CENNO
sulla traslazione del sacro torace
del
MART.E E VESC.O DI SEBASTE O SAUSTIA
San Biagio
nella citt di Maratea
in
Basilicata
del
santuario ivi esistente e del dipinto
di A.
Chierici
Napoli,
Tipografia
Colavitta
1858
Estratto dalla Rondinella, Giornale
artistico Letterario
Teatrale
– Anno 2Ħ flo.11,12 1856
CENNO
Sujlla traslazione del Sacro Torace del Martire e Vescovo di Sebaste o Saustia S. Biagio nella
Citt di Maratea in Basilicata del Santuario ivi esistente e del dipinto di A. Chierici
Bella, Immortal, benefic
Fede aĠ trionfi avvezza
Manzoni
Lungo sarebbe noverare
tutte le terribili persecuzioni sofferte da' cristiani sotto glĠImperatori
Diocleziano e Licino, i quali, ripieni dĠinaudita perfidia
e dotati di animo ferino, con spirito satannico
tripudiavano di giubilo, allorquando un cristiano, in mezzo aĠ
pi atroci tormenti, esalava lĠestremo anelito di vita: cercando a tutto potere
di abbattere dalle fondamenta la sacrosanta ed augusta Religione di Cristo, per
far trionfare il culto e la religione dei loro falsi o bugiardi numi: ma,
malgrado le persecuzioni, la Religione Cristiana sotto lĠegida del glorioso
vessillo della Croce, e merce il sangue sparso da tanti martiri viepi riceveva
incremento, sfolgorante sempre di raggiante luce celeste, che a guisa di dolce
calamita attirava a s le genti a drappello a
drappello. Cosi faceva il Cielo quotidianamente
acquisito di nuove preziose gemme, e fra queste fuor di dubbio evvi lĠinvitto Vescovo e Martire di Sebaste
o Saustia S. Biagio, al quale non valsero a rimuoverlo
dalla fede del Nazareno, le false lusinghe ed i detti infidi dellĠefferato
preside Agricolao, ne i duri stenti sofferti sul
monte Argeo fra le belve, dove rinnovati furono i famosi portenti dĠElia, non i
ceppi e le orrende battiture, lĠoscurit di lurida prigione, lĠErculeo, l'esser
gittato nei vortici dĠun lago, da cui, qual Daniello
in mezzo al lago deĠ leoni fu illeso; S. Biagio fu saldo nei dommi della
Cristiana Religione, come scoglio in mezzo ai tempestosi flutti del mare.
Agricolao con stupore osservava che S. Biagio bra i pi crudeli tormenti
pi bello appariva, ed il suo volto era sempre atteggiato ad angelico sorriso,
spirando una calma serena, con gli occhi rivolti al Cielo ringraziava e Benediva il
sommo Dio, non tralasciando di far tuonare la sua voce, annunziando la vera
fede del Redcntore del mondo e le dottrine Evangeliche;
le quali per volere di colui che atterra e suscita, che affana
e consola, non furon mai scompagnate da prodigiosi miracoli,
i quali, giusta la dottrina cattolica, sotto l'impronta augusta, ed il suggello
della Divinit.
Agricolao vedendo vano ogni suo infernale tentativo verso di S. Biagio,
preso da insano furore decise finalmente fargli troncar il capo con la bipenne,
e ci avvenne li tre febbraio dellĠanno 316 della
nostra Redenzione giusta il Baronio, e secondo il Tillemont ed il Pagi nellĠanno 319, 1'opinione dei quali la
pi accreditata. Il santo corpo di mutilato col favor delle tenebre fu raccolto in un bianco lino, e seppellito
da pietosa donna a nome Elisea.
I Musulmani, verso la met del settimo secolo sotto del Califfo
Omar, arrecarono il lutto e lo spavento allĠArmenia, devastando citt e campagne,
apportando da pertutto la desolazione, penetrando fin
nella Cappadocia, minacciando strage ed sterminio alia
citt di Sebaste o Saustia,
regnando in quell'epoca in Costantinopoli l'imperatore Eraclio. I musulmani passarono
poscia dal Califfo Omar sotto lo scettro di Baiezzetto
primo, e finalmente nel dominio dellĠImperatore de' Tartari, sotto del quale i
cristiani soffrirono la pi terribile persecuzione. In tal circostanza i
cristiani di Sebaste volendo mettere in salvo diverse
reliquie di Santi Martiri, fra le quali quella del di
loro Pastore S. Biagio, pensarono trasportarle in Costantinopoli, come sicuro
asilo di simili preziosi depositi, giusta la testimonianza della storia
Ecclesiastica, e secondo il Mabillon ed il Thiers.
Nella fine del settimo secolo i Saraceni infestavano le
Provincie Orientali ed in quell'epoca s'introdusse il
costume di trasportare nell'Occidente tutte le sacre reliquie de' martiri, che rattrovavansi nella metropoli dĠOriente, sebbene gli
Orientali avessero ci praticato fin dallĠImperatore Costanzo figlio di
Costantino, come scrive S. Girolamo. Cosi il culto di S. Biagio ebbe ncominciamento dalla traslazione di dette reliquie, secondo
il Mabillon, il Bollando, il
Zutini e il Solechio.
Veruno storico documento esiste della maniera come avvenne la
traslazione del sacro torace di S. Biagio nella citt di Maratea superiore. La storica
narrazione di si grande avvenimento, accompagnata da opportuni documenti, si
conservava gelosamente nellĠArchivio del Tempio dedicatogli in Maratea; ma
disgraziatamente un fulmine lĠincendi tutto. Intanto
daĠ cittadini Marateesi si conserva una costante tradizione relativa
alla traslazione di S. Biagio e propriamente del suo sacro torace:
tradizione che vien tramandata da generazione in generazione. Essa , che nel
finir il settimo o nei principi dellĠottavo secolo, atteso le continue
scorrerie dei barbari, i cristiani vedendo mal sicuro il deposito fatto delle
reliquie di molti santi martiri in Costantinopoli, risolverono da col farle
trasportare nel centro della Chiesa Cattolica, nella sede di Pietro, nella
classica citti de' Cesari, la vetusta Roma.
Infatti affidarono ad esperto nocch'ero
armeno il sacra deposito, il quale non appena ricevutolo, sciolse le veli al
vento e placidamente solcando lĠinfido elemento, sĠavvia verso l'eterna citt deĠ
sette colli. Non appena giunta la nave in questi paraggi, malgrado che il mare era tranquillo, l'aria serena, i venti spiravan
propizii, tutto ad un tratto il mare si fa
tempestoso, s'infuriano i venti, gl'indomiti marosi succedono lĠuno all'altro precipitosamente,
urtano la nave impedendole il corso, ed era in procinto di sommergere; s'avanza
la notte, il pilota con lĠequipaggio si vede in orribile laberinto, dispera
della propria vita: non stella sfavilla sul firmamento, 1'astro di argento non
tramanda i suoi placidi raggi, tutto tenebre di
morte; ma ohi prodigio! in istante si vede tutta la
luce la nave illuminata di una luce scintillante, che partiva dalla sacra urna
dove era riposto il torace di S. Biagio: si cerca indagare la causa di si
portentoso fenomeno, ma a mente finita e limitata non concesso interpretare
gli arcani di Dio, che sono imperscrutabili.
Il Pilota e lĠequipaggio spinti da ignoto potere, risolvono
finalmente che S. Biagio non in Roma, ma ad altra terra voleva essere riportato.
Dall'alto del mare, dalla nave visto avevano la citta
di Maratea Superiore, che giace sul culmine di altissimo monte, che domina il
golfo di Policastro, specchiandosi nelle cerulee sue onde, cui drizzarono la
prora del naviglio fortunato: e non appena tanto praticarono, ecco che in un
baleno, il mare prende la primitiva calma, i venti si tranquillarono, ed il
cielo si fa terso come un cristallo. La nave finalmente fa sosta vicino
all'isoletta di S. Giovanni detta volgarmente S. Janni, isola che fa parte
delle Itacesi, per esservi soffermato taluni giorni Ulisse, venendo ancor detta
specula ossia vedetta dĠUlisse secondo ci fa sapere Plinio nella sua storia naturale
lib.
3, cap. 7 Giustiniani nel suo Geografico
Dizionario ragionato del Regno di Napoli, Antonino Lucania illustrata par. 2. Dis. 13.
I cittadini di Maratea, che osservato avevano il gran pericolo
corso dal naviglio, e la corruscante luce nella notte, che lĠaveva illuminato, vedendolo
appressarsi al lido, in gran folla vi accorrono onde
chiedere novella dellĠaccaduto: dietro ben lunga discussione tenuta col Pilota
ed equipaggio, si stabil portarsi in Maratea Superiore la sacra una dove era
riposto il sacro torace di S. Biagio, erigendolo a voti unanimi fin da
quellĠepoca a special padrone e protettore della citt, essendolo anche ora dellĠintera
Diocesi. La nave, consegnata la preziosa gemma ai Marateesi, intraprende il suo
cammino verso Roma per adempire allĠincarico ricevuto.
Questo e quanto pu dirsi sulla traslazione delle reliquie di S.
Biagio in Maratea Superiore e propriamente del sacro torce,
mentre il resto del corpo rattrovasi disperso in
molte parti, cio in S. Pietro in Roma come attesta Pancerolo,
nella Chiesa di S. Pruzide detta dei Monti, in S.
Maria di Loreto, nella chiesa dei SS. Apostoli detta propriamente della S.
Croce in Gerusalemme, in Volterra, in Milano come scrive il Consaga,
in Monpellier, nel monastero deĠ Premostratesi non
lungi da Brusselles, come asserisce il Winchmanno, esservi un braccio donato da Margherita figlia
di Odoardo 1. Re dĠInghilterra in Peruges, Orbitello, e nel Regno di Napoli in Capua giusta il Monaco,
in Eboli, Brindisi, nel Monastero di S. Gregorio Armeno, in S. Biagio aĠ librari, nella Chiesa deĠ SS. Pietro e Sebastiano, in S.
Martino deĠ padri Cerni a Carbonara, nella Chiesa deĠ PP. Celestini detta S. Pierto a Majella, nella chiesa del Pennino, la quale fu
edificata nel 1632 in onore di S. Biagio, ed il
Bollando nella sua storia rapporta la miracolosa cagione, che spinse il divoto popolo Napolitano a tanto praticare.
Finalmente la repubblica deĠ Ragusi
nel non secolo elesse per suo padrone S. Biagio, e nelle sue monete vi vien rappresentata la sua effige.
Come sia avvenuto, che in pi punti si rattrovino
delle reliquie di S. Biagio, si perde nel buio deĠ secoli.
Evvi in Maratea Superiore un Sacro delubro a S. Biagio. II Tempio
non offre una regolare architettura, vi pero un bel peristilio di marmo con
un atrio, nel quale vi sono tre porte, essendo quella
di mezzo tutta di ferro intrecciata con alcuni ornamenti in bronzo. Nel mezzo
del Tempio a man dritta entrando sorge una maestosa e
brillante Cappella tutta di marmo con belle colonnette di ordine corinto di color bleu, con arabeschi fregiati con oro di
zecchino, la stessa fu cosi simmetricamente abbellita nel secolo XVII. Sulla
porticina d'ingresso vi si legge....
Hic jacet Corpus Sancti Blasii Martyris
e dallĠaltro lato della Cappella sopra lĠaltare....
Sub Presidatu Julii Cesaris starace
Neapolis
1619.
II sacro torace di S. Biagio rinchiuso dentro una bell'urna di marmo bianco della lunghezza di palmi due e
larga 1 ¼: sotto dellĠurna vĠ una coppa di argento, che spesse fiate si
riempie di preziosa manna, uno dei sorprendenti miracoli che opra l'invitto Campione,
facendola del pari sgorgare dalle colonne tutte, e dai sacri altari, che son
tutti di marmo. Siffatta cappella in ogni tempo stata arricchita
dĠinnumerevoli indulgenze deĠ Pontefici regnanti come rilevasi
da varie bolle esistenti di Clemente VII, Paolo V, Pio III, Benedetto XIII, ed altri.
II Re Filippo IV a tre luglio del 1635, per segnalati favori
riportati merc il patrocinio di S. Biagio, con
diploma dichiar la cappella Regia, facendole dono di duc.
1000, come rilevasi da istrumento deĠ 17 agosto del
1635 pel notar del R. C. Massimo Passaro,
ed analoghe provvisioni pel Regio Consigliere de Angelis delegato, spedite aĠ 21 agosto 1636.
La cappella di S. Biagio di diritto patronato del Comune. In
caso di vacanza del Cappellano, il Corpo municipale forma una tema di cospicui personaggi,
la cui scelta pervio concorso appartiene all'ordinario
Diocesano. Alle basi delle colonnette nella porticina dĠingresso di detta cappella
si ravvisa a bassorilievo lo stemma dell'attuale Dinastia Regnante che D. G. e
quello della citt. La cappella di S. Biagio godeva un dazio sopra i naviganti,
il quale fu abolito nel 1808, ed i governatori pro tempore avevano lĠesclusiva facolt
di rilasciare le patenti per la navigazione.
LĠintero Tempio a causa della vetusti
minacciava imminente rovina, ma ormai un lustro, che non solo sĠ restaurato,
ma altres sĠ abbellito arricchendosi a dovizia di sacre suppellettili; ed a
questa grandĠopera non poco vi ha influito lĠex sindaco Filippo deĠ baroni Labanchi, ed un tal Giuseppe Ciceraro,
uomo di bassi natali, ma di specchiata morale e probit, il quale, previa autorizzazione
della Curia Vescovile, raccolse vistode somme di
oblazioni, non solo dai Cittadini Marateesi, ma bens daĠ forastieri:
e qui merita esser fatta menzione il nome del chiarissimo concittadino cav.
Salvatore Mandarini attuale Intendente di Bari, il quale, oltre aver dato
danaro, ha fatto dono alla Cappella di una bella lampade di argento.
VĠ una bella statua di S. Biagio d'argento, la quale nelle critiche
circostanze vien trasportata in Maratea Inferiore; e
per consuetudine poi nella seconda settimana del mese di maggio di ciascun
anno, viene la statua riportata dai cittadini di Maratea Inferiore
processionalmente, essendo ci stato stabilito in pubblico consiglio li 10 aprile
del 1695, come si legge negli atti del notar Giov.
Pietro Lombardi.
Intorno alla processione di S. Biagio in varii
tempi vi sono state delle aspre contese fra gli agenti municipali di Maratea
Superiore ed Inferiore, quando facean
separata amministrazione, contese che furon tutte
accordate con sovrana determinazione deĠ 22 aprile 1758.
Nella piazza di Maratea Inferiore sorge una alta
colonna d'ordine toscano, sulla quale si eleva una statua in forma colossale di
S. Biagio, vestito in abito pontificale vescovile, ed in atto di benedire il
popolo; nella base di questa colonna vi si legge la seguente lapidaria
iscrizione del celebre Mazzocchi.
Divo Blasio Martyri Invicto
Maratensium Civitatis
Patrono atq. Opitulatori
Pro meritis in se omni indulgentia
Eximiaq. Largitate collatis
Ordo populusque
MDCCCLVIII
II marmo della colonna essendo simile a quello della Sacra urna,
dove riposto il sacro Torace di S. Biagio, credesi
in Maratea che questa colonna di sopra espressa, fosse quella dove fu S. Biagio
flagellato, a quale oggetto vi e in essa scolpito il
seguente verso...
In hac dicitur columna
passus.
Oltre al miracolo della preziosa manna, si veggono
tuttod deĠ ciechi acquistar la luce, zoppi raddrizzati,
mutoli favellare, egri guariti in un baleno, e non puol
descriversi il concorso che vĠ nel santuario nella 2ğ settimana di maggio,
venendo delle genti fin dalle pi lontane provincie del nostro Reame a visitare
S. Biagio, e deponendo a pi dellĠara votivi doni.
Uno deĠ prodigiosi miracoli di S. Biagio fuor di dubbio quello
che opr quando era stretto fra i ceppi nella
prigione per ordine d'Agricolao. Guari un unico
pargoletto prossimo a lasciare la frale umana spoglia per essersi framezzata
una spina nellĠesofago: soggetto e stato questo d'un celebre dipinto del
chiarissimo A. Chierici di Reggio, esposto nella sala del Popolo in Roma nel
1845, dipinto applaudito da tutti, ed in particolare
dai Podesti, Minardi, Agricola, Cochetti,
Cavale, Owerbeck. Di questo dipinto il nostro
meritevolissimo amico F. Cirelli ne riport una
litografia nel Poliorama Pittoresco
an. 9, con una bellissima descrizione fatta da M. Garola,
ed illustrando il disegno con una commovente ed ispirata poesia estemporanea
dellĠesima poetessa Rosa Taddei. Noi ci asteniamo di descrivere partitamente le bellezze del dipinto, non
potendo tanto fare per non aver lĠoriginale presente, n
si potrebbe giungere a quanto ne han detto gli eruditi ingegni del Garola e della Taddei, piacendosi
riportare un semplice brano della poesia dettata da questĠultima soggiornando
in Roma.
Semispenti son
gli occhi In sonno eterno.
E le vestigia dellĠestremo
fiato
Sovra le labbra livide
discerno
Morto , misera
madre, il dolce nato
Che sul grembo ti
sta gelido e muto
Con tutto il piccol corpo abbandonato.
Chi negher di
lagrime tributo
A te, che hai
forse in quellĠunica prole
Ogni speranza d'avvenir
perduto?
Parlando altrove del miracolo cosi sĠesprime:
Chi parla? A cui si parla? Umana mente
Piegati innanzi a
lui che a Dio favella:
Ei domanda un
prodigio, e Dio consente,
LĠabitator della
romita cella
Ha nel viso, ha negli atti amor scolpito,
Tanto che in lui
fin le canizie bella.
Pon nella bocca dell'estinto il dito:
Gli occhi son
volti a Dio; la mano intanto
Col segno
onnipotente adempire il rito.
Il dipinto del Chierici stato anche condotto su litografia da
Gatti e Dura per commissione data dal concittadino Raffaello Barone, il quale gratuitamente
ne dispensa i rami.
Pietro Mazzei-Lieto.