L'insurrezione della Basilicata del 18 agosto 1860

INVIATO DA LUCA LUONGO IL MAR, 18/08/2015 - 19:10

Era il 18 agosto 1860 e la Basilicata dava il suo contributo a scrivere la storia d’Italia.

Con il nome di insurrezione lucana si indica una serie di episodi del Risorgimento avvenuti in Basilicata nell’agosto del 1860. La provincia fu la prima, della parte continentale del Regno delle Due Sicilie, a dichiarare decaduto il re Francesco II di Borbone e a proclamare la sua annessione al Regno d’Italia.

È una storia che non troverete nei libri di storia perché nessuno vuole raccontarvela: né chi del Risorgimento ha una visione costruita da una pessima scuola, tutta incentrata sulla retorica di un’Italia (il nord) che ne salva un’altra (il sud), né – tanto meno – da chi vuole farvi credere che il Risorgimento fu un crimine commesso su un’Italia (il sud) per mano dell’altra (il nord).

Preludio a Corleto Perticara.

Era il 16 agosto e a Corleto Perticara si iniziava a spianare la strada a Garibaldi, da mesi già in Sicilia.

Alle 5 ore p. m. del giorno 16 agosto, - scrive Michele Lacava (1840-1896), testimone oculare – presenti nella vasta del Plebiscito (allora del Castello) 400 militi della Guardia Nazionale, e del drappello d’insorti, e circa 80 disertori, il Comitato Lucano, il Prodittatore Albini ed il Colonnello Boldoni proclamano solennemente il Governo Nazionale, innalzando la gloriosa bandiera della Patria che doveva trionfare nell’Italia Meridionale, come gloriosamente era trionfata a Palermo e in tutte le regioni libere di Italia. Assistevano più migliaia di persone che dalla piazza del Plebiscito, e lungo la via ora detta Nazionale, si estendevano alla Gersa, vasto luogo di pubblico passeggio; quando fu proclamato il governo Nazionale, i militi della Guardia Nazionale e degl’Insorti, presentarono le armi al sacro vessillo d’Italia, mentre delle Bande suonavano inni patriottici del 1848: ed il popolo acclamava al nuovo governo con evviva e segni di gioia impossibili a descriversi, e che sono speciali del popolo meridionale, quando in esso la passione e la gioia traboccano oltre misura.

Due degni sacerdoti, Salvatore Guerrieri, e Biagio Martino, ambo ora morti, uno nella chiesa parrocchiale, ricorrendo la festività di S. Rocco da Montpellier, primissima nel paese di Corleto; e l’altro appena dopo la proclamazione del governo Nazionale nella Gersa, predicarono al popolo: il primo mostrando il risorgimento del popolo latino e l’alleanza dell’Italia colla Francia, e come fosse precetto dell’ Evangelo accogliere il governo Nazionale, e abbandonare l’infausto governo dei Re spergiuri: era volere di Dio farsi l’ Italia una, libera ed indipendente. Il secondo bandi al popolo la rivoluzione avvenuta, il servaggio distrutto, e la libertà acquistata; fu felice il paragone tra Cristo Redentore del genere umano, e Garibaldi redentore dell’oppresso popolo Italiano.

Da Potenza la Basilicata proclama l’Unità d’Italia.

Già durante la notte del 17 agosto, le truppe insurrezionali giunte da Melfi e Sala Consilina, erano alle porte di Potenza.

Alle prime luci del 18 gli uomini entrarono in città, sostenendo lo scontro con la guardia borbonica. Scrive ancora il Lacava:

Un palladio stava nella Guardia Nazionale, la quale non smettendo dalla sua missione, pur quando gli sia riuscito impossibile di armarsi, perché iterate volte chiedente, non ha potuto avere armi da Napoli, adempiva all’ufficio suo.

Ma debole argine sembrava la Giunta Nazionale ad un traboccante torrente di fole, di paure, di minacce provenienti dai Capi di quella stessa forza, che sotto nome di Gendarmeria fu ministra di Tirannia prima che si rivocasse a vita lo Statuto.

Digraziatamente in Potenza questa forza era comandata da un Salvatore Castagna. [...] A trarre costui dal reo disegno di mettere la cosa pubblica in disordine più d’uno adaperavasi nella sera del giorno 17 di questo mese. Gennaro Ricotti, Angelo Maria Addone, ed altri capitani Nazionali, cittadini cospicui insinuavano, pregavano smettesse da quell’ostile procedere contro a’ Nazionali: i nazionali lasciar la gendarmeria libera disponitrice delle sue cose, de’ suoi pensamenti; ma non turbasse lo sviluppo delle libere istituzioni; non minacciasse i pacifici cittadini. Né valea tanto affatigarsi che l’indole sovversiva dal Castagna bevuta da problematici fonti spronava la gente d’arme a lui sottoposta a tale rombo di aperte violenze. Né furon i Gendarmi sì cauti che ne cacciasser fuora motto; poiché trabanti ed altri uffiziali di guarnigione, a donne, a confidenti non facessero palese il concetto di manomettere la proprietà, di minacciar furibondi la vita dei proprietarii a strage e rovina di vergini e fanciulli, che designavano portare in punta di bajonette.

La notte stettero ne’ quartieri in continuato movimento: si distribuirono cartucce e munizioni. Ogni oggetto presioso fu amosso dal quartiere, assicurato alla meglio. Tutta la forza de’ Gendarmi, che era nel locale della Intendenza, con sospetti movimenti si riunì all’altra nel locale della strada meridionale, ove abitava il Castagna. Il quartiere della Intendenza lasciossi aperto. Castagna sicurava la moglie nella casa di un proprietario. I quali fatti rilevavano i proponimenti reazionarii nascosti dal Castagna di metter mano al sangue; e che del popolo sarebbesi fatto guasto e desolazione. Poscia all’alba schierava tutta la Gendarmeria con arme, sacchi, e cappotti, e dritto defilava sul vicino Monte alla parte occidua della Città. Colà armeggiando sulla spianata or in un punto or in un altro, faceva simulacro di battaglia. I Cittadini, i Nazionali, ignari de’ pensieri della Gendarmeria, e solo contenti che se ne fusse uscita, non tanto smisero da’ timori; che de’ tristi pensamenti di essa non curanti, per la maggior parte del tempo si restrinsero a tenere sciolte in taluno sbocco della Città.

Erano dal buon mattino sino alle undici colà sul Monte i Gendarmi, che furono veduti all’ombra della chiesa di S. Antonio Abbate, bivaccare e far fascio d’arme. Accertan tutti, che Capitan Castagna distribuisse loro liquor spiritoso per eccitarli ad ubbriachezza. E mentre in quel loco così gavazzavano, messi dal Castagna venivano in Città per assicurarsi dello stato dei cittadini, e più del Corpo della Gran Guardia in piazza del Sedile. Era presso al meriggio, consueta ora, nella quale minor numero di Nazionali trovavasi acquartierato perché nelle case alla diuturna colezione intenti. La città tranquilla, la gente ridotta nelle abitazioni per sfuggire gli ardori del sirio. Riferito quello stato al Castagna, parvegli or propizia a menare ad effetto suoi pravi disegni. Di botto chiama a raccolta la sua truppa, nella quale avea radunato ancora ordinanze, gendarmi in servizio di polizia, e quanti avessero ufficii in Potenza. Cala giù dal Monte in su la rotabile via che mena a Napoli, ed ivi di nuovo schiera a rassegna le sue forze. Chi conosce la topografica posizione di Potenza, rievocherà a memoria che uscendo di Porta Salsa la via rotabile giù scende con una rampa alla parte meridionale della Città, lasciando a sinistra un ordine continuato di nuove case, tra i quali il Palazzo Quartiere della Gendarmeria, e che proseguendo più giù al gomito che dicesi di Cavallo, evvi della strada, che fa un trivio, una seconda rampa, che va a ricongiugersi con la strada sotto al Monte nel punto ove il Castagna schierato avea le sue forze.

Or costui, facendo dar suono alle trombe, con passo di carica, e con calata bajonetta ad arma imbrandita risalento, veniva alla volte della Città. Niun badò a’ pensamenti del Capitano, forse perché si credette volesse rientrare nel suo quartiere messo sulla prima rampa; ma quando giunta al gomito di Cavallo videro la soldatesca con più celere passo proseguir oltre la dritta via che mena alla piazza del Sedile; oh! allora nella mente di tutti surse sinistro pensiere di quelle mosse. La folla dei curiosanti fu molta; ma pochi coloro, che destessero i Nazionali, i quali stavano in quartiere a Piazza del Sedile, ove la Gendarmeria indirizzavasi. Fin molti Nazionali confusi a moltissimi cittadini sulla spianata del Muraglione, che sporge come terrazza sulla strada meridionale, era spettatrice ignara delle mosse di quella gente armata. Con essa il Capitano avvanzando sempre a passo di carca, e con fiato alle trombe, presa la rivolta per montar sul Muraglione, dispose la forza in doppie righe, in modo che l’una guardasse plutoni, facendo che di essi parte si avanzasse in piazza, parte s’inmmettesse in Città sulla strada Pretoria pei vicoli S. Bonaventura, Iasone, e Forno S. Gerardo, e’l popolo accorso frammisto ai Nazionali meravigliò di quel subitaneo procedere; e tra lo stupore e la maraviglia non intravide i disegni del Castagna, che al cospetto di quel popolo stesso dava mano al più nero tradimento sotto di un grido, che risuonasse caro al popolo Potentino, caro a que’ Nazionali: viva l’Italia, viva Garibaldi; gridò, che fu creduto segnale di pace e fraternale concordia col Potentino zelatore magnanimo della indipendenza d’Italia, tanto che un Gaetano Clementelli Canonico, ed un Giulio Maffei stendevan già con molti cittadini le braccia per tenerezza a quegli Uffiziali di Gendarmeria: i quali svelando l’infame, e perfido disegno dettero in quel punto cenno di vivissimo fuoco con scarica di una moschetteria sul popolo inerme gridando: viva il Re, abbasso la Costituzione, morte a Garibaldi.

Corrono i Nazionali; erompono dal Quartiere, dai vicoli sulla strada; forte nucleo di gente come argine poderosissimo para il petto innanzi a quel torrente di Gendarmeria. Un vivo ardore agita i Nazionali, che gridano al tradimento; e con una moschetteria spaventevole non pur contrastano al nemico l’entrata in Città; ma costringon lo disperato ad arrendersi tra una gora di sangue. E mentre colà pugnavasi da Nazionali; già molti Gendarmi per gli sbocchi ne’ vichi di S. Bonaventara, di Iasone, di Forno S. Gerardo penetrati nell’interno, dettero a ruba, a saccheggio, ad uccisioni le case de’ pacifici cittadini. Immessi in su la strada Pretoria or una, or altra abitazione tentavano di aprire, più mirando a guadagnare le prigioni per spalancarne le porte, e sbrigliare i condannati a comun danno. […]

Potenza, che era stata in grandi trepidazioni, e pavento di stragi, di disonor di donzelle, di rapine e saccheggi, consuete minacce dei gendarmi e della reazione, volse in grande letizia, elevando gli animi ed evviva alia Guardia Nazionale salvatrice: a rendimento di grazie al soffio dell’Onnipotente, ed al divo Gerardo Pontefice e Protettore della Città; il quale con mano soccorritrice dell’ardita impresa fu sostegno e valore a chi difende la Patria. La quale verrà col tempo segnando con monumento solenne che i potentini ebbero cuore e valore italiano, quando nel giorno 18 agosto 1860 con la sconfitta di 400 braccia fratricide posar fine al servaggio della miglior parte d’Italia con magnanima impresa.

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