Il Carnevale nella storia di Maratea e i suoi significati sociali

Pensare che il Carnevale sia un fatto nuovo nella storia della nostra Comunitˆ  un errore. Gli eventi che si chiudono oggi, a termine della quindicesima edizione del moderno Carnevale di Maratea, ne sono solo la manifestazione pi recente.

 

La morte di Carnevale.

La parola Carnevale deriva dallĠespressione latina carnem levare, in riferimento alla Quaresima, che comincia dal successivo Mercoled“ delle Ceneri.

Al di lˆ dei parallelismi con le festivitˆ antiche, Romane o pre–cristiane di diversa natura, il corpo di tradizioni che  giunto sino a noi ha senzĠaltro origini moderne. LĠessenza di Carnevale era il sovvertimento di una quotidianitˆ di miseria e fame, attuato con il mascheramento e il banchetto, proprio alla vigilia del periodo di penitenza della Quaresima.

La morte del personaggio di Carnevale era, in questo senso, la rappresentazione visiva della fine del momento fuori dalla norma e lĠinizio della contrizione quaresimale.

Successivamente, il personaggio eponimo  pressochŽ scomparso – cos“ come la rappresentazione della sua morte – lasciando spazio alle maschere regionali tradizionali. La Basilicata difetta di una propria maschera genuina: solo in alcuni paesi persistono rappresentazioni antropomorfe di figure ancestrali e bestiali, come la personificazione della Quaresima o il Toro e la Mucca (a Tricarico).

Dalla metˆ del XX secolo alle maschere si sono affiancati i carri allegorici, la cui sfilata rappresenta, oggi, il momento principale della festa, in linea con una tendenza alla spettacolarizzazione propria di quasi tutti gli eventi contemporanei.

 

Le maschere ottocentesche.

Il Carnevale marateota nel XIX secolo era vissuto principalmente in due modi: il mascheramento e gli spettacoli nel teatro comunale.

Le maschere erano molto diffuse, tanto che, nel 1847, il Regolamento di Polizia cittadino ne dovette regolare lĠuso. Si stabil“ che si potesse girare mascherati per il paese Çdal giorno diciassette gennajo [sic] insino alla vigilia del sacro d“ delle Ceneri, per tuttĠi giorni, esclusi i soli venerd“, e dalle ore 19 fino alle 23 e mezza, eccetto il mattino, e la notte. Sarˆ vietato alla maschera, tutta o parte, ed anche ad una sola di esse, di passare ad ora di vespro innanzi la chiesa, o dĠavanti le cappelle, dove vi sia riunione di gente per le pratiche religiose, o girare intorno ad esse, dovendo in tal caso prendere altra direzione.  Inoltre uscendo qualche processione religiosa, allĠannunzio, che se ne pubblicherˆ, o per mezzo delle campane, o da altre genti, la maschera dovrˆ subito nascondersi, e non comparirˆ in pubblico, se prima detta processione non sarˆ rientrata in chiesaÈ. Poi, tutti coloro che volevano mascherarsi dovevano darne comunicazione al sindaco o al primo eletto. Restavano comunque proibite Çle maschere dei pazzi, indecenti, e clamorose, e lĠuso di quelle che presentassero figure disaggradevoli, e mostruoseÈ.

 

Il memorabile Carnevale del 1849.

Il Carnevale era anche uno dei momenti dellĠanno in cui si attivava pi vivacemente il teatro comunale. Posto nei pressi dellĠattuale Piazza Europa, il teatro venne costruito sul finire del XVII secolo e dedicato, in principio, per lo pi a rappresentazioni religiose. Dopo il decennio francese (1806–1815) vennero sdoganate anche le rappresentazioni profane.

AllĠinterno del teatro comunale e durante il Carnevale avvenne uno dei fatti pi memorabili del biennio rivoluzionario 1848/1849. Dopo lĠassassinio del deputato Costabile Carducci (1804–1848) avvenuto sulla spiaggia di Acquafredda, un poeta estemporaneo, tal Carlo Gallotti, venne a stabilirsi a Maratea.

LĠanno dopo, ÇlĠultima sera di CarnevaleÈ si legge in una deposizione di uno dei molti processi politici tenuti dalla Corte criminale di Potenza, la popolazione Çsi rec˜ al teatro di Maratea per gustare unĠaccademia, che si disse davasi da don Carlo Gallotti. Dopo lĠintervento di mezzo paese tra uomini e donne, col biglietto a paga di un carlino per ciascun individuo, il Gallotti sal“ sulle scene con una tale donna Agnesina sua compagnia nellĠimprovvisare, ed al suono dellĠarpa e della chitarra francese da essi loro toccate contarono su vari argomenti prescelti daĠ tanti dati da galantuomini [...]. Verso lĠultimo poi le cennate persone spontaneamente dissero che volevano cantare sulla morte di Carducci, come fecero senza inviti o premura di altri. In seguito di pochi giorni sĠintese cantare la stessa canzone in ogni angolo del paese [...] fino a luglio ultimoÈ.

Chiunque cantava questa canzoncina veniva denunciato alla polizia politica del regno borbonico. A Maratea ci furono decine e decine di denunce, una delle quali commutata a un bimbo di 4 anni, sospettato di cospirazione allo scopo di rovesciare il governo di Sua Maestˆ soltanto perchŽ batteva le mani al ritmo della canzone...!

 

Il Carnevale fascista senza maschere.

Sotto il Fascismo, il Carnevale di Maratea non doveva essere particolarmente colorato. Una ordinanza del podestˆ di Maratea del 9 febbraio 1929 ordinava che Çin occasione del Carnevale  vietato assolutamente lĠuso della maschera. Il contravventore pu˜ essere arrestato ed  punito con lĠammenda da lire 100 a 1000È.

 

Carnevale ricettore di cultura pop.

La manifestazione contemporanea del Carnevale  un momento molto interessante per qualche riflessione sociologica e sulla ricezione di elementi della cultura pop da parte della nostra comunitˆ e di quelle vicine.

A un primo sguardo, il Carnevale sembrerebbe aver perso il suo carattere allegorico e di rovesciamento dei ruoli sociali, per cui il mascheramento avverrebbe senza una logica simbolica di qualche tipo. La scomparsa, o quantomeno il ridimensionamento delle maschere tradizionali nellĠeconomia del patrimonio simbolico, inoltre, costituirebbe lĠevidenza dello snaturamento dei caratteri veri e autentici della festa.

é chiara lĠingenuitˆ di tali considerazioni. Primo, tutte le manifestazioni della ritualitˆ umana, quali sono le feste, non hanno mai dei caratteri definiti una volta per tutte in un determinato momento storico e quindi immutabili, per cui una loro variazione comporta uno snaturamento o, addirittura, una perdita di senso. LĠevoluzione e il cambiamento sono, anche in questo ambito, processi ineludibili. Secondo, le caratteristiche di base del Carnevale sono, tuttĠoggi, vive e presenti, ma esiste una oggettiva difficoltˆ nellĠindividuarle a causa della evoluzione della societˆ contemporanea e alla riformulazione dellĠimmaginario culturale di riferimento.

Se per i nostri antenati Pulcinella, Arlecchino, lo stesso Carnevale e le altre maschere tradizionali erano simboli immediatamente comprensibili e rapportabili a determinati caratteri, individuabili anche per negativo (cio dal loro opposto), ora quelle caratteristiche non rispondono con la stessa immediatezza agli stimoli e ai problemi della societˆ contemporanea.

Se in passato erano la fame e la miseria i pilastri della quotidianitˆ da esorcizzare, oggi, specie nei nostri piccoli paesi, sono il conformismo e la povertˆ del patrimonio culturale–simbolico da cui attingere per la formazione dellĠidentitˆ individuale a caratterizzare la societˆ che si vuol vedere, nei giorni di Carnevale, rovesciata o almeno alterata.

Ecco allora che le ragazze e i ragazzi delle nostre piccole comunitˆ, cresciuti ed educati secondo i comandamenti dellĠetica e dellĠestetica piccolo–borghese, adottati acriticamente da pressochŽ tutta la societˆ italiana – e che negli ultimi quattro o cinque decenni, nel Mezzogiorno, si sono mischiati a ci˜ che restava della ormai stereotipata e cosiddetta Òcultura contadinaÓ, dando vita a caratteristiche proprie e, talvolta, molto originali – per qualche ora svestono quelle rigide vesti per indossare la maschera del personaggio che, il pi delle volte, meglio incarna il/gli elemento/i caratteriali propri repressi da quei comandamenti.

LĠimmaginario di riferimento, come detto, non  pi quello della Commedia dellĠarte italiana. Il cinema fornisce il principale serbatoio, in linea con ci˜ che avviene in tutto il panorama culturale occidentale, e, nel nostro caso dĠinteresse, principalmente con le produzioni degli anni Ô80 e Ô90 del secolo scorso.

Il gigantesco Batman, sfilato nel Carnevale marateota del 2017, non si richiamava al personaggio del fumetto creato da Bob Kane (1915–1998) nel 1939, quanto, piuttosto, alla trasposizione cinematografica di Tim Burton del 1989 e Ô92 (con qualche cessione alla versione cartoon della serie degli stessi anni, peraltro derivata da quei film).

Stesso discorso per i personaggi letterari pi o meno celebri. Ad esempio, Zorro, sfilato al Carnevale del 2019. Personaggio letterario di scarsissima fama in Europa, creato nel 1919 da Johnson McCulley (1883–1958), in Italia divenne noto grazie a una serie tv del 1957 e poi, pi recentemente, a due film diretti da Martin Campbell (1998 e 2005).

Anche il prodotto televisivo ha il suo peso. LĠArsenio Lupin sfilato nel Carnevale del 2015 non  il personaggio uscito dalla penna di Leblanc, bens“ il suo nipote giapponese, creato dal mangaka Monkey Punch (Kazuhiko Katō, 1937–2019) nel 1967 ed arrivato in Italia in versione cartone animato a inizio anni Ô80.

Se Lupin III  un caso di persistenza pluridecennale nellĠimmaginario nostrano, il prodotto televisivo pare impiegare pi tempo a farsi strada, probabilmente a causa di unĠattribuzione di minor prestigio rispetto al prodotto cinematografico, che viene accolto pi immediatamente. Eccezione alla regola, negli ultimi anni,  stato unicamente – a mia memoria – il caso de La casa di carta, serie tv spagnola del 2017 diffusa in tutto il mondo grazie alla piattaforma Netflix, apparsa con un carro nel Carnevale dello scorso 2019.

 

E noi dove siamo?

Quando il giovane Umberto Eco (1932–2016) dedic˜ un saggio ai personaggi dei fumetti pi diffusi della sua epoca, i suoi colleghi lo derisero apertamente. La resistenza del mondo intellettuale italiano allo studio dei simboli e dellĠestetica della cultura pop  ben nota e, ancora oggi, molto diffusa. Valga da esempio, oltremodo pertinente, la sufficienza ricevuta e la scarsa considerazione goduta dalle studentesse e dagli studenti delle scienze della comunicazione – probabilmente lĠambito pi importante di applicazione delle scienze sociali nel nostro secolo – in ambito universitario (e non solo) lungo la nostra Penisola.

Il rifiuto di affrontare la materia  ancora pi evidente nei luoghi (ideali o fisici) della cultura nei nostri paesi di provincia. Il risultato non  soltanto la difficoltˆ, evidentissima, di leggere i simboli della cultura pop che vengono irradiati senza sosta dai media – un fatto, di per sŽ, giˆ importante – ma anche la ancor pi evidente incapacitˆ di mettere in circolo in quella cultura dei simboli propri, pi vicini alla nostra quotidianitˆ e alla nostra identitˆ sociale.

Se, secoli fa, i contadini medievali ricevevano una propria e specifica rappresentazione nei grandi cicli di mosaici e affreschi delle cattedrali gotiche di tutta Europa, oggi, intere fette di societˆ sono confinate in un ruolo esclusivamente passivo di fronte alle grandi narrazioni mediatiche: ricevono soltanto e ricevono acriticamente.

Anche per ci˜ che  pi squisitamente e storicamente italico siamo costretti ad affidarci alle rappresentazioni forniteci dellĠindustria culturale dĠoltreoceano: Il gladiatore rappresentato nel carro allegorico sfilato nel Carnevale di Maratea del 2011 era, ovviamente, modellato a figura di quello del film di Ridley Scott di dieci anni prima.

DovĠ la vita dei nostri paesi in tv? Dove sono i problemi dei nostri giovani al cinema? Quale eroe dei fumetti estremizza eroicamente i nostri ideali?

LĠindustria culturale italiana  notoriamente povera di mezzi e, ancor pi, di idee, schiacciata in un eterno provincialismo dalla concorrenza straniera. Anche in questo caso, valga un solo e pertinente esempio: la rappresentazione eternamente stereotipata del Mezzogiorno e dei meridionali al cinema e in tv...

Per rovesciare lĠattuale situazione, il contributo, da parte nostra, non pu˜ che partire da una pi attenta e certosina indagine sul nostro piccolo mondo – della sua storia e dei suoi motivi strutturali odierni – che non ceda a facili semplificazioni. Cos“ come lo studio della storia  inutile e persino nocivo se visto come la riscoperta di presunti ideali identitari e congeniti da riaffermare astoricamente nel presente (ed , ahim, un malinteso piuttosto diffuso), sarˆ importante, nellĠimmediato futuro, concedere pi fiducia alle scienze sociali e al grande patrimonio teorico che hanno da offrire.

 

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