I DIALETTI DELLA BASILICATA, IL DIALETTO DI MARATEA

Negli studi delle lingue derivate dal latino la loro classificazione si fa sulla base del vocalismo. Il latino classico aveva dieci vocali (i, e, a, o, u brevi e lunghe). Per un parlante della latinit classica non esisteva possibilit di confusione tra pālus palo e pălus palude, ōs bocca e ŏs osso,  fūgit fugg e fŭgit fugge. La quantit vocalica aveva dunque valore fonologico, cio distintivo.

 

Ma nellevoluzione del latino parlato la quantit vocalica and perdendo progressivamente le sue capacit distintive e da una certa epoca in poi (IV-V secolo) cess di essere rilevante. Questo il fenomeno pi importate e pi denso di conseguenze del passaggio dal latino ai volgari romanzi. La perdita di percezione della quantit nellarticolazione delle vocali fu sostituita dalla percezione del loro grado di apertura. Il grado di apertura, che nel latino classico era legato automaticamente alla quantit (le vocali lunghe erano sempre chiuse, quelle brevi sempre aperte), divent principale, mentre si fece secondario laspetto della quantit. Un vero e propro rovesciamento. Dal vocalismo latino, costituito dunque da un sistema di dieci vocali, nacquero i vocalismi romanzi. Vocalismi, non vocalismo romanzo. Infatti, a seconda delle aree geografiche, il passaggio dal sistema vocalico latino a quello volgare avvenne in modo diverso. Le dieci vocali del latino classico si ridussero in alcuni casi a sette (con e e o aperte e chiuse), in altri cinque. Questo vale per tutte le parlate romanze, anche per quelle della Basilicata, anche per quella di Maratea. Nella penisola italiana una di queste parlate, il fiorentino, costituir per ragioni storiche e culturali il fondamento prima dellitaliano letterario, poi della lingua italiana comune, quella che noi oggi parliamo.

 

Rivolgendo ora lo sguardo allintera Romnia (larea europea dove si parla una lingua di origine latina) si contano cinque tipi fondamentali di vocalismo. Caso unico rispetto alle altre grandi aree della latinit (iberica, francese, rumena, valli alpine), tutti e cinque questi tipi sono rappresentati sul territorio italiano. E caso unico rispetto a tutte le altre regioni italiane, i cinque tipi sono rappresentati al completo solo in Basilicata. Comincer proprio dalla loro classificazione:

 

1. vocalismo panromanzo

quello pi diffuso sullintero territorio romanzo ed perci considerato quello tipico della Romnia. Si incontra, oltre che nello spagnolo e nel portoghese, nel francese, nel ladi­no, nei dialetti settentrionali italiani, nel toscano e perci nellitaliano, nei dialetti mediani della penisola e in quelli campani. In Basilicata interessa i comuni del versante nord-occi­dentale, la zona di Potenza e lalta Valle del Noce. In base allo schema sopraindicato le parole latine amōre(m) e crŭce(m) evolvono, per es. nel toscano e nellitaliano, in amre e crce. In questo caso la situazione di piena trasparenza, ma in altri sistemi linguistici che non siano il toscano, possono sopravvenire complicazioni o successive evoluzioni che mascherano lesito iniziale della vocale tonica (per es. oggi nel francese amour [amr] e croix [krw]). Quando si parla di vocalismo volgare si intende perci quello del protovolgare. Nei dialetti pi arcaici, tuttavia, il vocalismo protovolgare si in genere conservato integro anche nelle attuali parlate.

 

2. vocalismo sardo

Sistema pentavocalico, considerato il pi arcaico della Romnia, dato che le vocali conservano il timbro di quelle latine originarie. tipico della Sardegna, regione che dal punto di vista linguistico si presenta come la pi conservativa dellintera latinit. Il carattere conservativo delle aree periferiche (qui dovuto allinsularit della regione) del resto una legge che ha valore generale in linguistica come in altri campi. Nel nostro caso significa che londa del vocalismo panromanzo, che il pi evoluto fra i vari sistemi, in Sardegna non mai arrivata. Ma non mai arrivata neppure nei dialetti della Basilicata meridionale, nella zona che va dalla valle dellAgri fino al massiccio del Pollino. Area dialettale che i linguisti conoscono come zona Lausberg, dal nome del filologo tedesco che per primo ne ha individuato e descritto le caratteristiche. Studi successivi hanno apparentato a questa zona anche la fascia pi settentrionale della provincia di Cosenza. In Sardegna e nella zona Lausberg da amore(m) e cruce(m) si ha amore e cruce.

 

3. vocalismo siciliano

Non riguarda soltanto la Sicilia ma anche la Calabria meridionale, il Salento, zone ristrette del Cilento e, unica in Basilicata, Maratea. Questo tipo di vocalismo quello caratteristico delle aree di pi recente latinizzazione. In Calabria, in Sicilia e nella penisola salentina la grecit bizantina ha infatti resistito pi a lungo che nel resto dellItalia meridionale. In Sicilia da amore(m) e cruce(m) risultano amuri e cruci, e cos pure a Maratea, con la sola differenza rispetto al siciliano della -e indistinta finale invece di -i.

 

4. vocalismo asimmetrico

Caratteristica di questo tipo la differente evoluzione delle vocali latine del ramo palatale (cio e, i) da quelle del ramo velare (o, u). Tale sistema caratteristico dellarea rumena, lantica Dacia. Ma vige anche nelle parlate di una zona della valle del Basento, un gruppo di comuni che fanno centro intorno a Castelmezzano (Campomaggiore, Oliveto, Accettura, Laurenzana, ecc.), dove si ha amore ma cruce, con e indistinta finale.

 

5. vocalismo di transizione

Rappresenta un sistema intermedio fra tipo panromanzo e tipo siciliano, ed caratteristico di alcune zone della Puglia e della Basilicata nord-occidentale (zona di Matera e valle del Bradano). In questarea si ha amore e croce, con o aperta ed e indistinta finale.

 

Il fatto che nella Basilicata siano riassunte tutte le variet di vocalismo presenti sullintera area romanza suggerisce alcune considerazioni. Anzitutto lo stato di grande frammentazione linguistica che caratterizza la regione, conseguenza della natura accidentata del territorio; poi il carattere di frontiera dellantica Lucania rispetto alla Calabria grecizzata. La presenza dei vocalismi di tipo sardo e rumeno depone per una distanza di fatto da Roma, centro della latinit, paragonabile a quelle della lontanissima Dacia o dellinsulare Sardegna.

 

Lassenza di omogeneit linguistica fa s che nessuna parlata lucana possa essere considerata tipica o rappresentativa dellintera regione. Cos Helmut Ldtke, curando il volumetto relativo alla Lucania nella collana Profilo dei dialetti italiani, pubblicata dal Centro di studio per la dialettologia italiana del Consiglio Nazionale delle Ricerche, si trovato in imbarazzo quando ha dovuto dare un saggio delle parlate lucane (questi volumetti sono accompagnati da un disco), e ha scelto, ma senza una ragione particolare, i dialetti di Rionero in Vulture e di Senise.

 

Le complicazioni per non finiscono qui. CՏ dellaltro e anche di una certa importanza. Finora si fatto riferimento alle parlate indigene della Basilicata, quelle cio derivate direttamente dallevoluzione del latino volgare in questarea. In Basilicata per si registrano sia dialetti allogeni, cio dimportazione, sia parlate alloglotte, che hanno cio origine da una lingua non romanza.

 

Per quanto riguarda il primo caso, in due zone della Basilicata si parlano dei dialetti dorigine settentrionale, del tipo che in linguistica si definisce gallo-italico. La prima ha il suo centro in Potenza e si articola nei comuni di Avigliano, Ruoti, Pietragalla, Picerno, Vaglio, Cancellara, Tito, Trivigno e Albano; la seconda, molto prossima a Maratea, interessa i comuni di Trecchina, Nemoli e Rivello. Lindagine sulle caratteristiche linguistiche di queste zone si deve soprattutto a Gerhard Rohlfs, il grande linguista tedesco che nel corso di unattivit scientifica quasi settantennale ha contribuito pi di qualsiasi altro alla conoscenza dei dialetti italiani, segnatamente di quelli meridionali. Studiando il dialetto di Trecchina Rohlfs riuscito anche a definire la zona di provenienza degli immigrati gallo-italici che ne avrebbero occupato il territorio. Si tratterebbe del Monferrato, da cui, approssimativamente intorno al XII-XIII secolo, sarebbe partita la diaspora. Diaspora religiosa, presumibilmente, comՏ del resto per tutte le colonie gallo-italiche del Mezzogiorno. Tali isole allogene hanno subito nel corso dei secoli lattacco concentrico delle parlate indigene, che hanno finito ovviamente per indebolirne le caratteristiche originali. Nella fase attuale si pu dire che si vada verso il completo assorbimento, anche per effetto dellincalzare dellitaliano.

 

E a questo proposito, per dare conto delle dinamiche complesse a cui hanno soggiaciuto e ancora soggiacciono i dialetti gallo-italici di Basilicata, come del resto di tutto il Mezzogiorno, possiamo volgere lattenzione su un elemento minimo ma sufficientemente indicativo. Nel dialetto di Trecchina il verbo che indica andare ann. Tale elemento lessicale estraneo ai dialetti meridionali, che per esprimere lazione di andare adottano dei derivati del lat. ire. Lorigine di andare incerta, deriva forse dal lat. parl. *ambitare o da ambulare: nelle parlate latino-volgari dellItalia settentrionale e centrale soppiant loriginario ire. Nel dialetto di Trecchina la forma ann dunque di origine alto-italiana, e se riuscita a resistere allaccerchiamento dei derivati di ire, perch ha ricevuto e ancora riceve il sostegno dellitaliano andare. Ma un tributo ai dialetti meridionali ann lha comunque pagato, dal momento che presenta lesito assimilato -nn-, in conformit con il risultato panmeridionale del nesso latino -nd- ; per es. nel dialetto di Maratea: quannu  < lat. quăndo, funnu <  lat. fŭndu(m) fondo, glianna < lat. parl. glănda(m) ghianda.

 

E vengo alle parlate alloglotte. In Basilicata sono di origine albanese e si concentrano in due aree. La prima a Barile e Ginestra, nei pressi di Rionero; la seconda sulle falde del Pollino, a San Costantino e Casalnuovo, fra Noepoli e Terranova. La loro sorte non dissimile da quella dei dialetti gallo-italici. Anche in questo caso si va verso lassorbimento.

 

Fin qui una descrizione che fa riferimento alle condizioni attuali. Ma quali osservazioni sono da fare se consideriamo i dialetti della Basilicata in relazione alla loro evoluzione nellultimo secolo e mezzo? Intanto stata decisiva lunificazione politica della penisola, che ha determinato dovunque anche un processo di unificazione linguistica. Ci ha comportato necessariamente un progressivo indebolimento dei dialetti. Fase intermedia, ancora viva, la formazione di variet dialettali regionali, costituitesi normalmente intorno alle parlate delle citt capoluogo. I dialetti laziali, per esempio, hanno progressivamente perduto loro caratteristiche peculiari per adagiarsi su una sorta di koin regionale che ha in Roma il centro di irradiamento; e cos anche per Napoli, Milano, Torino ecc. rispetto alle aree circostanti

 

successo qualcosa di simile anche in Basilicata? Esiste uno dei dialetti lucani che ha esercitato unattrazione sugli altri dialetti della regione? Di solito la citt capoluogo ad avere questa funzione, ma per Potenza ci non avvenuto. Si potrebbero invocare ancora ragioni geografiche. Ma la ragione principale risiede forse altrove. Potenza, che pure ha fatto registrare, soprattutto negli anni 60, una consistente immigrazione regionale, costituisce il paradosso di una citt capoluogo che parla un dialetto che alle orecchie dei lucani non potentini non gode di alcun prestigio culturale, proprio perch si tratta di un dialetto allogeno, estraneo alle parlate indigene lucane. E cos, mentre in genere per le altre citt capoluogo il passaggio dai dialetti allitaliano comune avvenuto anche attraverso una fase di espansione dei dialetti cittadini, il destino del dialetto potentino stato esattamente di segno opposto. Lessere il dialetto potentino di tipo gallo-italico ha fatto s che, piuttosto che espandersi nelle aree circostanti, subisse progressivamente linfluenza dei dialetti delle aree circostanti. In queste condizioni la Basilicata, da un punto di vista linguistico, si presenta ancora oggi come acefala. Ne consegue che soprattutto nella fascia occidentale e in quella orientale la regione ha subito la pressione rispettivamente dei dialetti campani e dei dialetti pugliesi. Sono numerose le isoglosse (linee che congiungono localit in cui si registra uno stesso esito linguistico, come le isobare per la pressione o le isoipse per laltitudine) che, originatesi in Campania e in Puglia, si incuneano nel territorio della Basilicata. E cos la Basilicata, linguisticamente, un po Campania, un po Puglia, e dato che la zona Lausberg sconfina nella Calabria settentrionale, si direbbe anche un po Calabria.

 

Finora del dialetto di Maratea ho detto soltanto che presenta un vocalismo di tipo siciliano, caratteristica che non ha riscontro in alcun altro dialetto della Basilicata. Il fatto che tale vocalismo sia tipico delle aree di pi tarda latinizzazione (Calabria meridionale, Sicilia, Salento) farebbe supporre una persistenza delluso del greco bizantino pi accentuata che non nelle zone circostanti. Qualche anno fa, osservando la toponomastica di Maratea, rilevavo una coincidenza con toponimi caratteristici della Calabria meridionale. In et bizantina, epoca della sua fondazione, Maratea ha sicuramente avuto scambi con popolazioni provenienti dallestremo sud della penisola. Ma di che tipo? E difficile dirlo. Intanto verifichiamo in concreto in che modo si realizza nel dialetto di Maratea lo schema del vocalismo cosiddetto siciliano:

 

Latino

Dialetto di Maratea / siciliano

Toscano / italiano

 

 

 

 

ī

filu(m)

filu

filo

 

pinu(m)

pinu

pino

ī

nive(m)

nive

nve

 

siti(m)

site

ste

ē

tela(m)

tila

tla

 

catena(m)

catina

catna

ĕ

terra(m)

terra

trra

 

hibernu(m)

(n)vernu

invrno

ă

mare

mare

mare

ā

sanu(m)

sanu

sano

ŏ

forte(m)

frte

frte

 

corvu(m)

crvu

crvo

ō

hora(m)

ura

ra

 

forma(m)

furma

frma

ŭ

furca(m)

furca

frca

 

bucca(m)

vucca

bcca

ū

muru(m)

muru

muro

 

fructu(m)

fruttu

frutto

(nelle dialetto di Maratea e finale corrisponde sempre a un suono debole intermedio tra e e i).

 

Per gli altri aspetti fonologici e per quelli morfologici il dialetto di Maratea non presenta peculiarit altrettanto significative come per il vocalismo. Esso si apparenta per lo pi con i dialetti dellarea calabro-lucana, di quellarea identificata come zona Lausberg.

 

Elementi significativi comuni con la zona Lausberg sono: 1) lassenza di metafonesi (fenomeno di tipo fono-morfologico diffusissimo nei dialetti italiani, per cui il maschile si differenzia dal femminile e il singolare dal plurale per effetto del dittongamento o della chiusura della vocale accentata; per esempio, nei dialetti campani o russe il rosso e a rosse la rossa o pre il piede e i pire i piedi); 2) il condizionale in -ra (facra, durmra, cantra), tipo derivato dal piuccheperfetto latino; 3) la conservazione di -s e -t della coniugazione del verbo latino nelle seconde persone e nella terza singolare (cntisi canti, cntiti canta, cantsi canta­te); 4) la pronuncia legata a ragioni etimologiche, dunque non automatica come nei dialetti campani, delle grafie sca sche schi sco scu, per cui abbiamo musca mo­sca ma crušca crusca, friscu fresco ma fišcu fischio.

 

Allo stato attuale delle conoscenze per quanto riguarda il lessico si pu dire che il fondo delle parole del dialetto di Maratea di tipo calabro-lucano, ma con immissioni di voci dei dialetti campani. Le parole sono per loro natura gli elementi linguistici meno caratterizzanti, prestandosi facilmente allo scambio.

 

Prima di concludere vorrei per fornire un piccolo saggio delle complicate relazioni che si stabiliscono, anche sul piano lessicale, tra le varie parlate lucane. Assumer come esempio il nome del pipistrello. A Maratea rotapannotta, a Trecchina gattapagnotta, a Nemoli e Rivello rotarotagna, a Lauria roccapernoccola, nei paesi della valle del Sinni jattuugghie, a Oliveto Lucano uattifigghie, a SantArcangelo jattelevegghie, a Castronuovo S. Andrea jattevile. Spostandoci pi a nord, a Potenza tavelarra, a Muro Lucano spurtulone ecc. A quali etimi si riconducono differenze cos marcate? Cominciamo dallitaliano pipistrello, derivato attraverso una serie complicata di passaggi dal lat. volg. vespertillum (da vesper sera; cio animale serotino, notturno); da un accusativo *vespertilione(m) deriva invece il nome dellanimale nei dialetti campani (per es. sparpaglione a Sapri) e anche in alcuni dialetti della Basilicata vicini a quelli dellarea campana (spurtulone a Muro). Fin qui siamo in ambito di diretta derivazione latina. Per jattuugghie, uattifigghie e simili la base non pi latina ma greca. Nei dialetti neogreci il nome del pipistrello lachtarda, corruzione di nuchterda (gr. class. nuchters -dos), anche qui animale notturno. Ebbene, lachtarda costituisce anche letimo lontano di jattuuigghie, con sovrapposizione per di due parole latine: cattus gatto e vigilus che veglia: potremmo riassumere gatto che veglia di notte.

 

E rotapagnotta, gattapagnotta e gli altri simili? In questo caso lorigine non n greca n latina. O, a meglio dire, solo lontanamente latina, e cio rattus pinnatus topo senza pelo, entrato nei dialetti di Trecchina, Maratea, Lauria e anche di altre localit della Calabria settentrionale attraverso il provenzale rata penada (in francese il nome attuale del pipistrello chauve souris, letteralmente sorcio calvo, stesso significato). La diffusione di questo termine avvenuta evidentemente attraverso i dialetti gallo-italici. Ma loriginale rata penada da un certo punto in poi non essendo stato pi inteso nei suoi costituenti originali ha dato luogo a fenomeni di reinterpretazione popolare; i due termini di cui rata penada si costituisce sono stati associati a ruotare e notte a Maratea (animale che ruota di notte), a gatta e pagnotta a Trecchina (forse attraverso lintermediario gratta-pagnotta), a rocca e pernoccola, parola espressiva che indica bozzo, bastone nodoso, a Lauria, forse perch con un bastone che si scacciavano i pipistrelli quando entravano in casa. Ancora una diversa origine per il potentino tavelarra, la cui base sembra essere *(cat)tu volatore gatto volante.

 

Sarebbe diffcile trovare altrove, a cos breve distanza, un intreccio pi complicato di etimi e sovrapposizioni diverse per indicare la stessa cosa. Ma anche interessante notare come, partendo da etimi diversi (comՏ per gatta pagnotta, jattuugghie, tavelarra), limmaginario popolare abbia fatto confluire le fattezze del pipistrello, animale notturno, abitatore di luoghi oscuri e simbolo negativo, nei tratti pi familiari e benigni del gatto, anzi della gatta, nome che nei dialetti meridionali si usa al femminile anche per gli esemplari maschi. La ricostruzione linguistica ha a che fare molto spesso con ragioni che non sono soltanto linguistiche. Per quel che riguarda largomento di questo articolo  propongo di assumere proprio il pipistrello a simbolo, ma benefico, dellintricatissima storia dei dialetti lucani.

 

Pasquale Stoppelli

stoppelli3491@gmail.com

 

[ Con modifiche, dal volume La Lucania e il suo patrimonio culturale, a cura di G. Appella e F. Sisinni, Roma, Leonardo-De Luca Editori, 1991, pp. 89-93 ]

 

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