LĠantica Vibone sulla costa di Maratea: storia di un equivoco.

di Luca Luongo

 

 LĠesistenza di unĠantica cittˆ chiamata Vibone, collocata nel tratto di costa tra il Porto e Fiumicello,  citata in alcuni vecchi libri sulla storia di Maratea.

Di questa cittˆ parlano anche libri e articoli sulla storia di Sapri e Vibonati. La cittˆ  nominata in una lettera di Cicerone allĠamico Attico del 44 a.C. e venne collocata, nel XVIII secolo, sulle coste del golfo di Policastro da Giuseppe Antonini (1683-1765).

 

Le assonanze di Antonini.

Giuseppe Antonini aveva immaginato lĠesistenza di una Vibone Lucana, cos“ detta per distinguerla da Vibo Valentia nel Bruzio, sulla base un epistolario di Cicerone, che scrisse di muoversi da ÇVibo ad SiccamÈ per raggiungere Velia.

Nei suoi Discorsi su La Lucania, Antonini pose questa cittˆ sul sito di Vibonati, suo paese natio, e lo fece per mera assonanza. A sostegno della sua tesi, Antonini spost˜ anche il nome delle Isole Itacensie, che Plinio aveva descritto sulla costa prospiciente Vibo Valentia, nel golfo di Policastro, e precisamente per indicare quelle della costa di Maratea. Qui, ancora per assonanza, lĠisoletta della Secca di Castrocucco avrebbe dato – Dio solo sa il perchŽ! – il nome distintivo a questa Vibo o Vibone.

Giˆ al suo tempo, allĠAntonini fu fatto notare lĠerrore che vedremo pi avanti, ma lĠopuscolo che lo correggeva ebbe pochissima diffusione, per cui se ne persero presto le tracce.

 

Libro chiama libro.

Nel 1923 il sacerdote lauriota Nicola Curzio (1877-1942) pubblic˜ un articolo per una rivista romana di storia e archeologia in cui fece tornare in auge la tesi di Antonini.

Facendosi forte di una testimonianza dellĠerudito Andrea Lombardi (1785-1849), che negli anni Ô20 del XIX secolo individu˜ e descrisse alcuni reperti - oggi purtroppo scomparsi - nei pressi della punta di Santa Venere, Curzio spost˜ questa presunta Vibone Çnei pressi del Porto di MarateaÈ poichŽ il sito Çha di riscontro le isolette riportate da Plinio, mentre Monteleone [oggi Vibo Valentia, n.d.r.] non ha nessuna isola di riscontroÈ.

Nel 1954, il sacerdote e rettore del santuario di S. Biagio Domenico Damiano (1891-1969), nella prima edizione del suo lavoro sulla storia di Maratea, si appropri˜ dellĠidea di Curzio (ma senza citarlo).

Damiano per˜ spost˜ pi a monte il sito della presunta cittˆ. ÇChe Vibone sia esistita nei pressi della Torre di Santa Venere - scrisse Damiano - sino a salire verso lĠattuale [strada] litoranea, ne fa fede il ponte, dove confluiscono i tre torrenti che sboccano a Fiumicello; questo ponte si dice ancora, corrottamente, Ponte di Libona come in dialetto si dice Libonati invece di VibonatiÈ.

 

Una cattiva traduzione.

In realtˆ, a monte di tutti questi ragionamenti cĠ un colossale errore di traduzione.

Leggendo per bene la lettera di Cicerone ci accorgiamo che il Siccam, che eccit˜ la fantasia di Antonini, altro non  che un nome di persona.

Scrive Cicerone: Ç...perveni enim Vibonem ad Siccam [...] Ibi tamquam domi mea scilicet...È, che si traduce: Ç...sono giunto a Vibona da Sicca [...] qui mi pareva di essere a casa mia...È (Cicerone, Attiche, XVI, 6).

Sicca era un amico di Cicerone, che aveva un fondo e una villa a Vibo Valentia, e che viene nominato anche in altre opere dellĠarpinate.

 

Ma i reperti sono veri.

Attenzione per˜ a classificare come inesistenti i reperti che vengono nominati dagli autori summenzionati!

é vero che lĠarea della punta di Santa Venere e zona limitrofa  unĠarea archeologicamente ricca e inesplorata. NĠ prova la testimonianza, senzĠaltro autentica, del Lombardi e quelle pi tarde, che ogni tanto affiorano da testimonianze giornalistiche del secolo passato e da qualche racconto orale.

Speriamo che questo articolo, a moĠ di promemoria, dia un contributo per far dimenticare la falsa Vibone e riemergere qualche vera traccia del passato, forse ancora sepolta sotto ai nostri piedi.

 

 Luca Luongo

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