Biagio
Passeri
il medico della carità
Impersonavi
nella mia fantasia di bambino uno dei tanti personaggi di
Andersen quando, sfidando i disagi
invernali, come mi raccontava la vecchia nonna, giungevi attraverso
stradine sconnesse e fangose, con il
tuo sorriso e la tua disponibilità, al capezzale di chi ansioso, nella
sofferenza, ti attendeva.
Ero
affascinato perciò dalla tua figura quando, mano nella mano,
mio padre mi conduceva di frequente al cimitero.
Lo costringevo a fermarsi a lungo davanti alla tua tomba e la mia
immaginazione volava sospinta dal soffio reale e nascosto degli alti cipressi.
La tua foto, con quei lineamenti resi più austeri dalla divisa militare,
generava nella mia fantasia ammirazione e timore; ti vedevo in tutta la dignità
della professione medica condotta sempre, così come tutti mi raccontavano, nel
più sacro rispetto della persona e della sofferenza.
Mi riferisco al dottor Biagio Passeri, nato a Maratea il 16 gennaio 1858,
e laureatosi in Medicina presso l’Università di Napoli dopo aver compiuto gli
studi classici. Durante i corsi universitari, come lui stesso amava ricordare,
frequentava nel tempo libero le lezioni di Settembrini, Bovio, Spaventa,
conformandosi così a quello spirito culturale nuovo, idoneo a cementare la giovane unità nazionale.
Per questo motivo Biagio Passeri uscì dalle aule universitarie e dalle cliniche colmo
non solo di nozioni mediche, ma anche
con una profonda preparazione letteraria e artistica alla quale attese, poi,
per tutta la vita.
Fu un’anima sensibile, facile all’entusiasmo per ogni atto di generosità,
per ogni luce di pensiero e per ogni forma di bellezza,
amava la musica che definiva un dono celeste concesso agli uomini perché più potessero
amare la vita e indugiava incantato di fronte al miracolo dei colori che gli
offrivano i fiori o all’ascolto dei ruscelli
che, all’epoca, limpidi e briosi, solcavano la valle di Maratea.
Non solo fu un
medico valoroso e pari al suo valore
fu la sua modestia, la sua generosità, la sua dedizione verso gli infermi, in
particolare verso quelli più poveri e
bisognosi di cure e di sostegno morale.
Più volte, fino al 1918, fu costretto a lasciare
Maratea, per prestare la sua opera di medico nei servizi
sanitari dell’esercito.
Fu tenente fra gli alpini nel 1901 e durante la prima
guerra mondiale prestò servizio prima in vari ospedali campani e pugliesi e poi
al fronte venendo promosso maggiore per meriti di
guerra il 7 novembre 1918.
La stima
intanto che con la sua personalità di professionista e di padre riuscì a
coagulare intorno alla sua persona lo portarono
presto, quasi plebiscitariamente, a ricoprire prima la carica di assessore,
sindaco e presidente della locale congrega di carità, che erano all’epoca le
cariche più prestigiose di cui si poteva essere investiti in un piccolo comune,
e poi a prestare la sua opera, a quei tempi considerata particolarmente delicata, tra le convittrici del Reale
Istituto De Pino Matrone Iannini.
Si deve al
dottore Passeri la rinascita, nel 1906, del locale ospedale civile.
Ad
essa dedicò tutte le sue energie: ne compilò lo statuto, rinnovò i locali, vi
installò una camera operatoria ed, esauritosi il lascito del benefattore cav.
Lorenzo Latronico, completò i lavori di ristrutturazione a proprie spese
considerando il compimento di tale opera un monumento alla carità.
Vedete - diceva - l’alta bandiera dell’umanità ove è scritta a
caratteri d’oro: carità.
Il dr. Passeri usa questo termine e non
filantropia o altro, non a caso: carità
è il termine più consono al suo carattere, alla sua
religiosità, al suo modo di comportarsi.
Al
capezzale del malato, scrive il suo amico sacerdote P. Calà Ulloa, portava la grandezza del suo cuore, un
desiderio di bene senza confini, la passione del sacrificio, l’amore che era
luce e forza della sua scienza.
Biagio
Passeri amava trascorrere il tempo libero in campagna dove, da intenditore, si
dedicava alla cura del vigneto, delle piante, alla lettura e all’incontro
conviviale con gli amici, esibendosi spesso, tra il susseguirsi di brindisi,
alla declamazione di poesie o al racconto di aneddoti.
Il 2
agosto 1933 Maratea tutta si strinse attorno alla sua persona per festeggiare
il cinquantesimo anno del suo esercizio professionale e per gridargli il suo
affetto, la sua stima, la sua riconoscenza.
La notte
seguente, nello stesso popolo, serpeggiò l’amarezza e la tristezza
nell’apprendere che il suo medico era stato colpito da ictus celebrale. Morì, senza più riprendersi, il 22 dicembre 1933.
Morì da forte cristiano, scrisse Don
Emanuele Labanchi, riportando nelle regioni ov’è
silenzio e tenebre la incessante lotta della vita terrena, il rimpianto sincero
di Maratea, l’inconsolabile dolore della sua famiglia, la memoria riconoscente
dei suoi beneficati.
Della tua
figura, dottor Passeri, quasi nessuno in questo tuo paese, schiacciato da una
cultura d’importazione e mercenaria, serba il ricordo.
Per me è
un dovere di riconoscenza, d’identità storico-culturale e di dignità.
Da “Il
Sirino“ Agosto 2002