Si perde con l’ottocento un mondo ordinato, un mondo quasi senza fretta; l’umanità si affaccia con il
novecento verso realtà ideologiche, scientifiche e industriali sconvolgenti in
veloce e dinamico divenire.
La
società di Maratea non può che accogliere, nella sua globalità,
con indifferenza e con sensibile distacco questa nuova alba di stimoli ideali
anche perché sconvolta dai nuovi eventi, nel suo esile tessuto economico e
sociale, che aveva dato a tale comunità un settecento e parte dell’ottocento praticamente dinamico, ricco di fermenti, per la presenza
di quell’ampio strato intermedio, creatosi prevalentemente su basi economiche,
e che aveva evitato il bipolarismo diversificandone così lo sviluppo da gran
parte delle aree lucane.
Nel 1894, il sibilo del treno, attraversando il
nostro territorio, squarcia un’atmosfera vergine di millenni e porta il
segnale dei tempi nuovi.
La nostra comunità non può dare a tale segnale nuova originalità
al suo sviluppo. Con quel treno, infatti, partono gran parte degli emigranti
di Maratea; essi non fuggivano, come successe per la quasi globalità dei
diseredati del sud, per i quali partire fu un atto di
ribellione a quell’assetto proprietario terriero e del barone il signore di tutta la vita dal quale dipendeva anche l’onore del povero.
Da Maratea si partiva perché
crollava, col mutare delle condizioni socio-economiche
e politiche della nazione e del circondario, quel sistema economico che aveva
reso dinamica la nostra collettività nei secoli precedenti, fatta di piccoli
commerci, di attività artigianali e di quella piccola attività ortofrutticola
favorita dalla frantumazione del territorio; tutta attività questa, gestita da
una moltitudine di microimprese a
carattere familiare i cui membri compivano in modo autonomo tutte le fasi del ciclo economico. Né
alternativa di ripresa economica era facile a
realizzarsi, considerando la particolare collocazione del nostro territorio
estremamente decentrato dalle grandi aree urbane del Sud.
In molti dunque partirono, ognuno con la speranza di ritornare, ognuno facendo sentire la sua presenza
con quelle periodiche rimesse che permisero un miglioramento delle condizioni
di vita delle loro famiglie e ai figli di studiare, cominciando a creare,
così, una tendenza a quella massificazione dei costumi intorno a quei modelli
di vita rappresentati tradizionalmente dalle classi intermedie. Ne è
testimonianza il sorgere in numerose contrade di scuole primarie, il rifiorire
dell’educandato femminile De Pino con gli insegnamenti elementari, complementare
e giardino d’infanzia e l’apertura del convitto Lucano, nel quale si possono compiere anche studi ad indirizzo tecnico e classico. Tale organizzazione
scolastica, nel censimento del 1951, farà risultare
gli analfabeti del comune intorno al 16,4% contro una media regionale del
29,2%.
L’istruzione era infatti vista come
l’unico mezzo per accedere ad un impiego statale ed imboccare quindi una vita
di decoro e di prestigio. Intorno a tale fenomeno si ebbe anche una pennellata
di mondanità rappresentata dal sorgere
nel 1924 del circolo giovanile Pro Patria
punto di incontro e fucina di iniziative della
gioventù maschile del paese. In contemporanea quasi, compare la prima macchina da noleggio, una scuola
per ricamatrici, la prima sala
da biliardo e una banda musicale.
Per i meno fortunati, la vita non è agevole. La durezza di un
lavoro pressante e ingrato sul proprio pezzetto di terra o presso terzi genera
fatalismo e rassegnazione. Costoro completano un ecosistema sociale; il loro
consenso a tale struttura della società è in parte
generato dal bisogno e in parte voluto da chi, appena più fortunato, vede nel
mantenimento di questa disuguaglianza la sopravvivenza di qualche privilegio.
Proprio il modo di vita delle classi più agiate viene visto, dunque, come meta dalla gran parte della
popolazione; meta comunque da raggiungere secondo un canone di perbenismo
qualunquistico, per nulla intaccato dalle nuove idee di lotta che dilagano per
le contrade di gran parte della nazione.
Chi arriva con idee illuministico-libertarie
trova l’isolamento in questa società dove le idee per
nulla circolano e dove il tempo viene scandito dal susseguirsi esclusivo di
novene e processioni. Ed è proprio la forte presenza di un certo clero,
considerato che Maratea sin da tempi remoti fu centro rinomato di culto, che
crea una cultura omogenea e refrattaria al nuovo; pronta a rinchiudersi come un
riccio e ad etichettare come menti balzane i suoi
stessi figli quando sono portatori del nuovo.
Nella rivista pubblicata nel
Mentre ciò viene
scritto, la storia d’Italia ha ormai archiviato quelle leghe contadine, il
garofano rosso all’occhiello dei socialisti, quel fervore ideale e scientifico
esploso altrove e da noi nemmeno avvertito.
Con le due arciconfraternite,
dell’Addolorata e dell’Immacolata poi, rappresentanti la
prima i meno abbienti, la seconda i nobili e i possidenti, il clero,
dagli inizi del secolo, riesce a gestire in maniera salda la politica paesana o
comunque a svuotarne l’incisività, anche quando questa assume carattere di
particolare passione con la campagna elettorale che vede in lizza i movimenti
denominati della sciammerica
e della giacca (conservatori i primi,
liberali i secondi).
Il novecento rappresenta, dunque, un
periodo di grave crisi ideale della nostra collettività che si accompagna allo
scadere di un quadro economico che si confonde ormai con quello di tanti paesi
meridionali.
L’era fascista, con la sua retorica e con i suoi
riti, contribuisce ad appiattire ulteriormente questa collettività, che accoglierà
la liberazione solo con il gesto festante di pochissimi giovani, che danno
fuoco a qualche immagine del Duce.
Da questo quadro
socio-economico si evince come
questa collettività sia stata pressoché impossibilitata a far germogliare quei
fermenti atti a creare un saldo e dinamico dibattito ideologico e politico.
Ancora le elezioni per la camera dei deputati, svoltesi nel 1953, evidenziano
la presenza compatta di un fronte moderato conservatore: su 2.459 votanti 2.198 voti furono
espressi a favore della D.C. e dei partiti di destra (D.C.: 1.605, PLI: 85, PNM: 360, MSI: 148), molto
scarsi, come si può notare, furono i voti espressi a
favore dei partiti laici e di sinistra andando dal PRI al PCI.
Nonostante ciò, tale comunità, come per i
secoli precedenti, ha continuato a manifestare il suo tradizionale senso di
civismo, atto a mantenere e a creare strutture necessarie alla vita
collettiva.
I cittadini tutti avevano risposto nel 1939 con
entusiasmo all’appello del commissario prefettizio dell’epoca, comm.
All’interessamento sempre del comm.
Vitolo, ed al contributo dei cittadini, sia residenti che emigrati, si deve la
realizzazione degli unici spazi realizzati fino ad oggi nel centro storico,
atti ad essere punto di ritrovo di cittadini e di turisti (Piazza Impero, ora
Piazza Immacolata, Piazza Buraglia e Villa Comunale
Cardinale Gennari).
All’inizio del secolo,
A tale
istituzione, i cittadini di Maratea sono rimasti sempre legati,
tanto da rispondere massicciamente all’invito dell’allora presidente prof.
Biagio Iannini, il quale nel 1932 con una circolare invita gli stessi ad un sacrificio economico per fornire l’ospedale di un
autoclave e per lavori di ristrutturazione di
impellente necessità.
Durante l’ultimo conflitto mondiale, molti marateoti si adoperavano per fornire alimenti, biancheria e tutto ciò che
potesse alleviare le sofferenze dei malati.
Suggestivo è il resoconto, che nelle sue memorie fa il podestà dell’epoca
Per iniziativa, poi, di Antonio
Cernicchiaro, presidente dell’ospedale alla fine degli anni quaranta, e con
l’obolo dei cittadini di Maratea residenti in Bogotà
(Colombia), l’ospedale si arricchisce di un moderno letto operatorio con lampada e di un gabinetto di analisi.
Nello stesso tempo, sempre per opera dello
stesso presidente si garantisce in ospedale, per la prima volta, la presenza in pianta stabile di un chirurgo nella
persona del valente prof. Francesco Bellelli.
Nel 1921, per iniziativa di Antonio Brando fu
Gaetano, la corrente elettrica giunge nelle strade e nelle case di Maratea e Trecchina, mentre intorno agli anni venti appare
Tra le altre attività economiche bisogna
ricordare la presenza di tre frantoi, mulini, della poco remunerativa
industria del crine vegetale e di una piccola fabbrica di mattoni decorati per
pavimenti, di proprietà di
Intorno agli anni cinquanta, infine,
In questa collettività, nel 1953, tra un rifiorire di speranze,
cala l’industria del nord ... ma non sarà sempre primavera.