Tacciono ora le snelle e superstiti fontane
inserite in improvvisi e piccoli slarghi che rompono, a sorpresa, il labirinto
dei vicoli del centro storico di Maratea.
Non si ode più la musicalità del continuo fluire
dell’acqua un tempo tema musicale di un vivere quotidiano che si indovina, tra la poesia di una architettura spontanea,
nel colore vivo dei tanti gerani che si affacciano ai davanzali di balconi e
finestre e nell’eco smorzato e soffuso di voci e canti che, dall’intimo delle
case, si rincorrono e rimbalzano nella quiete, senza tempo, dei luoghi.
Non si incontrano più,
come è anche giusto, le nostre donne che, nell’atto di attingere l’acqua,
facevano reciprocamente proprie le gioie e gli affanni del giorno divenendo
spesso, anche inconsapevolmente, divulgatrici di notizie e problemi dell’intera
comunità.
Tacciono ora queste fontane, sopravvissuta alla
bufera del tempo, e quando, a comando, risvegliano alla vita per dissetare il
passante di turno, singhiozzano il loro dolore.
Singhiozzano per la frantumazione dei tanti ideali
che hanno accompagnate la nostra cultura: rispetto
della natura, del bello... del tempo.
Singhiozzano per l’affermarsi di un nuovo costume di
vita poco attento a valori estetici ma precipitosamente amalgamato a quella
logica materialistica del profitto individuale e immediate
pronto a mercificare anche i sentimenti.
Tace l’antica fontana, perciò definita popolarmente
Vecchia, che un tempo annunciava
canti e preghiere aleggianti nel verde boscoso in località Cappuccini e
l’allegro gorgoglio dei tanti ruscelli, ora scomparsi, quasi in perenne
preghiera intorno alla cappellina mariana di Lourdes.
Offesa da ristrutturazioni profane, vive oggi la sua
inutile vita assediata da asfalto cemento e non più
raccoglie le umane confidenze ma solo gas e ruggiti, parti dell’odierna
civiltà.
Né più si incontra ai
margini di un meraviglioso e verde percorso l’agreste fontana in località Fontanelle prospiciente all’omonima
sorgente.
Un tempo festosi la si raggiungeva per acquietare la sete, dopo aver vagato, con
spirito di osservazione e ricerca tra le balze e le rocce che le facevano
corona e le sfumature dei tanti colori che il particolare ecosistema offriva né
vi si può osservare più il rincorrersi di belanti capretta che rissose e
festose correvano a dissetarsi alla sua limpida acqua.
Ora imprigionata a costretta in una nicchia di
cemento, anemizzata nel suo fluire e nascosta nella scarpata di una moderna
strada rotabile, emette un gracile e costante lamento nel ricordo di una
vitalità e bellezza volgarmente stuprata da un poco intelligente concetto di
progresso e utilità.
Né si odono più le note dettate dal fluire
dell’acqua delle tante cannelle del complesso monumentale di Sorgimpiano, nel cuore dalla valle di Maratea, né la
limpida acqua che vi sgorgava si raccoglie più nel complesso di vasche, oggi colme di rifiuti, le cui pietre levigate testimoniano
sacrifici e antiche fatiche di intere generazioni di donne ivi giunte, spesso
dopo lunghi percorsi, per sciorinare gelosamente sudati corredi.
Da essa, per dirla col Pascoli, non tituba e scroscia più quell’acqua
impaziente ad alimentare, nell’incanto di un verde spontaneo, rivi procellosi e
irrequieti, oggi coperti ovvero fogne, contenti a
donare energia ai tanti mulini che si opponevano al loro percorso.
Rimangono alti dei platani secolari,
miracolosamente salvati, qualche anno fa, dalla rivolta spontanea degli abitanti
del luogo ad un tentativo di taglio, che soli, con la
loro ombra sembrano avere pietà di quanto rimane e che custodiscono gelosi,
ancora oggi, sentimenti di tante fanciulle che alle ninfe di virgiliana memoria
e al fluire dell’acqua hanno affidato, negli anni, sogni e delusioni nascoste.
Queste realizzazioni, come tante altre, frutto del
lavoro e del particolare gusto estetico dei nostri antenati, eleganti nella
loro estrema semplicità, meritavano, in una logica sapiente ed
organica di sviluppo del territorio di essere gelosamente conservate.
Una
illuminata classe dirigente avrebbe dovuto restituirle, vivificando
così i vari percorsi turistici, alla fruizione dei tanti visitatori, che amanti
della natura, visitano i nostri luoghi.
Ciò non è avvenuto perché, come si deduce anche da un pregevole scritto di G. C. Marchesini le
varie figure sociali, venute a Maratea si
sono fecondamene incontrate... con l’amministratore rampante, il geometra
efficiente dando vita ad un pulviscolo diffuso di traffici e commerci,
iniziative e costruzioni in una
logica di profitto.
All’altare appunto di una logica di profitto, non
di prospettiva ma immediato, che rientra nella concettualità
di una colonizzazione aristocratica
dei luoghi e delle coscienze, continuano a venire
sacrificati, ormai da decenni, tante testimonianze del nostro passato e del
nostro vissuto.