Ma il revisionismo sul Risorgimento dice cose vere?

        A molti di noi  capitato di imbattersi in un sito, un post o un meme riguardo il revisionismo del Risorgimento. La cosa ha preso una piega cos“ larga che neppure i non appassionati di Storia sono stati risparmiati.

        In realtˆ, come vedremo, la cosa riguarda molto pi la politica che la storia, perci˜  naturale che questo discorso abbia investito temi non prettamente storici e abbia invaso terreni non frequentati da appassionati di storia.

        Il revisionismo dilagante , da tempo, quello definito neoborbonico. Si muove lungo due assi principali: il primo, come ottimamente descritto dal prof. Giuseppe Galasso (1929-2018), trasforma il Regno delle Due Sicilie Çin un Paese allĠavanguardia dello sviluppo industriale del suo tempo, bene ordinato e amministrato, ricco nelle sue finanze ma lievissimo nelle sue imposizioni fiscali, stretto intorno al suo re, temuto e rispettato in Europa, senza particolari problemi sociali, severo ma corretto nella sua giustizia, a un livello diffuso di benessere secondo le condizioni del tempo, senza malavita o banditismo degni di rilievoÈ; il secondo, invece, rovescia per contrasto gli effetti dellĠUnitˆ sul Mezzogiorno, attingendo a una vasta gamma di suggestioni storiografiche e, pi prosaicamente, dellĠimmaginario culturale dei nostri anni.

        Ma questo revisionismo  attendibile? Gli studi dei suoi promotori hanno apportato nuove e veritiere conoscenze storiche? I dati con cui questi hanno inondato pubblicazioni e internet sono veri?

        In questo lungo articolo prover˜ a disaminare le tematiche principali.

Garibaldi entra a Napoli.

        Il Regno delle Due Sicilie era lo Stato preunitario pi ricco e industrializzato dĠItalia e il terzo al Mondo.

        FALSO.

        Questo cavallo di battaglia del revisionismo neoborbonico  tra i pi controversi anche perchŽ molto difficilmente credibile.

        E' obiettivamente molto difficile sostenere che il Regno delle Due Sicilie fosse un Paese ricco e allo storico o allĠappassionato, in fin dei conti, basta volgere lo sguardo sulla pubblicistica e sui lavori riguardo economia del regno prodotta dagli economisti napoletani del tempo per averne ampi indizi: Carlo Afan De Rivera (1779-1852), Matteo De Augustinis (1799-1845) e Ludovico Bianchini (1803-1871) sono solo i principali autori che lamentano le condizioni di inferioritˆ del regno borbonico rispetto al resto dĠItalia e dĠEuropa e, pi o meno celatamente, invitano a radicali cambiamenti nelle politiche economiche.

        Poi, era tutta lĠItalia pre-1860 ad essere molto indietro nello sviluppo industriale.

        Le industrie della Penisola preunitaria erano per lo pi concentrate intorno le capitali (tranne nel caso del Piemonte, perchŽ erano per lo pi a Genova).

        Nel Mezzogiorno, contrariamente a quanto un tacito malinteso della storiografia del Dopoguerra ha lasciato intendere, esistevano s“ delle piccole industrie: intorno Napoli i casi principali erano lo Stabilimento di Pietrarsa, destinato alla costruzione di locomotive ferroviarie e motori per navi a vapore, il cantiere navale di Castellammare di Stabia, attivo almeno dal XVIII secolo, e piccoli stabilimenti creati da stranieri (per lo pi inglesi) che lavoravano intorno lĠunica e breve rete ferroviaria del regno. Altro ramo dĠindustria un minimo sviluppato era il tessile, con una importante fabbrica a Piedimonte Matese (CE), creata da industriali svizzeri.

        In sostanza, si trattava di industrie statali, create e mantenute con fondi pubblici o di capitalisti stranieri, venuti nel regno per sfruttare la manodopera a bassissimo costo (un poĠ come  accaduto nel XX e XXI secolo nei Paesi terzomondisti).

        Il cosiddetto primato del terzo stato pi industrializzato del mondo pare nascere nel 1972 in un libro intitolato 1860: crollo di Napoli capitale e desunto da un non meglio specificato riferimento allĠEsposizione universale di Parigi del 1856, dove il regno borbonico sarebbe stato premiato, appunto, sul gradino pi basso del podio del medagliere per sviluppo industriale. Come  noto, per˜, le Esposizioni universali non hanno mai avuto il medagliere come le Olimpiadi e il dato si risolve in una bufala: uno stesso sito revisionista, un poĠ di tempo fa, dovette ammettere la cosa.

        Si  anche creato il mito che il regno avesse tantissime fabbriche disseminate qua e lˆ: Gennaro De Crescenzo, leader del Movimento Neoborbonico, nei suoi libri ne conta nientemeno che cinquemila!

        In realtˆ, la parola industria indicava un concetto diverso allĠepoca (industria era un qualunque lavoro non collegato allĠopera della natura, quindi nelle fonti dĠepoca troviamo dizioni come industria armentizia, industria molitoria, industria del vino, ecc.) e nei censimenti si registrava come occupato industriale qualunque lavoratore che esercitasse un mestiere manuale (dalla casalinga tessitrice allo stagnino). Quindi, molte volte le industrie censite qua e lˆ erano poco pi di laboratori artigianali.

        In pi,  frequente per i revisionisti citare il primo censimento del Regno dĠItalia che, relativo allo stato del regno al 31 dicembre 1861, ripartiva come in tabella gli occupati del secondo settore (come nellĠimmagine che segue):

Gli occupati nellĠindustria nel primo censimento italiano.

        Se a una prima lettura ci si potrebbe ingannare, si pu˜ notare che la ripartizione – che ricalca i confini degli stati preunitari – tende a gonfiare il dato del Mezzogiorno e a spezzettare quello del Settentrione.

        Fu solo dopo lĠUnitˆ che si pass˜, lentamente e con fatica, a una dimensione industriale moderna. Nel 1862 venne ammodernato il cantiere navale di Castellammare per costruire navi con lo scafo in ferro, lo stabilimento di Pietrarsa nel 1873 arriv˜ a contare pi di 1.100 operai, nel 1883 venne inaugurato il cantiere navale di Taranto e nel 1891 quello di Palermo. La forbice dello sviluppo industriale tra Nord e Sud del Paese, quindi, non va intesa come il mettersi da parte del Mezzogiorno, che si siede a un angolo e lascia spazio esclusivamente al Settentrione, ma come uno sviluppo pi prodigioso di una parte contro un incremento, pi lento, ma comunque importantissimo, del resto dĠItalia:  ci˜ che ci mostra, dĠaltra parte, una corretta lettura dei dati sullo sviluppo del PIL dopo il 1861, sul quale mi riservo di scrivere, un giorno, a parte.

        La prima ferrovia dĠItalia venne costruita nel Regno delle Due Sicilie.

        VERO.

        Furono i 7 km circa della linea Napoli-Portici, inaugurati il 3 ottobre 1839.

        é importante tenere a mente che questo revisionismo usa anche particolari dati reali per basarci teorie generali false. Spesso il dato della prima ferrovia italiane  ascritto semplicemente come uno dei tanti primati del regno; altre volte  la base di un lungo discorso sul fatto che la storia ufficiale avrebbe celato numerosi successi tecnologici e scientifici del governo borbonico.

Quadro commemorativo dellĠinaugurazione della ferrovia Napoli-Portici.

        In realtˆ, la Napoli-Portici precedette la prima ferrovia del Nord Italia – la Milano-Monza, di 15 km, inaugurata il 17 agosto 1840 – di soli dieci mesi. Poi, lo sviluppo delle infrastrutture ferroviarie, stradali e portuali fu uno dei principali insuccessi della monarchia napoletana. Al momento dellĠUnitˆ, nel regno funzionavano meno di 100 km di ferrovie (tutti tra Napoli, Caserta e Nocera) mentre al Nord erano in esercizio pi di 1.000 km, dei 1.848 comuni ben 1.321 non erano collegati agli altri da strade carrabili e, nonostante la via di comunicazione principale del regno fosse il mare, al di fuori della Campania, sul Tirreno i principali lidi non erano attrezzati con ricoveri di cabotaggio.

        é assurdo pensare che soli 1.000 uomini (i Mille di Garibaldi) abbiano potuto avere la meglio su 100.000 soldati (lĠesercito borbonico) senza che dietro ci fossero intrighi, tradimenti, complotti internazionali.

        VEROÉ perchŽ  FALSO.

        é falso che i Mille di Garibaldi fossero solo 1.000, e non mi riferisco, pignolescamente, al fatto che a sbarcare a Marsala fossero in 1.089.

        In Sicilia prima, e in Calabria e in Basilicata poi, Garibaldi ricevette ampi rinforzi da volontari locali, che affiancarono o sostituirono le prime camice rosse. Alla battaglia del Volturno, epilogo della spedizione, Garibaldi poteva contare su quasi 25.000 uomini. In particolare, la nostra Basilicata forn“ oltre 2.500 volontari i quali, costituita la Brigata Lucana, furono elogiati pubblicamente da Garibaldi pi volte: Çdite ai vostri lucani che li preferir˜ sempre – disse il nizzardo al loro comandante Ascanio Branca (1840-1903) – io vi stimo come primo corpo disciplinato e vi terr˜ sempre avanti a tuttiÈ.

I garibaldini alla battaglia del Volturno.

        Falso, allo stesso modo, che i borbonici fossero in 100.000. LĠesercito napoletano era notoriamente disorganizzato e ampissime erano le diserzioni, tanto da ridurre gli effettivi a cifre vicine a quelle di Garibaldi. Carmine Crocco (1830-1905), pi tardi capo della pi grande banda brigantesca lucana, avendo avuto un passato nellĠesercito prima dellĠUnitˆ, nella sua autobiografia scrisse: ÇperchŽ il potente esercito borbonico fu messo in fuga da un pugno di giovanotti e questi furono chiamati eroi, e vili quelli? La veritˆ di quelle facili vittorie, la causa delle fughe, il facile sbandarsiÉ e chi nol sa! Bisognava vedere un quartiere militare borbonico che cosa era; ed io lo vidi e lo conobbi. Ho visto quante infamie si commettevano, e la frusta, il bastone e le fucilazioni sommarie, e le punizioni tremende, di guisach in noi soldati prevaleva il concetto: ÔQuesto regno  tuo e deĠ tuoi sbirri, difendili da te e con i tuoi, non io morir˜ per la gloria tua e per conservare sul tuo capo la coronaĠÈ.

        Sospetti e accuse di tradimenti da parte dei generali nacquero giˆ tra i contemporanei. In particolare, la condotta del generale Giuseppe Ghio (1818-1875), arresosi ai garibaldini senza combattere a Soveria Mannelli (CZ) il 30 agosto 1860, pur forte di 10.000 soldati, fece inarcare qualche ciglio. Effettivamente, la resa di Ghio  incomprensibile senza tenere conto delle insurrezioni liberali e pro-garibaldine che intanto erano sbocciate lungo il regno: in particolare, Ghio dovette tenere conto che a nord, in Basilicata, si era costituito un governo provvisorio filo-unitario il 18 agosto e una rivoluzione simile cĠera stata, il 24 agosto, a Cosenza, per cui, anche se avesse sconfitto Garibaldi, il generale borbonico sarebbe finito schiacciato da pi lati.

        Giacinto DeĠ Sivo (1814-1867), il principale storiografo di parte borbonica, in un pamphlet intitolato I napoletani al cospetto delle nazioni civili, attribuiva la trama complottista della caduta del Regno delle Due Sicilie allĠopera di una Setta (chiamata semplicemente cos“), la quale Çcorrompe la popolazione, inventa la storia, investe le giovanili menti, e le abbarbaglia con le splendide parole di libertˆ, di giustizia e indipendenza; e mentre il contrario vuole e fa, ipocritamente fa grandi promesse, abbassa con calunnie i virtuosi, magnifica i suoi adepti, e lor fa strada a governi, a magistrati, alle universitˆ, alle milizie, e talvolta agli alti seggi del clero [É]. Essa impera come Satana, ed ha schiere infinite di demoni ubbidienti; essa comanda le dimostrazioni, le barricate, gli opuscoli, i regicidi, le pugnalazioni, le fucilazioni e glĠincendii della cittˆ [É]. Vincitrice,  frenetica; tutto abbatte e strugge, piglia ogni cosa, saccheggia, sperpera; dona, rimuta, e fa vendette di sangue. ] La setta  il rovescio del Cristianesimo. Cristo unisce le nazioni in uno amore di Dio; la setta disunisce bens“ le famiglie, e aspira allĠisolamento dellĠateismoÈ.

Reduci dei Mille in una foto del 1910.

        Pi recentemente, la teoria complottista ha spostato il focus su attori internazionali, in particolare la Gran Bretagna, che avrebbe avuto interessi nel rovesciare la monarchia borbonica. In realtˆ, la posizione in politica internazionale britannica nellĠOttocento fu principalmente volta a mantenere lo status quo europeo. Poi, dopo la guerra di Crimea e la salita al potere del fronte liberale, i britannici videro sempre di buon occhio le rivoluzioni liberali, e, a livello popolare, Garibaldi e la sua impresa ricevettero grande simpatia: basta pensare che quando Garibaldi visit˜ Londra, nel 1864, oltre cinquecentomila persone si riversarono in strada per vederlo! Ciononostante, seppure sia provato che molti inglesi inviarono sottoscrizioni per finanziare la spedizione garibaldina, le iniziative furono sempre private e mai pubbliche (il Parlamento inglese era in vacanza durante il maggio-agosto 1860), perci˜ non si pu˜ pensare che la Gran Bretagna, seppure favorevole, fosse il motore occulto della spedizione, come  stato brillantemente riassunto dalla storica Lucy Riall.

        Il denaro delle casse statali del Regno delle Due Sicilie venne derubato per sanare la finanza piemontese.

        FALSO.

        Questo  uno dei pi vecchi malintesi sulla storia economica italiana. é vero che il Regno dĠItalia nacque oberrato di debiti e che la gran parte fu portata dal Regno di Sardegna (ossia il Piemonte sabaudo), ma il debito venne sanato decenni dopo il 1861 dalle politiche economiche (e quindi con le tasse) implementate dai vari governi unitari.

        La cifra di 443 milioni di lire, che spesso si legge negli scritti revisionisti, quale cifra del malloppo del furto ai danni del regno borbonico pare nascere da una lettura errata del saggio, del 1900, Nord e Sud di Francesco Saverio Nitti (1868-1953), in cui scrisse per la prima volta come dalle ex-province del regno borbonico vennero ritirate, per lĠuniformazione monetaria post-Unitˆ, una quantitˆ di monete per un valore di circa 443 milioni di lire. Nitti usa il dato per mostrare come nel Mezzogiorno i risparmi fossero immobilizzati nella forma primitiva, cioŽ ammucchiando denaro liquido e non investendo.

        I revisionisti hanno poi frainteso la natura del dato e lo hanno declinato il dato nelle forme pi fantasiose: per Del Boca quei soldi sono Çil gettito economicoÈ del regno borbonico, per Pino Aprile, autore del fortunato Terroni, quei soldi sa erebbero i Çmilioni di lire-oro [É] agguantati dalle casse borbonicheÈ, per De Crescenzo sarebbe, ancora, la cifra totale delle riserve auree della banca nazionale del regno.

        I briganti erano partigiani dei Borbone e un milione di meridionali vennero uccisi anche con veri e propri campi di sterminio, il pi noto dei quali si trovava a Fenestrelle.

        FALSO.

        Questa, oltre che la pi complessa,  anche la pi crudele falsitˆ del revisionismo neoborbonico, in quanto si rifˆ a un immaginario basato su un fatto storico relativamente recente, la Shoah, che andrebbe rispettato piuttosto che sbertucciato.

        Il brigantaggio, comĠ ampiamente noto agli storici, fu un fenomeno molto complicato e molto pi legato a questioni sociali ed economiche che a vere e proprie prese di posizione politiche. Il fenomeno  sempre esistito nel Mezzogiorno: tra il 1683 e il 1687 il vicerŽ spagnolo di Napoli, marchese di El Carpio, dovette ingaggiare una vera e propria guerra contro i briganti che infestavano le province; nel XVIII secolo il pi celebre brigante del regno fu Angelo Duca detto Angiolillo (1734-1784), le cui gesta tra Cilento e Basilicata sono tuttora leggendarie; nel secolo successivo gli stessi Borbone di Napoli dovettero affrontare le bande dei Vardarelli in Capitanata, dei Capezzoli in Cilento e di Giosafatte Talarico in Calabria.

Briganti ottocenteschi.

        Seppure immediatamente dopo lĠUnitˆ i fedeli borbonici si illusero di poter utilizzare le bande brigantesche per una controrivoluzione, anche al pi ingenuo appassionato di Storia lĠinconsistenza politica dei briganti appare chiara considerando il fallimento della spedizione Borjes: quando, negli ultimi mesi del 1861, Francesco II delle Due Sicilie lanci˜ il condottiero JosŽ Borjes (1813-1861) alla riconquista del regno avito, questi non solo trov˜ pochissimi a seguirlo, ma fu infine abbandonato dal vero capo brigante, il giˆ nominato Carmine Crocco, la cui attivitˆ si riduceva a rappresaglie contro i liberali dei paesi lucani, oltre le varie rapine e sequestri, incarnando la lotta brigantesca come quella guerra del povero contro il ricco di cui si sono scritti ampi volumi.

        Si tende a dimenticare, inoltre, che la principale attivitˆ dei briganti post-unitari non era una romantica lotta in difesa del Trono e dellĠAltare contro un invasore esercito piemontese (fosse non altro perchŽ il primo corpo mandato a contrastare le bande furono le varie Guardie Nazionali dei paesi lucani, campani, pugliesi ecc.) ma una serie di crimini contro altri cittadini meridionali: per lo pi, le bande sequestravano figli e parenti di persone ricche per chiedere il riscatto.

        Diverso il discorso per quanto riguarda il numero dei morti. LĠastronomica cifra del milione di morti pare trarre origine da un articolo di una rivista dellĠepoca, La civiltˆ cattolica, la quale sosteneva, provocatoriamente, che il governo unitario aveva fatto pi morti nel Mezzogiorno di quanti fossero stati i voti a suo favore nel Plebiscito, ma non ho mai potuto – almeno finora – individuare la citazione esatta. In realtˆ,  difficile dare una cifra precisa dei morti dellĠepoca del brigantaggio perchŽ  difficile legare indubbiamente ogni morte al fenomeno: un conto sono le condanne a morte e i caduti degli scontri, un conto sono i danni collaterali del fenomeno stesso. Ciononostante, nel decennio 1861-1870 gli storici parlano di 5.000 o 6.000 morti.

        Nel 1993, invece, il forte di Fenestrelle (TO) e i campi militari di Alessandria, Milano e San Maurizio (GE) vennero per la prima volta additati come campi di concentramento per meridionali in un articolo della rivista LĠAlfiere a firma di Francesco M. Di Giovine. Al grande pubblico, poi, lĠimmagine arriv˜ attraverso il libro, del 1998, Maledetti Savoia! di Lorenzo Del Boca, che rende chiaro al di sopra di ogni dubbio lĠequiparazione con la Shoah scrivendo: Çle SS dellĠOttocento indossavano la divisa dellĠesercito del PiemonteÈ.

Il forte di Fenestrelle oggi.

        Nonostante il cattivo gusto, il paragone col genocidio ebraico del secolo scorso ha riscosso un grande successo su vari siti internet, tanto che – incredibile ma vero – i neoborbonici riuscirono ad affiggere una targa a Fenestrelle in ricordo di 22.000 vittime meridionali l“ internate (non mi  riuscito di capire da dove provenga la cifra). Ora la targa non esiste pi, e per evitare il proliferare della bufala, lo storico Alessandro Barbero, noto al grande pubblico per le sue partecipazioni televisive, ha dedicato uno studio sullĠargomento, pubblicato nel 2012, I prigionieri dei Savoia. La vera storia della congiura di Fenestrelle, in cui ha dimostrato non solo lĠinfondatezza dello sterminio di meridionali paventato dai revisionisti, ma ha avuto anche il pregio di chiarire, attraverso ricerche dĠarchivio, i dati quantitativi circa lĠarruolamento degli ex-soldati borbonici nel neonato esercito italiano.

        Ciononostante, sui social continuano a proliferare aneddoti raccapriccianti circa la conquista del Sud, come lĠeccidio di Bronte (CT) – che in realtˆ fu la fucilazione di presunti rei di una bega contro i locali notabili -, il massacro di Pontelandolfo (BN) – su cui mi riservo di scrivere a parte – o la morte di una certa Angelina Romano, bimba di 9 anni di Castellammare del Golfo (PA), una cui foto circola tuttora sul web, nonostante molti, tra cui io con un articolo su questo sito, dimostrammo essere una bufala.

        Prima dellĠUnitˆ dal Sud non si emigrava.

VERO.

        Beh, quantomeno in parte.

        LĠemigrazione preunitaria  tra i pi negletti ambiti di studio della storiografia italiana. Sappiamo per certo che giˆ da prima del 1860 da alcune regioni del Settentrione e del Mezzogiorno alcuni pionieri dellĠemigrazione si lanciavano in Europa e, usando la Spagna come testa di ponte, nelle Americhe: dalla nostra Basilicata, i comuni di Maratea, Rivello e Nemoli furono i precursori dellĠemigrazione degli stagnini (i cosiddetti calderari) giˆ nella prima parte del XIX secolo. Ma si tratta di un periodo ancora tutto da studiare.

Emigrati italiani a Ellis Island.

        Tuttavia, il numero dei migranti dei primi anni dellĠOttocento non  minimamente sovrapponibile a quello degli ultimi decenni.

        Da questo dato reale i revisionisti hanno tratto una conclusione sbagliata: hanno legato lĠevento storico dellĠUnitˆ con lĠondata migratoria in una relazione diretta di causa-effetto che, in realtˆ, nella Storia raramente esiste. Gli eventi storici, cos“ come i pi piccoli fatti della nostra vita, non hanno uno, ma molte cause.

        In pi, tra lĠUnitˆ (1861) e lĠimpennata del dato migratorio (1880-1885) passano due decenni, e soltanto un errore pacchiano (o evidente malafede) pu˜ legarli, mentre  pi vicino alla realtˆ supporre – con evidente semplificazione – che fu la crisi agraria degli anni Ġ80 a causare lĠesodo, il quale, comunque, va collocato nel pi grande fenomeno delle migrazioni europee verso lĠAmerica.

        E per ricordare che lĠemigrazione fosse un fenomeno nazionale, va tenuto presente che la singola regione che ha dato pi migranti tra il 1870 e il 1920 fu il VenetoÉ!

        La storiografia italiana ha nascosto la storia del Mezzogiorno.

        VERO.

        Ma non come lo intendono i revisionisti.

        La polemica neoborbonica  chiaramente antiscientifica e i vari primati, reali o presunti, del Regno delle Due Sicilie, inquadrati nel loro contesto storico, non possono in alcun modo restituire lĠimmagine di un Paese ricco e felice.

        Ci˜, per˜, non significa implicitamente dar ragione a chi vede nel Mezzogiorno dĠItalia una landa dimenticata da Dio e dal progresso di ogni epoca, negletta quasi per natura o, peggio ancora e come altre volte si  sostenuto, a causa di pi o meno dichiarati elementi di inferioritˆ razziale dei suoi abitanti.

Napoli quattrocentesca nella Tavola Strozzi.

        Le cause della questione meridionale – termine nato dopo il 1861 unicamente perchŽ prima di allora una realtˆ statale italiana con un Settentrione e un Mezzogiorno non cĠera – vanno ricercate nella complessitˆ degli eventi storici, non potendo, in alcun modo, esse ricondotti a fenomeni di breve respiro come complotti e simili.

        Ciononostante, le semplificazioni sulla Storia del Mezzogiorno sono nate ben prima del revisionismo neoborbonico ed anzi, sotto molti punti di vista, ne sono state le cause. La sparizione graduale ma decisa dai programmi scolastici di eventi e di personaggi meridionali dalla Storia dĠItalia, iniziata col Fascismo e confermata nel secondo Dopoguerra, ha fornito la base ideale su cui poggiare ricostruzioni storiche stereotipate vittimiste o vittimizzanti.

        Prendete un qualunque manuale scolastico: dovĠ lĠinsurrezione lucana dellĠagosto 1860 e la sua importanza storica nei capitoli sul Risorgimento? Giuseppe M. Galanti, Mario Pagano e Vincenzo Cuoco hanno una menzione tra gli illuministi italiani? Quante le opere dĠarte annoverate nella storia delle discipline artistiche a sud di Napoli?

        Il revisionismo neoborbonico non  la chiave di lettura del passato, del presente del Mezzogiorno dĠItalia. Tuttavia, una pi completa comprensione storica della nostra terra  necessaria e dovuta, tanto a noi che ai nostri antenati.

        Fonti di questo articolo e consigli bibliografici.
I lavori revisionisti espressamente citati, o comunque qui considerati, sono: Alianello, Carlo, La conquista del sud, Milano, Rusconi, 1972; Aprile, Pino, Terroni. Tutto quello che  stato fatto perchŽ gli italiani del Sud diventassero ÒmeridionaliÓ, Milano, Piemme, 2010; De Crescenzo, Gennaro, Le industrie del Regno di Napoli: in appendice 50 primati del regno, Grimaldi, 2002; Del Boca, Lorenzo, Maledetti Savoia!, Casale Monferrato, Piemme, 1999; Id., Indietro Savoia. Storia controcorrente del Risorgimento italiano, Casale Monferrato, Piemme, 2003.

        Per chi volesse avvicinarsi ai temi trattati qui, consiglio: per un inquadramento generale del dibattito sulla questione meridionale, Galasso, Giuseppe, Passato e presente del meridionalismo, 2 voll., Napoli, Guida, 1978; per una storia generale del regno borbonico, Spagnoletti, Angelantonio, Storia del regno delle Due Sicilie, Bologna, il Mulino, 1997;  per la storia economica del Regno delle Due Sicilie, Bianchini, Ludovico, Della storia delle finanze del regno di Napoli, Napoli, stamperia reale, 1859 (terza ed.); Demarco, Domenico, Il crollo del regno delle Due Sicilie. La struttura sociale, Portici, Poligrafica, 1966; Villari, Raffaele, Problemi dellĠeconomia napoletana alla vigilia dellĠunificazione, Napoli, Macchiaroli, 1957; per la storia industriale del Sud dopo lĠUnitˆ, De Rosa Luigi, Iniziativa e capitale straniero nellĠindustria metalmeccanica del Mezzogiorno (1840-1904), Napoli, Giannini, 1968; Id.La rivoluzione industriale nel Mezzogiorno e in Italia, Roma, Laterza, 1974; per la storia del brigantaggio, Crocco, Carmine, Come divenni brigante, a cura di T. Pedio, Manduria, Lacaita, 1964; Molfese, Franco, Storia del brigantaggio dopo lĠUnitˆ, Milano, Feltrinelli, 1964; Pinto, Carmine, La guerra per il Mezzogiorno, Roma, Laterza, 2019; Pedio, Tommaso, Brigantaggio e questione meridionale, Bari, Laterza, 1978.

S        ono solo pochissimi titoli da consultare in una ricerca immensamente pi ampia: ho preferito consigliare testi anche un poĠ datati perchŽ meglio reperibili nelle biblioteche civiche e statali (quando non sul web).

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