ricercare quale via.
I beni inventariati sono: la detta casa, due vigne
a Cersuta, un magazzino e un suolo al porto, un oliveto al Canaglione, 1000
ducati sopra l’Università di Trecchina, 1000
sopra Mar. 375 Torraca.
Il convento dei P.P. C.C. fu subito costruito, e nel 1644, al
tempo del compromesso era quasi terminato, ma del Conservatorio, per più tempo
non si parlò. Fu circa un secolo dopo la costruzione dei Cappuccini, che i
fratelli Don Giulio, avvocato, Don Giov. Battista Sifanni sacerdote promossero il Consenso della Visitazione, animando il
Sacerd. Don Gius. De Pace, di Maratea, residente in Napoli, a carpire a tal fine alcune sue case e duc. 500 al capitale ed altro
D. Giulio Sifanni ottenne il R. Assenso, e mandò un ingegner per viderne la
casa donata dal Sac. De Pace ed alte contigue che erano state donate; le fabbriche
già cominciate nel 1728 rovinarono e furono riprese, e così dopo varii
contrasti e molte opposizioni di dette compimento al voto di De Pino.
Le opposizioni dovevano aver
luogo da parte dei P.P. Cappuccini, a cui favore erano forse le rendite
dei beni De Pino e da Paolo Giordano erede di De Pino, il quale aveva interesse
che non avesse compimento la fondazione, per appropriarsi il legato. L’apertura ebbe luogo il 30
Giugno 1730, dapprima nelle case del D. Giuseppe Riccio, e poi nel nuovo
locale, ora casa D’Orlando, ove ebbe dimora uno
a che per le premura dell’avv. D. Giov. Tarantini il Re
Ferd. IV con R. D. 6 Nov. 1816 concesse il locale dei M.M. O.O. soppressi.
= CLERO =
Su un atto di compra di annue entrare
del 4 Ott. 1576 è costituito il Clero di S. M. Maggiore, ad sonum campanellae,
et maris est, col cantore Biagio De Vita ed altri 19 preti, tra i quali Giov.
Maimone che fu Arciprete.
In altro atto pure di compra di entrate
del 2 Aprile 1602 (De Pace) figura l’Arc. Biagio Santoro, il Cantore Giov. Biase De Rosa, e il
Cappellano Giov. Nicola Remida; un altro del 14-1-1607 il Cappellano è Giov.
Biase Fano. Il 1111630 il Cantore è Gregorio Di Lieto, e il Cappel. Francesco
Ginnari.
A 16-3-1661 (Giuseppe Mancini) l’Arciprete G. G. Santoro protesta contro il proc.
del Clero D. Gius. De Lieto acciò voglia fare la cassa con due chiavi per
custodirvi il denaro del Clero, conforme la costit.
sinod. e i decre. di S. V.
A 2-1666 (ib.) il proc. del Clero D. Fabio Giord. protesta
perché si devono pagar alla mensa di Cassano duc. 13 e grana 28, per d. di sfoglio, dovuto annuatim dal Clero e non ci sono denari
della Comunità.
A 21 Dic. 1668 (ib.) per la morte di D. Gregorio Di Lieto ha il
possesso il Cantorato D. Fabio Giordano. Il cantore è detto “Cantor et
Praefectus Chori” cum facultas regendi et gubernandi Chori.
Il 15-3-1701 (Fran. Arm.) richiedono ai
Sindaci farsi rispettare l’antica franchigia della gabella della farina, cioè
i Sacerd. tom 24, Diac. e sudd. 18, minoristi 12.
In Luglio 1717 è nominato Cantore Biase Ant. Iaconianni per alcuni obblighi v.
n. 371.
2 Sett. 1764 (Urbano) Marianna Vitale aveva
dato duc. 10 per vespro e Messa Cantata alla Chiesa delle
Consolazioni alla Garazza il 1° e 2 Luglio; non essendo stato accettato, sua
nipote Caterina Barletta da altri duc. 10, e così in tutto duc. 20
assistervi il numero di sacerdoti che destinerà l’Arciprete decime, in 509-513.
18 Aprile 1811 (Carm. D. L.) Cantore, dignità del
Capitolo. D. Gabriele Ferola, per la morte di Biagio Fedel. Buono.
= MASTRODATTI =
Il Gov. Giordano Valentino (Greco 2 Sett. 1582) protesta contro
il Sindaco e gli eletti acciò vogliono fornire
= TEMPESTA A DINO – 1806 =
Naufragata la feluca di P. Zaccaro ove era la statua di S.
Biagio con gli argenti della Chiesa, e ripescati la mattina seguente, il marinaro Antonio Lombardi detto del Cucco pretendeva
appartenergli per averli ripescati dopo il naufragio.
Io, Parroco Iannini, ricorsi a Mandarini, ma questi disse che tra
gente armata e indisciplinata non sentivasi sicuro, e non volle saperne. Quindi mi rivolsi al Colonello Vicuna, il quale ordinò
consegnarsi gli arredi al Parroco, io non volli consegnarmoli, ed invece furono
affidati a D. Oronzo Di Lieto, Governatore della Cappella. Il Cucco aveva
ritenuto un calice, ed essendosi reclamato, tirò una
schioppettata contro Lieto e Iannini, che però non esplose. La testa di S.
Biase fu ripescata dopo tre giorni da un marinaio napoletano chiamato Silvestro
al quale Lieto dette 10 ducati. Dopo la capitolazione Lieto consegnò gli
argenti al Parroco Iannini con ricevuta sottoscritta pure dei testimoni Sacerd.
Nicola Mandarini e Giov. Fiorillo.
1806
D. Luigi Calderano trovavasi arrestato con la famiglia e doveva
essere fucilato, ma D. Giuseppe Gennari e D. Paolo Dalitto gli impetrarono la
grazia da Lamarque.
Per gli accomodi in argento si spesero duc. 52 e il lavoro a
spese di D. Lorenzo Latronico, fu fatto dall’orefice Mansueto Finamore di Rivello. Per
= S. MACARIO =
D. Paolo Dalitto intorno a S. Macario dice che S. Macario sia
proprio quello di Melitene martire e soldato, io parroco Iannini asserisco
invece essere San Macario Egiziano. D. Gennaro Buraglia, Parroco di S. Biagio, nella enumerazione dei 12 S. Macario si serve delle stesse
parole del D’Alitto; nel designare quale
sia il nostro, si serve delle parole del Parroco Iannini.
= TRADUZIONE DELL’INNO DI S. BIAGIO =
= DI D. GIAMBATTISTA LATRONICO =
Di salute, Biagio, già eressi
l’aria invitta Correte, o
mortali
egri, afflitti, al suo tempio
portatevi
se bramate curarvi da mali.
Se soffrite dolori alle fauci se l’angina che troppo molesta impedisce il respiro e
richiamasi di malori un’altra tempesta
Deh cessate di esser più timidi disprezzate
i rimedi umani ricorrete soltanto al gran martire che all’istante sarete voi sani
Quanto forte fu egli al martirio nel
soffrire gli acerbi tormenti tanto assai benigno dimostrasi nel pregarlo per
farci contenti
Deh, gran santo, proteggi i tuoi sudditi dall’insidie del
mostro infernale quiete e pace donate alle anime e togliete dal corpo ogni male
Summa si la lode e la gloria a te
triade immensa infinita per Biagio rendete a noi miseri nella patria celeste
correte.
= CHIESA DI SAN BIAGIO =
Altare maggiore rivestito di marmo il 1753. La porta della
custodia fu fatta in argento da D. Antonio Giordano di M. S. negoziante in
Napoli. La porta della balaustra fu fatta da D. Tommaso Lebotti, padre del
Parroco. L’altare del
SS. Sacramento, della conf. dello stesso nome. Clanditur exigua maximus aede
Deus. Della SS. Annunziata in marmo di Diodate e poi di Leo, succedentia
Deodati, vi è la seguente incisione:
Lilia Ciner Sparge
Hic Guillelmus Deodatus, Neapolis Canorie et inter collegii
Teologos primus. Hic pacis tellique artibus, praecipue sub Carolo V Imperatore
cuis carissimi nepotes ac gens fere omnis, quibus hasce ille aedes et extruxit,
et ut cornu ossa unus locus acciperet sepulchrum paravit, ubi quandoque, vel ad fines Coditi. At Nicolaus Leo, ad quem ex Francisca
Deodati matre haereditas redit, aedes ut reliquia restituì, sibi suisque
posuit. Anno Reparata Salutis MDCCLIV
Rosario di DeArmenia
S. Antonio di marmo, prima di Diomede Montesano, poi meno la
sepoltura, di D. Tommaso Lebotti. – S. Giov. Battista, in marmo, della Chiesa.
– S. Lucia non di marmo, di Alasci. – S. Macario ora di Ventapane vicino la
porta, e perché umido, fu fatto demolire da Mons. Legoyros De Magistris Vescovo
di Cassano nella S. Visita del 1653. L’atrio con le altre parti, il coro, l’organo furono fatti a
tempo che era parroco D. Gaetano Ventapane.
= CHIESA DI S. MARIA MAGGIORE =
La torre del Coro era di proprietà Santoro, da questa donata
alla Chiesa.
1° Altare Maggiore di stucco, la custodia di marmo
rifatta a spese del Comune.
2° SS. Sacramento, la custodia di marmo a spese di D. Vito Di
Lieto.
3° Immacolata di Marmo, prima di Diodati essendovi
una lapidetta ex familia D. Carmine Diodati.
S. Nicola di Marini
Trinità. Capp. De Lieto
S. Stefano – Santoro
S. Michele – Greco con la seguente iscrizione
Mercurius Graecus, graeca de gente profectus hanc
cappellana condidit, ac habuit graeca doinus q.dam nulla missura penus cornessam ac
Duo Praesule iure tenet lector amica vides vas pectora nostra fasete, Sancte
Michael tu et Sebastiane simul F. F. A. D. MDV.
= ALTRA =
Franciscus Antonius, et Ioa. Thomas Graici frates germani
successon et haeredes Mercurii Graeci De Graeca gente, cui de iure patronatus
A. D. 1505 altare hoc conditum, et ad Sancti M.li Archangeli culture erectum fuit, ad praesentis aevi
formam A. D. 1762 Idem. Restauravit Cappellam.
= CHIESA DELL’ANNUNZIATA =
1° Altare di S. Biagio, prima S. Maria di
Costantinopoli con ospedale (Dietro) Ann.ta / 2° S. Pietro e Paolo
di Miraglia. 3° Filippo e Giacomo di Fasanari. 4° S. Lorenzo
di Ginnari del Giudice. 5° S. Giuseppe di Varola. 6° di S. Lucia Buono.
= ROSARIO =
1° S. Francesco di Assisi. Don Bonav. Salone Car.
2° S. Pasquale. Dalverme
3° Carmine. Rossi
4° Crocifisso. Comes
5° S. M. del Soccorso. Ginnari
6° S. Crispino. Calzolai
7° Rosarii
8° S. Maria degli Angeli. Lombardi e poi Nicodemo
9°… Ginnari Satriani
10° Porto Salvo
11° S. Rosa di Panza, trasformato in S. Filippo, dei Iannini
12° Nascita. Labanchi
= S. FRANCESCO =
1° Altare Maggiore dei sociolei
2° S. Francesco di Paola Remida, oggi Ferola
3° S. Teresa. D. Marcello Ginnari
4° S. Marco. Fam. Villani
5° S. Michele Arc. Salemme poi Vita Diodato
6° Carmine. Barone
Sacra iura familiae tempore collapsa per Vincese
tium Barone elata errise anno ante inbileum Clementis P.P. XIV postierno.
7° S. Leonardo. De Santis. Escalio perveteri sacellum Petro
Paulo de Santis A. D. 1640 familiam invocatum ab nepoti
decoratum placuit.
= COLONNA DI S. BIAGIO =
= ERETTA IN PIAZZA =
Rinvenuta in autunno tra la rena del mare presso Caliandito,
probabilmente emersa dopo una forte tempesta che sconvolse la spiaggia, poi la
tradizione di essere ivi sbarcate le reliquie di S. Biagio, si ritenne che
probabilmente (dicitur) la colonna avesse relazione col martirio e si scrisse
in hac dicitur columna passus. Ma questa relazione per quanto espressa in forma
dubitativa è inverosimile perché non si trova nella vita di S. Biagio e nella
relazione del suo martirio, alcuno accenno alla
colonna.
San Biagio fu catturato in una spelonca del monte Argeo e
condotto alla presenza del governatore Agricolao. Fu fustigato e ricondotto in
carcere; quindi sospeso a una trave, ebbe lacerata il
corpo con pettine di ferro. Infatti gli antichi
agiografi del martirio di S. Biagio riferiscono i seguenti fatti: la cattura in
una spelonca del M. Arageo, la fustigazione, la lacerazione con pettini di
ferro mentre era sospeso ad una trave, l’immersione nel lago di Sebaste ed in fine il troncamento della
testa.
= ALTRE NOTIZIE =
= CONFRATERNITE ERETTE NELLA =
= CHIESA DI S. MARIA MAGGIORE =
Le principali sono quella di S. Maria Maggiore o dell’Assunta e quella del SS.mo
Vi fu quistione per la precedenza v. n. 165 essendo più antica
quella di S. M. Maggiore che fu portata sino a Roma come da procura sotto il N.ro
189.7
In atto Fra. Ant. Magini, 7 Marzo 1641 gli economi e prepositi
Ven. Confraternitatis Nostreis, della quale è cassiere
l’Arciprete Santoro comprano alcune entrate e pare
anche detta Confrater: sia nella Chiesa di S. Maria Maggiore.
= CHIESA DI S. M. MAGGIORE =
È da più secoli
Per l’altare privilegiato quanto si
rileva dal numero 263.
Altare della Concezione 985.
Della Trinità 310.
= SS. ANNUNZIATA =
Erezione in Parrocchia
31323435. Nuovo Parroco 63 Figura il Cappellano (forse della
SS. Annunziata) tra il clero di S. M. Maggiore 83 e del 1602 v. pure 161 al
1633 – 175.
Altare di S. Paolo v. n. 184
Cappellano n. 260 del 1662.
Altare di S. M. di Costantinopoli 300 S. Lucia 340
S. M. Visitazione 391.
= SULLE DUE PARROCCHIE =
Nel secolo XVIII e sul principio del secolo XIX vi
furono molte contese tra il Parroco di Santa Maria Maggiore e quello di San
Biagio sulla estensione della rispettiva
giurisdizione. Se ne disputò nel 1723 tra l’Arciprete di S. Biase Perretti ed il Cappellano D. Gaetano
Ventapane; il primo sosteneva che il Parroco di San Biagio avesse giurisdizione
limitata al Castello, mentre l’altro sosteneva si estendesse extra moenia e più specialmente
alle frazioni di Brefaro, Massa, Marina e Castrocucco. Pare che non vi sia
stata alcuna soluzione, sebbene negli atti di S. Visita del 1724 e successivi
si annoverassero non poche Cappelle rurali tra quelle dipendenti dalla Chiesa
di San Biagio.
Nel 1777 l’Arciprete Francesco Antonio
Vita Diodati sostenne altra contesa col Cappellano Lebotti.
1° Mandelli, manoscritto esistente nella Biblioteca Nazionale di
Napoli
2° Antonini, Discorsi sulla Lucania, Napoli 1745
3° Pacichelli, il regno di Napoli in prospettiva, vol. I, pag. 288
4° D’Alitto
Dottor Paolo, della vita e del martirio di S. Biagio, Napoli 1728
5° Iannini Carmine, manoscritto esistente presso i suoi eredi
6° Lacava Michele, del sito di Blanda, Lao e Tede
Lucana, pag. 14.
Tra i molti ufficiali pubblici preposti al reggimento ed
amministrazione di Maratea, alcuni erano di nomina regia, altri erano eletti
dal popolo.
Troviamo l’elenco dei primi nella
prammatica: “de officiis de regime maiestatis cuisque
viceregis colationem spectantibus” approvata con dispaccio in data di Colonia
28 Gennaio 1532 scritta in Spagnolo, al titolo “officia ad regiam collationum
spectantia” dal quale riportiamo 565: Los capitanos y assessori en la infrascriptas
invade y tierrae de regio demanio por el goverino y administration de la
iustitia:
El offcio de capitan o gobernator de Thierra de Maratea.
El officio de asseso de
la dicta Thierra.
66 Los officiales deputatos pur la
regia Corte sobre las estrationes de los granos y atros vituaglias que se
cargan y extrahan de las marina, y carga dores tanto pro extra come infra
regnum.
El officio de Lugarteniente del dicho Mastro Portolano en
155 – Officilaies sobre las terciarias del hierro
nel regno: el officio de fundadiguero del fundico del hierro en la ciudad de
Maratea
El officio de credenciero nel dicho fundico de
Maratea.
Torna inutile discorrere dell’ufficio del Governatore di giustizia, che era determinata
dalle costituzioni e dalle prammatiche del Regno.
Durante il regime spagnolo era quasi sempre
uno spagnolo, raramente qualche nobile napoletano; ed era nominato con decreto,
o “viglietto” del Vicerè. Molte volte era un uomo di armi,
come è da immaginare, ma richiedevasi per la sua carica e per l’officio di giudice, un uomo di legge, il popolo di
Maratea, riunito a Parlamento il 1° Ottobre 1613 fece voti perché il
Governatore fosse sempre un dottore; e i magnifici del reggimento della città,
cioè i sindaci e gli eletti a 19 Gennaio 1614 (De Pace) commisero a Giovanni
Mattio Fiorillo, nobile cittadino di Maratea, residente nella capitale
spagnola, di presentare il voto al Re, e di impetrare a norma della detta
conclusione “ut in terra Marathea veniat gubernatores iustitiae doctores et non
alii, in beneficio dictae universitatis et decoro istitiae”.
Il governatore durava in carica un anno, e si trova qualche raro
esempio di conferma. Quando entrava in officio, la
cerimonia si compiva solennemente. Il popolo conveniva al suono della campana
(in Maratea Superiore al suono della tromba) nel luogo solito delle riunioni,
sotto la direzione dei Sindaci, degli eletti e del Governatore che usciva di carica. Il parlamento o Consiglio era presieduto dai
Sindaci; i quali leggevano ad alta voce la lettera patentale o viglietto di
nomina, e quindi in nome del popolo riconoscevano e promettevano ubbidienza al
nuovo governatore. Questi, dal canto suo, prometteva “dictis Sindacis Electi et
Civibus obiervare omnia privilegia, immutates,
prerogorativas, iurisditiones, consetuidines, itilas scriptas et non sciptas,
parere et obedire omnibus legibus pragmaticis, provvisioni bus etc. ut
obiervaverunt alii praedecensores, et in fine officii parere Sindacus iusta
forma regia pragmaticae”. Garantiva queste promesse col giuramento e
con la plegeria data da qualche ricco e probo cittadino di Maratea.
Nei tempi più antichi redigevasi atto notarile di tutta la
cerimonia; ma in seguito il popolo, riunito a consiglio, deliberava la immissione in possesso del nuovo Governatore, ed
autorizzava i Sindaci di ricevere, davanti notaio, il giuramento e la plegeria
di stare a Sindacato. In base a tali atti si è potuto
compilare una cronologia dei Governatori di Maratea, completandola con notizie
desunte da altra fonte.
= LE DUE UNIVERSITA’ =
Nei secoli XVI e XVII il Governatore era uno solo e risiedeva in
Maratea Inferiore, ma entrava in possesso del suo officio solennemente innanzi
al popolo nelle due Università, prestandolo in entrambe il giuramento de bene
administrando, e dando a ciascuno una fideiussione diverso de
stare a Sindacato, terminato l’ufficio. Così il Governatore Michelangelo de Molina fu ricevuto
in ufficio e prestò giuramento in Maratea Inferiore a 5 Dicembre 1624, e in
Maratea Superiore il giorno appresso 6 Dicembre. Ma in seguito non vi è memoria
che il Governatore fosse investito della carica anche
in Maratea Superiore, pare; pare anzi che il suo ufficio si reggesse in Maratea
Inferiore e che la sua giurisdizione si estendesse alle due Università e
sobborghi.
Finalmente è a notare che Maratea Superiore cessò di avere
autonomia con la occupazione francese, cessando anche
le denominazioni di Superiore e Inferiore; ed oggi non si riconosce che una
sola Maratea.
= AMMINISTRAZIONE DELLA GIUSTIZIA =
V’era una R. Curia per gli
affari civili e penali, e il Tribunale Consolato per gli affari di commercio.
1°
2° Il Tribunale o Consolato di commercio era anche appellato R.
Tribunale del Consolato di terra e di mare. Era composta da
un Priore, due Consoli; più il mastrodatti, l’attuario e il portiere per la notifica degli atti: tutti i
componenti erano cittadini di Maratea. Nel 1744 era così composto: Giambattista
Ginnari Priore; Alonso Visconti, Carlo De Cesare Consoli, Giov. Pietro Varola
Mastrodatti; Urbano D’Armenia
attuario. Nicola Taranto Portiere.
=
Sono note nei secoli XVI e XVII le alienazione
dei diritti feudali sulle Università libere, le rivendicazioni e le
proclamazioni al regio demanio che ne seguirono, causa precipua dalla rovina di
molti fiorenti comuni, secondo il Winspeare. Maratea era stata sempre città
libere, terra demaniale, anzi feudo della real corona, ma non sfuggì alla
persecuzione comune, quando si dové, con nuova forma, estorcere denaro dal
Regno.
Si ha notizia di una prima alienazione tentata nel 1530 dal Cardinale Colonna, luogotenente di Carlo V, a favore del
Conte Carafa di Policastro, per ducati 10.000, dei quali se ne erano già
sborsati 3.000, ma i cittadini di Maratea, sempre vigili, mandarono una
deputazione in Napoli, ed ottennero che si sciogliesse il contratto già fatto
col Carafa, sborsando essi, con denaro dell’Università, ducati 6.000, cioè 3000 per la concessione in feudum
di ducati 300 de fiscali Sopra la stessa Università, e ducati 3000 per la
concessione del demanio di Maratea, suo distretto e suoi casali, come appare da
istrumento per notar Sebastiano Canoro del 6 Ottobre 1530 approvato da Carlo V.
Nel secolo seguente in tornò a parlare
della vendita dell’Università, perché
troviamo una conclusione del 1643, che provvede ad eliminare il pericolo,
nominando una deputazione e avvisando sulle somme occorrenti. Anche questa
volta i cittadini raggiunsero lo scopo di conservarsi liberi dalla soggezione
feudale, e, pare, senza sborsare alcuna somma.
= COLONNA =
Nella piazza di Maratea vi è una colonna con la statua di S.
Biagio, in marmo: la base è di pietra rozze e sconnesse,
e porta su due lati la seguente incisione: su un altro lato lo stemma del Reame
e sull’altro lo stemma cittadino, sulla colonna vi è
scritto: in hac… Da questo scritto e dalla memoria che trascrivo risulta che il
tronco marmoreo della colonna fu rinvenuto a Calianniti nella rena del mare ove
emerse probabilmente dopo una tempesta che sconvolse la spiaggia e vi era
tradizione che ivi fosse approdato la nave che trasportò in Maratea il Santo
Torace, e vi era detto che probabilmente quel tronco di colonna facesse parte
della memoria che i più pellegrini recavano seco dall’Oriente, e che S. Biagio avesse ricevuto il
martirio su quel marno. Ciò dette occasioni, dopo alcuni anni, alla erezione della colonna, sulla quale fu scritto: In hac
dicitur columna passus. Nella vita e nel martirio di San Biagio però non si fa
parola di colonna, e mi sembra inverosimile che il rinvenimento di quel tronco
in mare, potesse avere la spiegazione data dai nostri antichi, essendo
indubitato che quel marmo cilindrico emerse dalle arene del mare a Calianditi
nel… e fu trasporatato alla piazza, è a ritenere piuttosto che in quel sito vi
fosse stato qualche tempio nel periodo delle colonie greco-romane e che qualche
terremoto o qualche sprofondamento (nelle montagne vicino vi sono molte
caverne) avesse fatto scomparire ogni cosa, in modo che oggi non ne avanza
alcuna traccia.
= GOVERNATORI DELLA CAPPELLA =
= DI S. BIAGIO =
Dal certificato del Sindaco Alesio risulta:
Nei secoli precedenti si trova più volte la menzione di questi
governatori che erano chiamati economi e prepositi, ma non vi è cenno dalla
loro nomina, per la riscossione di una somma ecc. 202521 e 537-244
= CLERO DI S. BIAGIO =
In un atto del 30 maggio troviamo Melio Armenia Cappellano,
Flavio Diodati, Giov. Tommaso Diodati; in un altro (n. 154) il 6 Maggio
(1646/217) è cappellano Giov. Battista Russo (244) e S. B. Rubeo morto v. n.
287. D. Giuseppe Armenia 331 Gaet. Armenia.
= SAN FRANCESCO =
Fu edificato verso il 1600, per liberalità dei cittadini e dell’Università, ed era dedicato a San Leonardo, nome di
quella Contrada. Per il sostentamento dei padri, l’Università con conclusione del 15 Luglio 1408
assegnò al Convento l’esercizi
di una taverna al Porto, e dopo ottenuto il R. Assenso in data 6 Luglio 1638 si
fece altra conclusione a 6 detto mese; e quindi si stipulò l’istrumento per mano del not. F. Ant. Mancini a 1°
agosto
= LE DIVERSE VICENDE DEI MONASTERI =
= DI MARATEA =
Caduto il regime Borbonico e stabilitosi il regno d’Italia una, il 60 furono
cacciati per ben tre volte le suore Salesiane dal monastero del Rosario,
incamerati i beni ed il locale fu abidito a una scuola femminile guidati da una
maestra laica. In seguito, per la grande premure dei
cittadini di Maratea fatte al novello governo, le suore ritornarono ad abitare
il Convento concedendo loro il governo e l’alloggio e l’usufrutto del locale.
Del monastero dei Cappuccini, nelle medesima:
epoca furono cacciati i padri e i frati ed incamerati i beni, vi fu impiantata
un convitto maschile sotto il nome di Mario Pagano, retto e governato dal
Direttore Tommaso Schifini Roberti di S. Domenica Talago (Prov. di Cosenza).
Dopo vari anni di convitto M. Pagano cessò di esistere e ne
sorse un altro sotto il nome di Convitto Lucano, guidato e governato da un novelli Direttore per nome Antonio Schettini. In seguito,
trasferitosi detto collegio, nel centro del paese, e rimasto chiuso il
monastero per poco tempo, dopo un paio di anni il
locale fu adibito ad Orfanotrofio femminile nel 1926 sotto il nome di
Orfanatrofio del Sacro Cuore. La prima direttrice di esso
fu Suor Maria Campagna, la quale riattò il monastero, mise in bello
Sotto il regime di Gioacchino Murat, re di Napoli (an. 1808)
furono cacciati i padri Paolotti dal monastero di S. Francesco, confiscandone i
beni. Il locale rimase chiuso per varii anni e minacciava rovinare
Un benemerito cittadino di Maratea, un certo D.
Antonio Schettini, ne ebbe cura, lo riattò con l’obolo del popolo, lo abbellì migliorando anche
Morte tutte le suore Salesiane nel convento del
Rosario il monastero è stato adibito a convitto femminile, le Suore di S. M. a M. Calvario ne guidano le sorti, il convitto è stato
parificato, ed oggi conta un bel numero di alunne, dove si studia con ardore ed
ottimi successi, il preside scolastico è un ottimo cittadino per nome
Costantino professore Dalitto. Il Cav. Pasquale Matrone pasticcere per tale
opera donò ₤ centomila.
L’anno 1888 si
inaugurò in Maratea la strada ferroviaria che prima non esisteva. Prima
di tale epoca il commercio si esercitava sul mare con
piroscafi a vapore. Dopo l’arrivo della locomotiva, il commercio marittimo cessò ed è
rimasto solo quello ferroviario, di gran lunga superiore
a quello precedente.
Intorno all’anno
Morto il parroco di S. Biagio, D. Giuseppe
Can. Iaselli, il 10 Luglio 1940 prese possesso di quella Parrocchia, come
novello Parroco D. Domenico Damiani. Costui giovane e fattivo, pensando
che nella sua Chiesa, da secoli si conservava l’intiero torace di S. Biagio,
protettore di Maratea, concepì la bella idea di sollevare detta Chiesa a
Basilica. Con la protezione del proprio Vescovo vi riuscì, e
nel 1940
In mezzo della Chiesa, e proprio al centro di essa,
sorgeva una Cappella marmorea, e dentro di essa conservavano, da secoli, in
sino cassa di marmo, le S. Reliquie del grande Martire di Sebaste. Il novello
Parroco Damiani arditamente concepisce il disegno di trasportare quella
Cappella sull’altare Maggiore, e così
liberare la magnifica Chiesa da quella ingombro e
renderla più bella e maestosa. I pareri e gli apprezzamenti del popolo sono
immensi, e non trascurano di apporre serii ostacoli, ma il giovine
Parroco, senza punto sgomentarsi, in compagnia del Podestà Biagio Vitolo, mette
mano all’opera ed in poco tempo,
L’opera fu grandiosa, ed ora
tutti ammirano il bel pensiero del giovine Parroco
Damiani (an. 1941).
Ma il Damiani non si arresta a
solo tali opere, egli vagheggia altri disegni e di massima importanza.
Per andare al Santuario, che sorge alla cima di un
monte alto circa
Il 3 Maggio 1941 il Vescovo della Diocesi
di Policastro Mons. Federico Pezzulli, salito il monte in macchina, alla
presenza del popolo rigurgitante di fede e di amore alla presenza del Clero
delle due Parrocchie, delle autorità civili e militari con molta pompa benedire
le opere eseguite situando nella nuova cappella la cassa marmorea contenete le
ossa del nostro inclito Protettore S. Biagio. Una lode sincera al novello
Parroco Damiani ed un bravo di cuore al nostro caro Podestà Vitolo!
Nell’anno 1928 il Podestà Biagio Commendatore Tarantini Medico
Chirurgo procurò l’acqua potabile alla città di
Maratea che ne era priva, ed ora 10 o dodici
fontanine, situate in diversi punti del paese mandano acqua in abbondanza ai
cittadini del paese.
Nell’anno 1922 Maratea fu
illuminata con la luce elettrica.
Nell’anno 1926 fu costruita la strada Regio Sapri, questa strada fu decretata dal
Dittatore Garibaldi, però nessun governo vi pose mano e Maratea non aveva
commercio con la vicina Calabria, con l’avvento del Fascismo tale opera fu menata a termine.
Nella città di Maratea mancava uno spazio per la riunione del
popolo. Il Podestà Biagio Vitolo, uomo di larghe vedute, nella contrada
denominata Casalitto, abbatte una casa privata e procura un bellissimo
spianato al popolo nominandolo Piazza dell’Impero, perché proprio in quella epoca
gli Italiani si impadronirono dell’Abissinia cacciandone l’Imperatore Zafari.
Il popolo di Maratea, senza mai farsi rodere il cuore del tarlo
della misericordia, concepisce in una grotta di una vicina campagna, fare il
simulacro della Grotta di Lurdes. Parecchi bravi cittadini, con a capo Biagio
Limongi, spinti da un vivo affetto per
= PERCHE’ A POCA DISTANZA DAI =
= MONASTERI SORGONO DELLE COLONNINE =
= DI PIETRA CON UNA CROCE DI CIMA? =
Le colonnine di pietra che sorgono poco lungi dai monasteri non
sono mica ornamenti e segni messi a capriccio come si vedono colà. Essi invece
sono segni di giurisdizioni clericali a rispettarsi.
La colonnina che sorge nello spiazzale
di Molo Piccolo indica che i monaci del Monastero vicino, nelle loro
processioni, potevano arrivare solo a quel punto e non oltrepassarlo, per non
invadere il territorio della Parrocchia di S. M. Maggiore appartenente al
Parroco ed al Clero. Eugualmente il Clero ed il Parroco non potevano varcare la
colonnina e andare più oltre nelle loro processioni ed invadere il territorio
dei Monaci, loro assegnato dal diritto e dai superiori. Perciò
quelle colonnine, che hai secolari sembrano semplici ornamenti e che ignorano
la giurisprudenza ecclesiastica, non sono altro che segni di giurisdizione per
non creare tra clero regolare e secolare delle controversie incresciose.
= PERCHE’
= SI PORTA COPERTA QUANDO
SCENDE =
= A MARATEA? =
Il Clero e il parroco di S. Maria Maggiore non permettono che il
Clero del Castello faccia pubbliche processioni nel loro territorio assegnate
dal diritto; similmente il Clero del Castello neppure permette che il Clero di
S. M. Magg. faccia pubbliche processione nel suo
territorio parrocchiale, ed evitare possibili dispiacere si venne alla
determinazione di portare la statua coverta e il sacerdote che l’accompagnava vestire in nigris.
Quando poi il simulacro del S. Patrono arrivava ai
confini delle due Parrocchie, i rispettivi Cleri indossando i paramenti sacri
ed in forma pubblica scoprivano la statua del S. Patrono e trionfalmente lo
portavano nelle loro chiese rispettive celebrando feste solenni. Questa la
ragione per cui S. Biagio scende coverto dal Castello quando viene in Maratea
città.
= CASTELLO O MARATEA SUPERIORE =
Il Castello era un paese fortificato e cinto da muri con diverse
torri e cannoni per difendersi dai nemici. Aveva due porte che chiudevano l’ingresso. Dopo l’assedio dei Francesi, tale fortezza, dopo, la capitolazione, fu
abbattuta e demolita e le porte furono vendute ai cittadini privati e i cannoni
portati a Napoli. Una di quelle porte trovasi a S. Basile nella proprietà del fu Raffaele Zaccaro, ed è proprio quella che mette nella sua
proprietà situata sotto la loggia che sporge nel piccolo spiazzale.
= CAMPOSANTO =
Prima della costruzione del Camposanto, in Maratea Superiore e
in Maratea Inferiore i morti venivano sepolti nelle fosse dentro le Chiese del
paese. Finalmente il Comune si decise a costruire il Camposanto, ed allora i
morti incominciarono ad essere sepolti nella terra
benedetta. Con l’andar del tempo
il Camposanto di Maratea venne abbellito con molti viali, piantagioni di
fiori e alberi e tombe marmoree. Si incominciarono a
costruire superbe Cappelle gentilizie, oltre
= VILLAGGIO MASSA =
Il villaggio Massa, nella Parrocchia di S. Biagio, era sfornito
di via rotabile, per modo che per andare in quella località bisognava battere
una strada mulattiera e disastrosa. Intorno all’anno 1935 il
governo Fascista costruì la rotabile in quel villaggio, ed ora è veramente un
vero splendore andare in quella terra tutta popolata da ottimi e facoltosi
cittadini e seminata di casini meravigliosi.
= CHIESA DELLA SS. ANNUNZIATA =
Tale Chiesa era ridotta a mal partito, e per incolumità pubblica
venne chiusa dalle autorità civili.
I cittadini di Maratea vedendo la chiesa chiusa si riunirono e
stabilirono accomodarla ed abbellirla. Infatti il 1935
fu nuovamente aperta al pubblico culto rinnovata e pitturata all’uso moderno con grande soddisfazione del pubblico.