Perch noi marateoti amiamo S. Biagio?
Luca Luongo |
Il pensiero di Gian
Carlo Marchesini pubblicato oggi sul sito dellamico Biagio Calderano uno
spunto di riflessione non da poco. Non penso sia tale solo per me, ma, credo,
un po per tutti noi marateoti.
Come tutti gli habitu del
sito di Biasino, ho sempre letto con piacere le pillole prima e i
pensieri poi
di Marchesini. So desser letto da lui: la cosa mi onora moltissimo.
Rifletterci su non semplice, perch non semplice
articolare logicamente i sentimenti.
Di sentimenti, infatti, si parla ed giusto parlare quando
si tratta cose legate alla fede religiosa, la quale, giusto per esser ancor pi
complicata delle altre cose, questione sia intima e privata del singolo, sia
pubblica e manifesta per la comunit di cui, anche grazie ad essa, il singolo
si sente parte.
Posso comprendere senza giudicar male, come spero chiunque
altro, le perplessit di chi di fede religiosa non ha avuto esperienza. Per
fortuna del credente e del non-credente, la fede, oltre che sentimento, anche
un fatto sociale e storico, per cui si pu indagarne gli aspetti con gli
strumenti di quelle scienze.
Ci provo ora, con queste parole, scritte estemporaneamente.
Partiamo dal fatto storico, cio larrivo delle reliquie di
santo armeno in terra lucana. Di storia vera e propria possiamo parlare poco:
non ne sappiamo praticamente niente. Come scrisse il primo storico locale che
se noccup, il DAlitti, lunica cosa certa la
traslazione, riposando il suo corpo in
Maratea, ed essendo il Santo morto in Sebaste, ma
come e quando sia sortita, nՏ incerta listoria. Lo scrisse nel 1728.
Oggi son passati la bellezza di 295 anni, ma siamo sempre a quel punto: non lo
sappiamo.
In questi quasi tre secoli sono circolate (forse) due leggende
a sopperire alla mancanza di una storia: la prima, della cui esistenza ho
ipotizzato in un piccolo studio del 2020, quella dellacquisizione delle
reliquie attraverso mercanti. La cosa era piuttosto comune in epoca medievale:
la sua degenerazione, la simonia, piuttosto nota. La seconda, famosissima,
quella della nave che, col mare in calma, e laria serena, da
incognita remora si conobbe trattenuta, o pure perch turbandosi di repente il
mare, non dava luogo a partirsi (sono ancora parole del DAlitti), sbarca e consegna le reliquie ai marateoti accorsi
dal monte.
La storia, gi cos, – a mio parere – ha un certo
fascino. Caliamoci nel contesto (e quindi sconfiniamo nel sociale). Maratea era
un piccolo, e probabilmente miserabile, paese arroccato sulla cima dun monte
prospiciente il mare. La sua origine era umile, tale da non aver interessato
alcuno storico antico. (Anzi, nel XVIII secolo gli studiosi locali, pur di dare
al proprio paese un posto nella storia antica, si diranno convinti desser stata
Maratea fondata dai Greci allepoca della colonizzazione storica: cosa talmente
difficile da mandar gi anche alla loro epoca che i colleghi di Napoli
proveranno ad associare, comՏ noto, Maratea a Blanda.)
Poi, per, la vita di questo paesello fu scossa dallarrivo
di un gruppo di persone (gli armeni portatori delle reliquie) e del loro santo.
Non solo uniniezione di novit nella vita della comunit, ma un appiglio
identitario grazie a cui costruire unintera cultura comune (che potremmo
definire, con espressione contemporanea, altamente inclusiva).
Proviamo poi ad aggiungere laspetto prettamente religioso.
Le reliquie di un santo, venerato da Oriente a Occidente, arrivarono in una
terra che santi non ne ha avuti. Cosa signific questo per i credenti
dellepoca? Dovette esser come se il Padre Eterno, comprendendo la lacuna che
gli uomini avevano lasciato in quellangolo di mondo, sopperisse di propria
mano, regalando proprio a noi uno dei santi del suo paradiso. Un martire, per
giunta, il cui fascino imperituro nelle epoche.
Luca Mandelli, un agostiniano che descrisse Maratea nella
seconda met del Seicento, scrisse a proposito parole oltremodo esaustive: lhavere
trasportato nella patria il corpo di S. Biase, che in Sebaste
dArmenia havea sofferito
il martirio [render] sempre
Maratea famosa al mondo non che in questo regno.
E grazie a S. Biagio Maratea divenne famosa e ricca. Prima
che al commercio, Maratea dovette la sua fortuna al santo.
Una storia del turismo marateota ancora da scrivere, ma chi
la scriver dovr cominciare con la sua preistoria, ovverosia i pellegrinaggi
che da ogni dove giungevano a Maratea per rendere omaggio alle reliquie del
santo armeno. Nel 1489 tocc nientemeno allerede al trono di Napoli, il futuro
Alfonso II e con il suo entourage. Anche
chi aveva una fede diversa porgeva omaggio al santo. Domenico Damiano, parroco
del santuario dal 1940 al 1969, in tempo di guerra annot sul suo diario come molti ufficiali Anglo-americani si son
recati quass a visitare questo illustre Santuario. Con tutto il rispetto
possibile sia i cattolici e sia i fratelli separati [anglicani e
protestanti, n.d.r.] sono entrati in chiesa, hanno fatto reverenza allAltare Maggiore, son
rimasti pieni di ammirazione dinanzi al Trono del Santo, ed hanno fermata la
loro ammirazione su tutto quanto che antico, di artistico e di altro valore.
inutile dire che essi hanno lasciata la loro generosa offerta al Santo, ed
hanno anche fatto acquisto di vari oggetti di devozione e di cartoline illustrate
per spedire, stesso qui, nelle loro terre lontane.
Su un piano pi materiale, il possesso delle reliquie di S.
Biagio fu anche la prima ricchezza economica del paese. Avere un santuario
garantiva a una comunit la possibilit, come detto, di ricevere pellegrinaggi,
e quindi lindotto che ne derivava. Un indotto imponente, tanto che nel 1562
papa Pio IV concesse lindulgenza
plenaria a coloro che si recavano a Maratea nella festa di maggio. Festa di
maggio che sembrerebbe nel 1428 avesse gi ricevuto, dalla regina Giovanna II
dAngi, il mercato franco, ossia la fiera.
Ricchezza spirituale e materiale si fusero, in unottica
quasi weberiana, con la prima che generava la seconda grazie a nuove idee ed
iniziative: la festa di maggio allungata nel 1695, il teatro comunale (dedicato
al santo e aperto forse nel 1696) e nuove opere darte, prima tra tutte la
statua cesellata in argento tra il 1699 e il 1706.
Insomma: anche e soprattutto grazie a S. Biagio la nostra
una comunit significativa e ricca.
In particolare, la statua poi ebbe – ed ha tuttora
– un ruolo fondamentale. A partire dallet barocca (e qui torniamo in
ambito storico) una statua era quel che ci voleva per una nuova e pi potente
empatia con la figura del santo, che prima dogni altra cosa era un uomo, una
persona, proprio come i suoi fedeli.
Il rapporto dei marateoti con la statua di S. Biagio dun
affetto disarmante, genuino e puro, quasi come quello proprio dei bambini.
Gennaro Buraglia, parroco del santuario dal 1855 al
1921, le parlava. Le raccomandava di farsi
leggera quando andava gi per i festeggiamenti e la sgridava quando faceva tardi tornado al Castello. Tutti
noi, ancora oggi, abbiamo labitudine di salutare
il santo quando, durante lanno, saliamo al santuario, o torniamo a casa,
nelle serate della festa.
La statua anche un reliquiario, per cui la dicotomia tra raffigurazione
e reliquia sapientemente elusa. Nella spilla della statua cՏ un piccolo
frammento della gola del santo. lunico pezzo della statua vecchia (quella
trafugata nel 1976) sopravvissuto nella nuova: i ladri la lasciarono
sullaltare.
Proprio grazie alla presenza di quella spilla, la stessa che
da 328 anni venerata con la statua, io fedele di Maratea mi sento legato
fisicamente e non solo idealmente a chi mi ha preceduto e a chi mi succeder.
Quando i miei trisavoli non erano ancora nati, i marateoti del
passato si ritrovavano ai Muriceddi prima e
a Capo Casale poi per aspettare il santo che scendeva tra loro. Quando io sar
cenere nella terra, i marateoti del futuro faranno lo stesso. un sentimento
fortissimo quel che si prova in quel momento, sempre uguale nei suoi tratti
essenziali di secolo in secoli: essendoci si elude il tempo e la morte, e si
per un istante immortali in un frammento di eternit.
E quel momento altro non che una
grande teatralizzazione di una storia: un santo che viene da lontano, con altri
fedeli, che grazie a lui non sono stranieri ma fratelli, che si uniscono a
loro.
questo, probabilmente, laspetto pi genuino per il quale
noi marateoti amiamo tanto S. Biagio: quella tra noi e lui una bellissima
storia. E di bellissime storie hanno bisogno le nostre vite terrene, le quali
altro non sono che
un racconto
narrato da unidiota;
piena di
strepito, di furore
e senza
alcun significato.
Mi si perdoni la citazione del Bardo, ma quando si deve dire
qualcosa dimportante lo si deve far collarte, che
crea le storie che danno senso al mondo.
A rileggere quanto ho scritto non so se sono riuscito a fornire
quel che si cercava; anzi, non sono neppure certo di aver scritto tutto quel
che avrei potuto.
Spero che nulla di quel che ho scritto venga colto come un
richiamo, anzi: come – sono sicuro - a Marchesini chiedo di esprimere
sempre, con leleganza e la cultura che glՏ propria, il suo parere, in
particolare quando, per cos dire, va controcorrente. Perch questo il compito
genuino dun intellettuale: mettere sempre in discussione e far riflettere
sulle basi su cui poggia la societ in cui vive (o a cui si sente legato), cos
da renderla pi matura e consapevole.