La Basilica Pontificia - Santuario di San Biagio

 

È il Santuario dove sono custodite le Reliquie di San Biagio, Patrono della Città di Maratea. Dal 1941 è stato elevato a Basilica Pontificia. La Chiesa è dedicata a San Biagio, ed era intitolata alla Madonna delle Grazie.

Incominciò a prendere forma tra il VI° e il VII° secolo, modellandosi sulle preesistenti strutture di un tempio pagano, dedicato a Minerva.

Successivamente fu portata, forse nel XIII° secolo, alle attuali dimensioni con lavori di ampliamento. Nel ‘700 fu aggiunto alla facciata principale un portico a tre arcate, mentre le parti interne, subirono delle modifiche in stile barocco, con altari e bassorilievi, che ne cambiarono l’aspetto primitivo.

Qualche anno fa, con un lavoro di restauro che ha eliminato le sovrapposte decorazioni accumulatesi nei secoli scorsi, sono riemerse le semplici e  maestose linee architettoniche delle tre navate.

Sulla destra della chiesa si eleva il campanile in stile vagamente bizantino.

Nella facciata principale si notano una statua in marmo del 1600 raffigurante S. Biagio detto "San Biaseddu" per le sue dimensioni, ubicata nella nicchia al centro del timpano e il cancello in ferro battuto del ‘400.

All’interno, di notevole importanza, è il Sacello per le reliquie di S. Biagio, dichiarato «Regia Cappella» nel 1622 per decreto di Filippo IV D’Asburgo, re di Spagna e di Napoli, che fu fatto costruire nel 1619 dal sovrano stesso.

L’originale struttura del Sacello si limitava alle colonne corinzie con gli stemmi di Filippo IV° di Spagna e di Maratea sulle basi e all’architrave con l’iscrizione. Nel 1878, per iniziativa del Mons. Gennaro Buraglia, la cappella fu rivestita con lastre di marmo rosso e furono aggiunti la porta in marmo bianco, e il tondo raffigurante San Biagio a mezzo busto, opere eseguite dallo scultore napoletano Domenico Oglia.

Originariamente disposto sulla destra della navata centrale, il sacello fu smontato nel 1941 e collocato nel presbiterio. Contiene un’urna in marmo bianco che conserva le Reliquie di San Biagio.

Risale al tardo ‘400 l’affresco di una Madonna con Bambino ubicato sul primo pilastro a sinistra della navata centrale; invece risale al 1540 la lastra sepolcrale della famiglia Deodato. É del XVI° secolo la fonte battesimale in pietra arenaria e il ciborio; tra la produzione artistica del XVI secolo si collocano un pregevole bassorilievo in marmo bianco, raffigurante l’Annunciazione , opera di ignoto scultore napoletano del ‘600; l’organo in legno dipinto e dorato e la lastra sepolcrale in marmo bianco del Vescovo D. Paolo Palombo (1648).

Nella navata destra, sul secondo altare, è ubicato il bassorilievo raffigurante la Madonna della Sapienza , donato nel 1755 dal parroco Gaetano Armenio come risulta dall’iscrizione sulla base, quindi l’opera dovrebbe risalire ad epoca precedente.

Allo stesso secolo risalgono il dipinto su tela raffigurante la Madonna Assunta e S. Lucia di ignoto pittore lucano; il dipinto su tela di San Biagio in gloria, opera di sconosciuto pittore lucano; la scultura della Madonna delle Grazie col Bambino in legno dipinto di ignoto scultore lucano.

Per iniziativa del Centro Culturale di Maratea tra il 1976-1982 furono effettuati recuperi e ripristini della lastra tombale, del bassorilievo raffigurante l’Annunciazione, dei sei altari , della fonte battesimale, dell’acquasantiera, del tabernacolo ubicato sul secondo altare della navata sinistra, del bassorilievo raffigurante la Madonna della Sapienza e del Sacello per le Reliquie di San Biagio.

A conforto di tale ipotesi resta il nome del monte su cui sorge l'edificio (Monte Minerva ora San Biagio) e materiale di spoglio, quali i marmi dell'attuale trabeazione e gli archi e le colonne del proneo. Non è, altresì, improbabile che sui resti di tale tempio i monaci orientali abbiano creato un primo cenobio, dopo aver abitato le Grotte dello stesso monte, quali quelle di San Michele Arcangelo e di Zu Jancu. La laura fu dedicata alla Theotokos, titolo successivamente trasformato in "S. M. Maiore", come si legge sul primo pilastro della navata. Secondo la tradizione, tale chiesa accolse l'Urna di Sannia dai monaci orientali.

Dall'esame formale dell'edificio si può inferire che la prima chiesa abbia occupato l'attuale area absidale. In seguito la stessa si ampliò con il presbiterio, forse utilizzando una delle torri della cittadella murata e con le tre navate che costituiscono la parte più consistente dell'edificio, che così raggiunse l'attuale forma.

Sulla pianta quadrangolare, la navata centrale è separata dalle due laterali da tre archi ribassati a destra e a sinistra, le volte a botte con una serie di cappucci nella prima e seconda campata della navata sinistra ed in quella centrale nella parte antistante l'arco prossimo all'ingresso.

Il presbiterio è coperto da volta a vela e l'abside accoglie dal 1969 il Sacello con l'Urna, che risalirebbe al 1619, se ha un senso la data leggibile sull'architrave interno e detto "Regia Cappellà", giacché ritenuta dono di Filippo IV re di Spagna e di Napoli, come peraltro potrebbe desumersi dalla "Consulta scritta dal Vicerè duca d'Ossuna, à 31 dicembre 1619...". Della fama del Santuario si ha testimonianza già nella Cronaca del Leostello del 1489: "Die XV Januarij -In Maratià', da cui risulta che la città venne visitata per due giorni dal duca di Calabria, futuro Alfonso II di Aragona e "molti soi curiali andaro a lo Castello a visitare lo corpo santo di Sancto Blasio et quello iorno fece manna propter mores ...".

Altro documento di rilievo al riguardo è certamente la Bolla di Pio IV del 4 marzo 1562, che, ufficializza il fenomeno della Manna e concede l'indulgenza plenaria a chi visita il Santuario.

E' probabile che l'accresciuta attenzione verso il sacro edificio abbia comportato l'ampliamento dello stesso nel pronao tardorinascimentale, a tre arcate, sorrette da quattro robuste colonne in pietra sul quale si innesta un frontone triangolare, segnato da una trabeazione in marmo, sottostante al timpano, in cui è ricavata, al centro, una nicchia, che accoglie la seicentesca scultura scultura di San Biagio, chiamata, per le modeste dimensioni, "Sambiasello".

In corrispondenza delle arcate si aprono tre porte di accesso, in cui quella centrale è protetta da un robusto cancello in ferro battuto, databili al '400.

L'edificio di architettura paleocristiana, è affiancato da un campanile, che echeggia motivi bizantini.

La Chiesa conta opere di pregio, quali il tabernacolo del 1519, il bassorilievo dell'Annunciazione degli inizi del '600, della Madonna della Sapienza dello stesso periodo, anche se donata nel 1755, sculture, quale quella di Pio XII, lapidi, pietre tombali ed altari barocchi, nonché un pregevole affresco di fine '400, raffigurante, appunto, la Theotokos. Conserva, oltre le Reliquie di San Biagio, le Reliquie di San Macario e quelle di Santa Restituta .

La Chiesa occupa la parte terminale di quella che fu la cittadella fortificata, di cui si conservano in parte le mura, donde il nome di "Castello".

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