Dal libro di Sergio De Nicola:

Maratea … parliamone ancora

Tacciono ora queste fontane

Tacciono ora le snelle e superstiti fontane inserite in improvvisi e piccoli slarghi che rompono, a sorpresa, il labirinto dei vicoli del centro storico di Maratea.

Non si ode più la musicalità del continuo fluire dell’acqua un tempo tema musicale di un vivere quotidiano che si indovina, tra la poesia di una architettura spontanea, nel colore vivo dei tanti gerani che si affacciano ai davanzali di balconi e finestre e nell’eco smorzato e soffuso di voci e canti che, dall’intimo delle case, si rincorrono e rimbalzano nella quiete, senza tempo, dei luoghi.

Non si incontrano più, come è anche giusto, le nostre donne che, nell’atto di attingere l’acqua, facevano reciprocamente proprie le gioie e gli affanni del giorno divenendo spesso, anche inconsapevolmente, divulgatrici di notizie e problemi dell’intera comunità.

Tacciono ora queste fontane, sopravvissuta alla bufera del tempo, e quando, a comando, risvegliano alla vita per dissetare il passante di turno, singhiozzano il loro dolore.

Singhiozzano per la frantumazione dei tanti ideali che hanno accompagnate la nostra cultura: rispetto della natura, del bello... del tempo.

Singhiozzano per l’affermarsi di un nuovo costume di vita poco attento a valori estetici ma precipitosamente amalgamato a quella logica materialistica del profitto individuale e immediate pronto a mercificare anche i sentimenti.

Tace l’antica fontana, perciò definita popolarmente Vecchia, che un tempo annunciava canti e preghiere aleggianti nel verde boscoso in località Cappuccini e l’allegro gorgoglio dei tanti ruscelli, ora scomparsi, quasi in perenne preghiera intorno alla cappellina mariana di Lourdes.

Offesa da ristrutturazioni profane, vive oggi la sua inutile vita assediata da asfalto cemento e non più raccoglie le umane confidenze ma solo gas e ruggiti, parti dell’odierna civiltà.

Né più si incontra ai margini di un meraviglioso e verde percorso l’agreste fontana in località Fontanelle prospiciente all’omonima sorgente.

Un tempo festosi la si raggiungeva per acquietare la sete, dopo aver vagato, con spirito di osservazione e ricerca tra le balze e le rocce che le facevano corona e le sfumature dei tanti colori che il particolare ecosistema offriva né vi si può osservare più il rincorrersi di belanti capretta che rissose e festose correvano a dissetarsi alla sua limpida acqua.

Ora imprigionata a costretta in una nicchia di cemento, anemizzata nel suo fluire e nascosta nella scarpata di una moderna strada rotabile, emette un gracile e costante lamento nel ricordo di una vitalità e bellezza volgarmente stuprata da un poco intelligente concetto di progresso e utilità.

Né si odono più le note dettate dal fluire dell’acqua delle tante cannelle del complesso monumentale di Sorgimpiano, nel cuore dalla valle di Maratea, né la limpida acqua che vi sgorgava si raccoglie più nel complesso di vasche, oggi colme di rifiuti, le cui pietre levigate testimoniano sacrifici e antiche fatiche di intere generazioni di donne ivi giunte, spesso dopo lunghi percorsi, per sciorinare gelosamente sudati corredi.

Da essa, per dirla col Pascoli, non tituba e scroscia più quell’acqua impaziente ad alimentare, nell’incanto di un verde spontaneo, rivi procellosi e irrequieti, oggi coperti ovvero fogne, contenti a donare energia ai tanti muli­ni che si opponevano al loro percorso.

Rimangono alti dei platani secolari, miracolosamente salvati, qualche anno fa, dalla rivolta spontanea degli abitan­ti del luogo ad un tentativo di taglio, che soli, con la loro ombra sembrano avere pietà di quanto rimane e che custodiscono gelosi, ancora oggi, sentimenti di tante fanciulle che alle ninfe di virgiliana memoria e al fluire dell’acqua hanno affidato, negli anni, sogni e delusioni nascoste.

Queste realizzazioni, come tante altre, frutto del lavoro e del particolare gusto estetico dei nostri antenati, eleganti nella loro estrema semplicità, meritavano, in una logica sapiente ed organica di sviluppo del territorio di essere gelosamente conservate.

Una illuminata classe dirigente avrebbe dovuto restituirle, vivificando così i vari percorsi turistici, alla fruizione dei tanti visitatori, che amanti della natura, visitano i nostri luoghi.

Ciò non è avvenuto perché, come si deduce anche da un pregevole scritto di G. C. Marchesini le varie figure socia­li, venute a Maratea si sono fecondamene incontrate... con l’amministratore rampante, il geometra efficiente dando vita ad un pulviscolo diffuso di traffici e commerci, iniziative e costruzioni  in una logica di profitto.

All’altare appunto di una logica di profitto, non di prospettiva ma immediato, che rientra nella concettualità di una colonizzazione ari­stocratica dei luoghi e delle coscienze, continuano a venire sacrificati, ormai da decenni, tante testimonianze del nostro passato e del nostro vissuto.

 

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