Una breve storia di Maratea Castello.
Luca Luongo |
Gi da qualche settimana, i turisti dĠogni parte dĠItalia
e dĠOltralpe gironzolano per la nostra Citt. Soprattutto da coloro che sono
giunti a Maratea per la prima volta, una domanda che spesso si sente fare :
cosa sono quei ruderi tra il Cristo e il santuario?
Ecco lĠoccasione per illustrare brevemente la
storia di quella che fu la prima Maratea.
Il nome.
Il nome del luogo non dovuto alla presenza di un
vero e proprio castello, ma al fatto che lĠantica cittadina era cinta di mura,
aperte da sole due porte.
Castello non era per un soprannome, ma un nome vero e proprio, atto a
distinguere questa Maratea dalla nuova, a valle, detta popolarmente Borgo. Nel linguaggio curiale, invece,
erano in suo i nomi di Maratea superiore
e Maratea inferiore, o Maratea di sopra e Maratea di sotto, a seconda dellĠepoca.
Da circa 17 anni il
cartello che indica il toponimo sulla cima del monte San Biagio reca la scritta
Borgo Castello. Si tratta di un
errore e di unĠindicazione fuorviante, perch nella toponomastica storica di
Maratea il nome Borgo ha indicato,
come detto, lĠaltro nucleo del paese.
Non saprei dire come sia nato questo errore. é
possibile che si sia voluto aggiungere il termine Borgo per richiamare lĠimmaginario turistico dei luoghi
medievali e il loro fascino.
Anni fa scrissi un articolo sperando che si potesse cambiare il cartello odonomastico. Continuo a sperare.
In principio era il buio.
Non conosciamo con certezza n lĠepoca n le
ragioni della fondazione di Maratea Castello.
Confessare di non sapere stata ritenuta una virt
da molti dei saggi vissuti negli ultimi duemila anni. Tuttavia, non stata
cosa molto in voga tra gli scrittori delle storie dei piccoli paesi dĠItalia.
Questi hanno pi spesso preferito sbizzarrirsi nelle pi disparate teorie per
riempire i vuoti delle documentazioni.
Quelle riguardo Maratea Castello appartengono alla categoria pi comune alla storiografia meridionale, e si pu riassumere con la frase: Çse non sai chi lĠha fatto, scrivi che lĠhanno fatto i GreciÈ.
Dalla costa al monte.
In realt, le ricerche archeologiche hanno appurato
che il territorio di Maratea non fu direttamente coinvolto nella
colonizzazione. Sulla costa si insedi il popolo a cui gli storici antichi
diedero il nome di Enotri, che commerciavano con i
Greci, subendone fascino e influenza culturale.
Agli Enotri succedettero
i Lucani, anchĠessi abitanti principalmente sulla costa, e i Romani, che resero
la costiera marateota un luogo di produzione e smercio di prodotti ittici. Il
pi famoso di questi, il garum,
veniva prodotto anche sullĠisoletta di Santo Janni.
Non sappiamo che ruolo avesse la cima del monte
nellĠantichit, perch qui finora non sono state condotte ricerche
archeologiche. Durante il restauro delle mura di cinta superstiti, furono
ritrovate un paio di monete romane dĠet repubblicana. Si tratta per di
reperti troppo effimeri per considerarle tracce di un abitato. Ancora da
chiarire la possibile verit circa lĠesistenza di un tempio di Minerva, di cui
ho parlato in un altro articolo. Insomma, al momento agli studiosi sfugge che
tipo dĠinsediamento potesse esistere quass in quel periodo.
Successivamente, la crisi dellĠImpero di Roma, le invasioni barbariche e il mutamento dei quadri economici del Mediterraneo portarono al progressivo abbandono delle coste e alla migrazione delle popolazioni verso lĠentroterra. Vaste aree restarono disabitate, o almeno non continuativamente insediate, anche per interi secoli.
I primi segni di vita.
Per questa fase, i dati sono pochissimi. Sulla
costa di Maratea, lĠunica testimonianza lasciata fu una chiesetta con cinque
sepolture, del VI o VII secolo, posta ancora sullĠisoletta di Santo Janni.
La cima del monte si anim solo nel IX o X secolo.
Ad allora risale un affresco, dipinto in una grotta posta poco sotto la vetta,
detta Grotta dellĠAngelo.
In quel periodo, i Bizantini al comando del generale Niceforo Foca (830 ca.-896 ca.) riconquistarono la Calabria e gran parte della Lucania, precedentemente prese dai Longobardi proprio a danno dei costantinopolitani. Per ripopolare e riassoggettare le terre riconquistate, gli imperatori bizantini incentivarono lĠinsediamento di schiavi affrancati e coloni di altre province, oltrech lĠimmigrazione di eremiti ed asceti da Calabria e Sicilia, questĠultima conquistata poco prima dai Saraceni.
La prima volta nella Storia
scritta.
Quella che potrebbe essere la pi antica traccia
del nome di Maratea nella Storia contenuta proprio nellĠagiografia di uno di
questi eremiti: S. Elia lo Speleota (880-960).
Di questa agiografia
esistono due versioni, una in greco e una in latino. In entrambe si racconta di
come un certo Giorgio, monaco o eremita, fu guarito dal mal di denti con lĠutilizzo
di un coltello appartenuto a S. Elia.
Nella versione greca lĠimprovvisato odontoiatra fu
un certo Carpo e il fatto collocato Çέν τοις κρημνοίς τού ΜαραθώνοςÈ. In quella latina al posto di Carpo cĠ
Luca di Armento (918-993) e si specificava che ÇGeorgius nomine quidam erat monachus
in civitate, que Malachia vocaturÈ.
é
facile immaginare che il luogo il cui nome suonava Μαραθώνος (leggi: ÇMarathnosÈ) alle orecchie dĠun parlante greco e ÇMalachiaÈ a un parlante latino
fosse proprio Maratea. Tuttavia non cĠ certezza, perch molti toponimi della
Calabria hanno una radice simile al nostro.
Pi famosa la menzione nella Bolla di Alfano I, arcivescovo di Salerno, con cui fu ricostituita la diocesi di Policastro, nel 1079.
Dal feudo di Maratea al Regio
Demanio.
Tutti gli scrittori locali hanno vantato
il fatto che Maratea sarebbe stata preservata da questo trattamento e
non assegnata mai ad alcun feudatario. Ci, per, non vero. Sotto i primi
sovrani normanni anche Maratea fu infeudata: il nome di Guglielmo di Maratea,
che nel 1144 firm una sentenza in favore del monastero di Carbone, per lĠunico
dei feudatari sopravvissuto sino a noi.
Poi, in un momento che le nostre conoscenze non
permettono di precisare, Maratea fu incamerata nel Regio Demanio, cio nel
patrimonio amministrato direttamente dalla Corona.
Probabilmente fu perch ci rese conto che Maratea
Castello era una fortezza dalla grande valenza strategica. Almeno cos la
consider Federico II di Svevia, che succedette ai Normanni tra il 1198 e il
1250.
ÇCastrum Maratie reparari debetÈ – si legge in un documento della sua epoca – Çper homines Maractie, Bianelli, Rotunde Vallis Layni, Castellucci, Lorie, Ayete, Turture, Castricucti, Pappasideri et AveneÈ. Scomodare gli abitanti di tutti i paesi vicini, in Basilicata, Calabria e Campania, per la manutenzione del Castello di Maratea, una prova oltremodo indicativa della sua importanza.
Un castello nel cielo.
ÇQuando era
circondata di Muraglie, e TorrioniÈ – scrisse Carmine Iannini
(1774-1835), lĠultimo parroco del santuario a vederli in piedi – Çfaceva una bella,
luminosa, magnifica comparsaÈ. Non fatichiamo a credergli. Proviamo a
immaginarla: una citt murata sulla cima di un monte che, soprattutto dal mare,
pareva appesa al cielo.
Tra il 1284 e il 1290 fu attaccata e assediata a
pi riprese: erano gli anni della Guerra del Vespro, combattuta tra gli
Angioini, succeduti agli Svevi al trono di Napoli, e gli Aragonesi, stabilitisi
in Sicilia. Su queste vicende mi riservo di scrivere pi dettagliatamente in
futuro.
Nel 1344 la regina Giovanna I dĠAngi ordin di mantenere in buono stato le mura di Maratea, considerandola tra le prime linee di difesa contro gli attacchi mossi dalla Sicilia.
Mura, porte e bastioni.
In realt, non cĠera molto da faticare. Le mura
difensive erano state costruite solo nei punti in cui la conformazione del
monte non era abbastanza ripida.
Il tratto pi lungo, che anche quello sopravvissuto
sino ad oggi, si trova sul lato nord. Le mura sono
alte otto metri circa e proteggevano dagli attacchi mossi dal sentiero che, nel
bosco, scende direttamente verso lĠattuale centro storico.
Nel 2020 si avvi un progetto per rendere
visitabile questo manufatto: ne accennai in un altro articolo. Ma gli eventi
legati alla pandemia della Malattia da Coronavirus-19 bloccarono tutto.
Su questo lato si apriva Porta dei Carpini o Porta
di Suso (cio Porta di Sopra), che probabilmente si trovava
rivolta verso ovest in un punto prossimo a dove ora esiste il viale che porta
alla statua del Redentore.
LĠaltra porta, la principale, si chiamava Porta
Santa Maria o Porta di Basso. Il primo nome deriva dalla vicinanza di una
chiesa, il secondo dal fatto che era il manufatto pi in basso di tutta la
cittadina. Si trovava nei pressi di Palazzo Lebotti,
edificio utilizzato fino a qualche decennio fa come casa canonica.
Questa porta si apriva sul tratto di mura pi
corto, che non esiste pi. Chiudeva il lato che dal burrone al di sotto delle
abitazioni, detto Armu Ôi S. Filocu,
sale verso lo sperone roccioso dove ora si trova il parcheggio retrostante al
santuario.
Sono sopravvissuti due bastioni. Uno quello del
lato nord, al cui spigolo cĠ una torretta merlata. LĠaltro, poco visibile a
causa della vegetazione e dellĠabbandono, un terrazzamento sul bordo dellĠArmu Ôi S. Filocu.
Quindi, la conformazione del monte e poche opere di fortificazione rendevano la cittadina praticamente inespugnabile.
Bella, ma non ci vivrei.
DĠaltro canto, per, la sua posizione non giovava affatto alla qualit della vita. La cima del
monte stretta e oblunga, protesa sul mare, per cui frequente bersaglio dei
fulmini e i venti, a volte, soffiano a centinaia di kilometri orari.
Lo spazio limitato e fa freddo per la maggior
parte dellĠanno, per cui buona parte delle case aveva
dimensioni ridotte, cos da economizzare volume e dispersione del calore.
Secondo Giovan Battista Pacichelli
(1641-1695), che visit Maratea Castello alla fine del XVII secolo, molte
avevano una sola stanza. Ogni abitazione aveva cisterna e canaline per
immagazzinare lĠacqua piovana, perch quass non ci sono sorgenti.
Insomma, Maratea Castello era senza dubbio bellissima a vedersi, ma probabilmente non ci avremmo voluto vivere.
La fortuna del Borgo, il declino
del Castello.
Per piccola che fosse, anche Maratea Castello aveva
una sua suddivisione in zone o quartieri. Dal catasto napoleonico, conservato
allĠarchivio di Stato di Potenza, sappiamo si chiamassero Porta di Basso, Porta
di Basso sotto via, Pianetto, S. Anario, S. Nicola, SS. Quaranta, Avanti la
Chiesa, S. Maria, Cudetta e S. Angelo. Oggi siamo
solo in parte in grado di localizzare questi nomi in ci che resta del contesto
urbano.
La tradizione storiografica paesana ha attribuito
alle dure condizioni di vita della cima del monte,
oltre che allĠeseguit di spazio, la nascita
della nuova Maratea, il cosiddetto Borgo, cio lĠattuale centro
storico.
NellĠet moderna il nuovo centro crebbe
esponenzialmente.
Non ci ancora nota con
precisione la serie di eventi che portarono Maratea a diventare un importante
centro di commercio marittimo. Sta di fatto che, alla fine del XV secolo, la
costiera marateota divenne il luogo da cui si esportavano le materie prime dellĠentroterra
lucano (per lo pi legname, carni e prodotti caseari) e si importavano i
prodotti lavorati a Napoli, principale, quando non unico, centro di produzione
nel Regno.
Va da s che questo nuovo assetto economico ridimension molto lĠimportanza del Castello. La cittadina sulla cima del monte conserv una certa valenza militare ancora nel XV e XVI secolo, ma la sua posizione frustrava ogni possibilit di beneficiare del nuovo modello economico.
CĠ chi sale e cĠ chi scende.
I rapporti di forza tra la vecchia e la nuova
Maratea si rovesciarono ampiamente a favore della seconda. Nel 1532, il primo
anno per cui disponiamo di un conteggio distinto tra le due Maratea, il Borgo
aveva 297 fuochi (tra i 1.190 e i 1.780 abitanti) e il Castello solo 61 (tra i
250 e i 370 abitanti). Nel 1561, il Borgo arriv a 487 fuochi (tra i 1.950 e i
2.920 abitanti) e il Castello a 77 (tra i 310 e i 460 abitanti). La disparit
nella crescita evidente.
Non si tratt solo di sviluppo demografico. Tra le
due Maratea si cre anche una marcata distanza sociale.
ÇPerch la Gente Civile, e letterataÈ – scrisse nel XIX secolo Iannini – Çparte si stabil in Maratea inferiore, parte in Napoli, e parte altrove; [É] rimase poi in Maratea superiore, la sola Gente bassa, la quale venne ad essere priva di educazioneÈ. LĠingenuit classista del vecchio parroco semplifica quello che senzĠaltro fu un problema reale. Immaginiamo facilmente che la parte pi ricca della comunit, una volta confluita per la maggior parte nel Borgo, non potesse sopportare di sottostare allĠamministrazione del Castello, dove viveva la parte pi povera.
Due sindaci, due pesi e due
misure.
Fu per questo che negli anni Ô30 o Ô40 del XVI secolo si formarono due distinte
Universit (cos si chiamavano le amministrazioni comunali), ognuna con il suo
sindaco (una nuova carica simile a quella moderna) e funzionari, il suo
bilancio e i suoi rappresentati alla Corona di Napoli e potere assoluto nei
confini dei nuclei urbani di rispettiva competenza.
Il resto del territorio, detto territorio
promiscuo, e i beni patrimoniali restarono in comune, amministrati con il
criterio di assegnare al Castello la sesta parte di ogni entrata e uscita e al
Borgo i cinque sesti.
Questa divisione era prettamente amministrativa: gli
abitanti dellĠuna e dellĠaltra Maratea si percepivano come membri di una sola
comunit. ÇSi fa certa, et indubitata
fedeÈ – giurava, lĠ8 gennaio 1670, Giuseppe Iaselli, sindaco di
Maratea superiore – [che] questa
predetta Universit, con lĠUniversit inferiore fanno una Maratea, ed uno
territorioÈ.
Ciononostante, proprio lĠaspetto economico di questo sistema amministrativo innesc lo spopolamento di Maratea Castello.
Uno spopolamento... fiscale.
A raccontarci i fatti fu ancora il parroco Iannini.
ÇLe due Universit, come si detto, erano in territorio promiscuoÈ – inizi a dire in una riunione del clero del 13 febbraio 1817. – ÇQuesta promiscuit le fuĠ a Maratea superiore di molto detrimento, e pi cause vi concorsero per rovinarla. SĠincominci adĠavere per essa Maratea superiore un tedio. La Famiglia Ventapane, si stabil in Napoli: quella di Armenio, di Lebotti, di Alasci, di Leo, di FiorilloÈ – cio quelle aristocratiche – Çsi estinsero, andarono altrove, caddero in bassa Fortuna. Ci restarono soltanto i poveri, e destinati alla Zappa per vivere. Si avvalsero allĠoccasione quelli di Maratea inferiore, e delle rendite universali, provenienti dalla Foresta del Carroso, ed altri corpiÈ – cio i principali beni patrimoniali comuni – Çe se ne approfittarono intieramente. Reclam sempre Maratea superiore essere il territorio promiscuo, ma in vano; ed ecco che negli ultimi tempi, non avendo come sodisfare li pesi, vivevano a Gabbella, ed a Catasto; e Maratea inferiore vivendo solo a Gabbella colle altre rendite, non solo aveva in pieno, ma anche un non mediocre sopravanzoÈ.
Il corpo principale di Palazzo Ventapane
QuestĠultimo fu il punto fondamentale della
questione. In parole povere, Maratea inferiore, o Borgo, si manteneva interamente
su imposte indirette basate sui consumi (le ÇGabbelleÈ),
facilmente scaricabili sui proventi del commercio. Invece, Maratea superiore,
ossia il Castello, era costretta a imporre anche unĠimposta diretta, che
colpiva il patrimonio immobiliare e fondiario (il ÇCatastoÈ).
ÇLi naturali di Maratea superioreÈ – concluse il parroco – Çper non pagare la Quota si scoprirono le Case in Citt, si fabbricarono deĠ Tuguri in Campagna, e mandarono a battezzare li Figli in Maratea inferioreÈ.
La distruzione delle antiche case.
Quando Iannini diceva Çsi scoprirono le CaseÈ non utilizzava un
arcaico modo di dire che ora non riusciamo a comprendere. Stava parlando
letteralmente.
Il modo per rendersi esente dal pagamento della
tassa immobiliare era rendere la propria abitazione inabitabile. E la maniera
pi veloce per farlo era scoperchiarle, facendo crollare le assi del tetto. Le
case di Maratea Castello non sono state tutte ridotte a rudere dalla corruzione
del tempo: sono state consapevolmente demolite da coloro che per ultimi le
abitarono.
Insomma, lĠantica Maratea resistette per secoli a guerre e carestie, terremoti e assalti, ma alla fine fu sconfitta dalle tasse.
E poi, lĠassedio.
Poi, a dare un altro forte impulso allo
spopolamento, ci fu lĠultimo grande assedio. Nel dicembre del 1806 Maratea
Castello fu scelta dalle forze borboniche per opporre una resistenza disperata
allĠinvasione napoleonica del Regno di Napoli. Al comando di Alessandro
Mandarini (1762-1820), un commerciante marateota che si improvvis
guerrigliero, 600 irregolari resistettero per sei giorni e sei notti allĠattacco
di 4.500 soldati francesi.
Mandarini ottenne il massimo risultato
realisticamente possibile: unĠonorevole capitolazione e la salvaguardia
della vita e delle propriet di tutti.
Ad avere la peggio furono le fortificazioni del
Castello. Per evitare che altri potessero sfruttarle, il generale francese,
Jean Maximilien Lamarque
(1770-1832), ne ordin la demolizione. In realt, come detto in precedenza,
furono demolite solo le porte e il tratto di mura sul lato sud.
Negli anni successivi allĠassedio, al Castello resistevano ancora circa 130 abitanti. Lo stillicidio and avanti per un secolo e mezzo circa, finch, nel 1969, mor lĠultimo abitante dellĠantica Maratea: il parroco Domenico Damiano (nato nel 1891).
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Le notizie edite e inedite di questo
articolo sono tratte dagli archivi parrocchiale e comunale di Maratea, oltrech
da molti anni di ricerche nelle biblioteche dĠItalia e, in particolare, dai
libri Pietre nel Cielo e LĠantica "terra" di Maratea nel
secolo XVIII del prof. Jos M. Cernicchiaro. LĠelaborazione di questo
articolo in larga parte il sunto di quel che sar il primo capitolo di un mio
lavoro sul santuario di S. Biagio, che a Dio piacendo sar pubblicato nel 2024.
Gli appuntamenti del mercoled con
i miei articoli, iniziati a gennaio, finiscono oggi. Per ora. Ringrazio tutti coloro che mi hanno seguito e letto!
Nei prossimi mesi estivi ci sar, forse, qualche sporadica uscita, per poi riprendere, con nuovi articoli e un nuovo progetto su internet, in autunno. A presto!