Un ragazzo del ’99.

IL MAESTRO BIAGIO SCHETTINO

di Emanuele Labanchi

 

“E’ dolce ed onorevole morire per la patria” - Orazio -

“Li ho visti i ragazzi del ’99, andavano in prima linea cantando. Li ho visti tornare in esigua schiera, cantavano ancora!” - A. Diaz –

Erano i coscritti negli elenchi di leva, che nel 1917 compivano 18 anni e che, pertanto, potevano essere impiegati sul campo di battaglia. Furono precettati quando non avevano ancora compiuto 18 anni.

Tra questi tanti ragazzi c’era anche Biagio Schettino di Vincenzo, nato a Maratea il 25 giugno 1899, mio nonno materno, al quale sento di dover dedicare un ricordo nel centenario della prima guerra mondiale.

 Era tra i pochi che tornarono, cantando, mentre già lentamente si addensavano le nubi di un’altra guerra. In Trentino (Valle Lagarina) fu ferito e con il grado di Sergente partecipò alla presa di Trento. Ebbe la Croce di Guerra. Dopo il congedo fu Maestro elementare a Magnacavallo (Mantova), a Episcopia (Potenza), a Massa di Maratea ed infine a Maratea centro.

Ho avuto la fortuna di averlo come nonno e di poterne, in qualche modo, seguire i passi, i sentimenti e le emozioni sino alla sua morte nel settembre 1978.

 A me, ancora ragazzo, un po’ alla volta, leggeva e rileggeva, nel suo studiolo pieno di libri e di giornali in via Mandarini, la bozza delle sue “Memorie di un Maestro” e spesso avvertivo la sua commozione, che facevo anche mia, mentre scorrevano le pagine dense di ricordi legati ai primi anni ed alla fanciullezza, alla vita di studente, alla vita di militare e di combattente, alla vita scolastica e familiare, alla vita politica. Uomo buono, mite ed operoso, con la tempra del contadino era mio nonno, dedito alla famiglia ed a molteplici attività ed impegni, tra i quali quelli legati alla passione per la terra, l’agricoltura ed il sociale.

 Ricordo ancora la sua triste rabbia e poi, comunque, la sua comprensione allorquando a Castrocucco le ruspe, prepotenti, entrarono nel suo fondo, coltivato e con alberi carichi di frutti, per far posto e spazio alla PA.MA.FI.

 Lo rivedo, sorridente, sul palco delle Autorità, mentre, con Aldo Castaldo, entrambi scolaretti, recito, trepidante, la sua “Camicia rossa e scolaro” (Epopea garibaldina) ed ancora, felice, a distanza di anni ed ormai anziano, a Napoli per la mia Laurea alla “Federico II”. Custodiva gelosamente un quadernetto, nel quale egli, mentre la sua famiglia cresceva e si arricchiva di tanti nipoti, aveva annotato e man mano annotava anniversari, date di compleanno e di onomastico di ciascuno ed eccolo pronto, per ogni ricorrenza, con il suo sorriso bonario ed un piccolo dono.

 Ma il vero dono era la sua rassicurante presenza.

 Non mancava mai all’appuntamento ed arrivava, anche appesantito dagli anni, ripetendo fiero: “ Eccomi, glorioso e trionfante”.

 Forse la sua mente andava alla presa di Trento, al suo ritorno a casa ed alla sua giovinezza accanto ai tanti coetanei meno fortunati che, ciascuno “PRESENTE”, come è scolpito sulla pietra del Sacrario, riposano a Redipuglia o sul monte Grappa ed altrove nella terra intrisa del loro sangue.

 Era pur sempre un ragazzo del ’99.

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