Dal libro di Sergio De
Nicola:
Maratea … parliamone ancora
Vincenzo Dino Patroni
poliedrico artista del divenire
Ho incontrato di
recente Vincenzo Dino Patroni docente di plastica ornamentale presso
l’accademia di belle arti di Frosinone.
Mi sono trovato, senza
dubbio, di fronte ad un artista poliedrico essendogli estremamente
congeniale esprimersi sia nelle varie tecniche pittoriche, da quelle a olio,
acrilica a tempera ecc., sia nelle varie creazioni scultoree, da quella in
terracotta, alla maiolica, graffite fino ai bassorilievi e alla medaglistica.
Tale versatilità non
stupisce se si considera che Vincenzo Dino Patroni, nato a Salerno nel 1947 e
marateota di adozione, sin dalla giovinezza è stato educato
ad una raffinata sensibilità artistica essendo stato il padre e i suoi avi,
dalla seconda metà dell’ottocento, insigni scultori.
Importante, mi dice, è capire la materia, conoscerla, amarla,
avere con essa confidenza sino a creare un’osmosi vera e propria tra il
pensiero che ti induce a lavorarla e plasmarla fino a
che la stessa non si trasformi in spirito.
Lo stesso vale per i
colori, che di per sé già la natura ci ha donato, ma che ogni vero artista,
secondo il suo mondo interiore sceglie ed accosta,
esprimendo concetti universali con semplicità segnica e cromatica.
Osservo con avida
curiosità le molte sue opere che ne ornano l’abitazione, me ne spiega le caratteristiche e lo spirito con le quali le ha
create con un amore che testimonia una profonda fede nell’arte e nella sua
funzione sociale come mezzo di educazione al bello, alla vita e alla storia.
Ne deduco che ottimo è
il suo rapporto con la natura di cui, mi dice, si sente parte integrante.
Me ne convinco
osservando le sue creazioni pittoriche dove natura e storia dell’uomo che convivono
in un solo palpito diventano pensiero,
immaginazione, riflessione, racconto.
Patroni poi si rivela
conoscitore dell’uomo e della sua storia, quando si accinge a realizzare su
medaglia profili di uomini e santi che hanno scritto la storia dell’uomo e della fede.
In esse non traspare
freddamente il ritratto somatico del personaggio ma la stratigrafia della
sua anima e del suo pensiero in rapporto ai valori della società e dell’epoca
in cui è vissuto.
Carlo Pisacane, il
martire risorgimentale, per citare la sua ultima creazione, appare vivo in
tutta la sua passionalità meridionale e drammatica vicenda storica e non come
un freddo e burocratico uomo d’ordine piemontese.
Il Patroni, con la sua
arte, coglie, così, a pieno, il concetto di William Till
secondo il quale in assenza di iscrizioni e monumenti
le medaglie basterebbero da sole a tramandare ai posteri le memorie del
passato.
La bellezza, mi dice,
come l’arte, è una dimensione metafisica e un fatto soggettivo ma anche
autenticità espressiva, priva di ogni forma di esasperazione stilistica; la
cultura e la sensibilità che l’arte trasmette e stimola contribuisce, quindi,
attimo per attimo, a creare una società più civile e
migliore.
Nel rispetto di questa
sua filosofia, Vincenzo Dino Patroni avverte quando l’opera che si è accinto a
creare può essere affidata al
fruitore il quale, visualizzandola, completerà l’immagine che gli
è stata offerta completando, secondo la sua sensibilità, il pensiero originario
dell’autore.
Ecco perché V.D. Patroni non considera mai finita una sua opera: essa
continuerà a vivere ed essere riplasmata dalla sensibilità dell’osservatore,
continuerà ad essere letta e a suscitare sempre nuovi stimoli e nuove
sensazioni e quindi ad educare al bello e alla conoscenza.
Mentre dalla sua
abitazione osservo il sole che cala al di là delle
mitiche acque del golfo, V.D. Patroni continua con entusiasmo immutato a
parlare di arte, della sua funzione sociale, dei suoi progetti.
Confesso che non ho
avvertito la sensazione delle ore che passavano, anzi mi sono sentito come uno
dei suoi tanti allievi dell’accademia con i quali, mi dice,
di avere un rapporto fraterno e costruttivo e che per lui sono continua fonte
di rinnovata giovinezza.
Da “La Gazzetta del Mezzogiorno” Giugno 2002