Antropologia di barba capelli e
Capelloni, di ieri e di oggi
Valerio Mignone
Barba e capelli lunghi, nei secoli scorsi, erano
diffusi, come documentano anche antichi ritratti di personaggi storici:
Leonardo da Vinci e Galileo Galilei.
E le cosiddette nobildonne e Signore dellalta
borghesia, in aggiunta alla propria capigliatura, portavano ridondanti
parrucche, confezionate con capelli propri, precedentemente tagliati, o capelli
altrui; ed anche con finti capelli. Sfarzosi cappelli, e turbanti, completavano
labbigliamento, talvolta con gonna a mongolfiera, e un rigido corsetto,
indossato con lintervento della servit, per stringere lacci e lacciuoli del
reggiseno, e del busto stesso.
Sul fronte opposto alla nobilt era la
Scapigliatura, animata da intellettuali, poeti, tra i quali erano Arrigo
Boito, autore di libretti di opere liriche, Emilio Praga, Felice Cavallotti, e tanti
altri.
In alcuni casi, barba e capelli lunghi erano
segni di sciatteria, o di scarsa igiene personale. Al contrario, baffetti e
sobri pizzetti, ben curati, alla Gabriele DAnnunzio e Luigi Pirandello, erano
segnali di cura della persona, al limite della civetteria.
A Napoli, barbieri e parrucchieri andavano anche
a domicilio dei clienti, in giorni ed orari concordati, a mo di
abbonamento.
Fino agli anni 50 del Novecento, era di moda la
rasatura a zero della barba, e sottili baffetti avevano sostituito i mustazz,
quei lunghi baffi a semicerchi, che ostacolavano anche la soffiatura del naso
con i fazzoletti, prudentemente intascati per ogni esigenza di pulizia delle
narici.
Le barberie erano note come Saloni, ove il
barbiere accoglieva con gentilezza professionale il cliente, che, fatto sedere
in poltrone girevoli e reclinabili, veniva imbavagliato, con teli bianchi, dal
garzone apprendista, e sottoposto alla insaponatura della barba per la rasatura
a zero, e, su richiesta, allo shampoo dei capelli.
Lunghe, ed affilate forbici venivano usate per
tagliare ciuffi cadenti sulla fronte, ed impomatati con la Brillantina. Altre
forbicette venivano usate per recidere i peli che fuoruscivano dalle narici del
naso. Particolare attenzione poneva il barbiere nel tratto occipitale dei
capelli, per tagliarli a graduale sfumatura. Il rasoio era a temperino, con
lama che si chiudeva nel manico. Lopera veniva completata con il massaggio
delle guance con una crema profumata. In quella mezzora di lavoro, spesso il
silenzio veniva interrotto da amabili conversazioni, ivi incluso qualche
pettegolezzo di paese.
Le donne frequentavano, e frequentano, con maggiore
assiduit il salone dei parrucchieri per acconciature e permanente con boccoli con luso di bigodini. E curano, di
persona, il loro viso con creme, profumi, rossetti, sfoltendo anche la crescita
di ciglia e sopracciglia con piccole pinzette.
Quanto allabbigliamento maschile, era abituale
luso di giacca e cravatta, sin dai primi anni giovanili. Ne sono testimonianze
foto scattate durante lo sciopero degli studenti liceali di Salerno a sostegno
della popolazione dUngheria, invasa dalle truppe sovietiche il 6 novembre
1956. Si lavorava con giacca e cravatta, e in camice bianco, anche nelle sale
anatomiche per sezionare cadaveri, e fino al 1963, negli stabulari degli Istituti
dellUniversit di Milano, per operare sui conigli.
Lanno di svolta fu il 1968, con il Movimento
studentesco, quando si contrapponevano Brigate rosse e Brigate nere, con
morti e feriti. Furono gli anni di sangue della cosiddetta Guerra fredda tra
Stati Uniti dAmerica ed Unione Sovietica.
Da quegli anni cambiarono i rapporti di lavoro
tra operai ed imprenditori; e tra studenti e professori nelle Universit, e
nelle Scuole di ogni grado e livello. E comparvero i Blue Jeans, che, pur nati
nella Repubblica Marinara di Genova nel Cinquecento, si diffusero nei Paesi anglosassoni,
prima che in Italia.
Oggi maggiormente diffusa ligiene della
persona, e rientrano nella normalit i cosiddetti Capelloni, che, negli anni
della Contestazione studentesca, erano considerati attivisti delle
ribellioni. Ne scrisse anche Pier Paolo Pasolini, nellarticolo col titolo
<< Contro i capelli lunghi>>, pubblicato il 7 gennaio 1973 sul Corriere della Sera.
Conclusione antropologica: la saggezza popolare
del proverbio Labito non fa il monaco,
invita a non esprimere giudizi frettolosi sulle Persone, basandosi sul loro
abbigliamento, e sulla lunghezza di barba e capelli. Infatti, anche tra rispettabili
giovani, sono di moda rasatura a zero del cuoio capelluto, e della barba, oppure
barba e capelli, pi o meno lunghi.
Purtroppo, barba e capelli lunghi, bianchi, spesso arruffati, delle Persone anziane, non autosufficienti; generano tristezze, e queste Persone meritano tanta solidariet.