Aveva sfiorato nella giovinezza la vita pregustandone i sapori con
quella stessa leggerezza con la quale i gabbiani per vivere sfiorano le acque.
Il vento della vita presto glieli disperse e ormai donna matura
stancamente trascinava la sua tristezza e il suo dolore tra l’indifferenza e la
cinica derisione dei tanti che solo sui più deboli sanno scaricare le
frustrazioni dei loro conflitti irrisolti.
Mi riferisco ad una donna semplice, sola,
di scarsissima cultura, che nel silenzio ha scritto la sua vita tra le nostre
contrade, andandosene, come tante, senza lasciare traccia del suo vissuto. E’
un personaggio assimilabile a quelli del naturalismo
francese Rosa Sarli (1912 - 1979) nata
benestante, divenuta orfana in
giovane età e tradita, poi, negli affetti familiari e nell’amore.
A Maratea la si ricorda come “A Machinetta”
lezzo col quale la si derideva perché per sopravvivere portava spesso con sè una piccola macchina fotografica chiedendo con discrezione
lo scatto di una foto che lei stessa sviluppava; io la ricordo poi, perché,
ragazzino delle medie, compravo da lei a cinque dieci lire l’uno francobolli
gelosamente raccolti dal padre: li cacciava lentamente, quasi con dolore, da un
portamonete di plastica e mi raccomandava sempre di custodirli con cura e
amore.
Brevi e fugaci i discorsi avuti con lei da adulto anche per il suo
carattere schivo e riservato: traspariva dal suo dire
l’immagine di una donna che aveva paura del mondo ma nello stesso tempo
fortemente innamorata dell’amore e in cerca di qualche considerazione che le
restituisse, al posto della derisione, un minimo di considerazione e di
dignità. Diceva: sarei disposta a
concedermi anche a qualcuno pur di avere la sensazione di poter costruire un
pezzo di vita e avere l’illusione di vivere.
Per dirla con Gibram era l’immagine della
solitudine e della malinconia che si
faceva lacrima nella patria dell’indifferenza.
Di media statura, tendente alla pinguedine, avvolta in vestiti per
lo più vivaci, la si vedeva percorrere mestamente le
vie di Maratea: portava dei grossi occhiali scuri per nascondere il suo disagio
e la sua paura verso una società che per lei era divenuta ostile e crudele.
Pur delusa dalla vita nascostamente custodiva in sé,
eccentricamente con i suoi capelli ricciuti e biondi e l’ostentata sigaretta
tra labbra sempre ravvivate dal rossetto, l’orgoglio di una giovinezza
rispettata e priva di disagi come quella rosa d’inverno, mirabilmente descritta
da Pier Luigi Balestri, poeta pisano, che prima di cadere al suolo falcidiata dal vento piovoso e gelido,
proteggeva ancora il suo seme con i suoi
petali stretti per trattenere quel minimo di calore dovuto ad
un sole troppo avaro… e poter… con queste ali leggere continuare… a sognare.
Raccomandava, poi, alle poche amiche delle quali si fidava di seppellirla nel loculo più alto, affinché anche la sua ultima dimora, non divenisse anche questa, luogo di lezzi e di derisione.
Grande atto di accusa, questo, anche per le nostre perbeniste
società di paese che progrediscono nella solitudine e nello squallore del loro
orgoglio e delle loro ambizioni, con occhi ciechi verso il disperato bisogno di
comunicazione dei tanti.
Sempre più, infatti, abituati ad ascoltare le sirene
dell’autoaffermazione, abusiamo, deridiamo i più deboli, compiaciuti, come dice
Tagore, che la nostra intelligenza ci renda capaci di
usare gli altri per il nostro desiderio di comando e di sentirci grandi proscrivendo, così, dal nostro mondo quella
corrente d’amore che piove dal cielo e sgorga dal seno della terra, facendo
delle nostre esistenze un deserto.
Atroci sofferenze fisiche condiscono gli ultimi giorni della sua
vita e nel dolore affida alle rare amiche e al cappellano ospedaliero
In un afoso giorno di fine agosto Rosa compie il suo ultimo viaggio tra gente stordita dal sole e distratta da numerosi turisti. Per gran parte di essi non è una vita travagliata che ha compiuto il suo ciclo ma semplicemente A Machinetta, un qual cosa di poco conto, una espressione anagrafica che va via.
Ma, ne sono
certo,
Lo Spirito dell’Universo
raccoglierà quei piccoli grumi di cenere
esiti di
incertezze, dolori e
sogni,
e li trasporterà nell’immensità cosmica
dando vita a nuove forme di comete...
e da lassù mi auguro che tu, Rosa, finalmente abbia la forza e il coraggio di farci vedere la tua luce.