Il 190esimo di Carlo da Celle

Riprendo una storia gi pubblicata su questo sito qualche anno fa, in occasione del suo 190esimo anniversario.

Il 12 agosto 1828 fu un giorno triste per Maratea, che dovette assistere alla morte di un giovane innocente.

Quando si va verso la bellissima chiesa di SantAntonio ai Cappuccini, al lato dellingresso si nota una lapide, posta quarantanni fa, con scritto: Per la libert / di queste popolazioni / padre Carlo da Celle / Cappuccino ventinovenne / in questo luogo veniva sacrificato / dalla tirannide borbonica / il 12 agosto 1828 / nel 150 anniversario / lAmministrazione comunale pose.

Ma chi era fra Carlo e cosa aveva fatto da meritare quella fine?

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Nel 1828, gli echi dalla precedente rivolta del 1820 avevano rinsanguato gli animi rivoluzionari nel Cilento. Un moto rivoluzionario, nel giugno, si lev per chiedere al re Francesco I delle Due Sicilie la Costituzione, il Parlamento e maggiori libert personali nella vita pubblica.

Eminente personalit in questo movimento cera il canonico Antonio Maria De Luca (1764-1828), che nel 1820-21 era stato eletto deputato dalla sua Celle Bulgheria durante il cosiddetto nonimestre costituzionale cio i nove mesi in cui funzion si ebbe la costituzione del Regno delle Due Sicilie.

De Luca aveva un nipote, Carlo Guida, nato nel 1799 anche lui a Celle Bulgheria. Avuta anche lui in giovane et la vocazione di servire il Signore, prese labito monastico dei Cappuccini e fin al convento di Maratea. Come di consueto, preso il saio perse il suo cognome e fu noto come Carlo da Celle.

Quando scoppi la rivolta, Carlo volle seguire e aiutare lo zio. Racconta lo storico Matteo Mazziotti (1851-1928) che prima della marcia su Palinuro dove fu proclamato un governo insurrezionale Carlo, raggiunto lo zio a Camerota, si pose a capo degli insorti ed innalzando il grido: viva la libert, viva la costituzione francese! penetr nella borgata, ove salito su di un tavolino si mise ad arringare il popolo.

Ma la rivolta del Cilento ebbe breve vita. Re Francesco, non disposto a concedere la libert che i suoi sudditi chiedevano, diede ordine al generale Del Carretto (1777-1861) di riportare lordine nel Cilento a qualunque costo. Senza scrupoli, e con i poteri di alter ego del re, il Del Carretto fece terra bruciata. Arrivato ai paesi cuore della rivolta, nel luglio dello stesso 1828, diede ordine di radere al suolo Bosco, oggi frazione di San Giovanni a Piro.

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Presso la Biblioteca di Storia di Patria di Napoli, al Maschio Angioino, esiste il manoscritto di una relazione che lo stesso Del Carretto stese sui fatti. Qui si legge:

Sarriva sul posto presso Bosco Cilentano il pomeriggio del 6 luglio 1828. I paesi cilentani sarrendono senza opporre resistenza e i rivoltosi si sono dati alla macchia per le vicine montagne. Lalba del 7 luglio 1828 io marchese Francesco Saverio Del Carretto, do ordine alle truppe regie di punire i felloni e di radere al suolo il villaggio di Bosco Cilentano per esempio duro: lartiglieria di linea e i guastatori e i pionieri del Genio danno fuoco alle case, facendo saltare in aria parecchie abitazioni, circondate dalle truppe e si spara sui fuggitivi da Bosco con scariche di fucileria e di artiglieria e di granate incendiarie. Dopo unora si d il segnale con tromba di carica alla baionetta generale e le truppe snidano gli abitanti di Bosco ancora vivi dalle case distrutte o in fiamme e si rade al suolo la chiesa parrocchiale locale e si cattura il prete vecchio don Antonio De Luca a cui i soldati strappano il vestito talare da dosso subito. 200 superstiti di Bosco o di paesi vicini rifugiati l per la rivolta sono catturati; tra migliaia di morti di Bosco incenerita ormai e sulle cui rovine i soldati passano il sale della distruzione su mio ordine. [...] Sono fucilati alla schiena anche il vecchio parroco don Antonio De Luca di Bosco; si passa alla fucilazione di altri 4 braccianti cilentani e infine fucilato anche lavvocato Teodosio De Dominicis e Arcangelo Doguino, impiegato palermitano dorigine al Bollo e Ufficio del Registro Civile in Bosco Cilentano. I 27 fucilati sono decapitati sullistante per mio ordine e le 27 teste dei rei sono chiuse subito in gabbie di ferro ed esposte nei paesi dorigine dei condannati.

La distruzione di Bosco fece cos tanto orrore che un neonato comune lucano chiese di cambiare nome per paura che potesse essere in qualche modo associato a quellorrore: fu cos che Bosco divenne Nemoli.

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Il 1 agosto 1828 la commissione militare di Del Carretto condannava a morte anche Carlo da Celle.

I dettagli dellesecuzione, da me ricordati in altra circostanza, sono raccontanti ancora dal Mazziotti: Il padre Carlo da Celle, arrestato nel convento di Lagonegro al quale era stato trasferito da quello di Maratea, di cui era guardiano, non raggiungeva ancora i 29 anni. [] Il supplizio dello sventurato cappuccino era stabilito in Maratea: ma bisognava prima dissacrarlo come si era fatto per il canonico De Luca. Il maresciallo, per non incontrare difficolt, scrisse amorevolmente e prima della condanna, come egli stesso narra, al vescovo di Policastro per pregarlo di tale ufficio e gli mand la lettera per mezzo del capitano Carrabba in Lauria, ove il prelato si trovava. Questi rispose il d 8 agosto al capitano di essere pronto a compiere la funzione. Difatti, recatosi appositamente a Maratea, dissacrava, nel locale della congregazione dellImmacolata Concezione, il cappuccino con le formalit determinate dal rito. Indi un plotone di soldati, nello stesso giorno 12 agosto, fucilava a le spalle, innanzi la porta del convento di Maratea, il padre Carlo da Celle, assistito, per i conforti religiosi, da i sacerdoti F. A. Mordente e Daniele Farachi. Il cadavere ebbe sepoltura nella chiesa dello stesso convento.

Perch a Maratea tutti i gendarmi rifiutarono di prendere parte a questa esecuzione, i soldati dovettero arrivare da Policastro. Un documento dellarchivio comunale dice che il Comune di Maratea fu obbligato a farsi carico della spesa della fucilazione, rimontante a docati quattro cio, pel trasporto delle Truppe sudette [sic] da Policastro in questo medesimo comune su de Paranzelli, alli de Padroni Pietro Cangiano, e Gaetano De Luca, e pel loro ritorno in quello additato lido, e li rimanenti docati 22.23 per ranzioni [sic] somministrate alle stesse, e foraggi ancora.

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Dalla posa della lapide a oggi, non so quante volte si ricordato pubblicamente il sacrificio del giovane cappuccino. Di sicuro non lo si fatto negli ultimi dieci anni. Speriamo che, da qui allanno che ci separa dal 200esimo anniversario, lestate marateota possa trovare un piccolo spazio, in questo giorno, per commemorare pi degnamente un martire della nostra libert.

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