Dal libro di Sergio De Nicola:
Maratea … parliamone ancora

Un cantore del Vulture

Pasquale Epifanio Iannini

 

Fu un primo giorno radioso di aprile, quello del 1906, scrive Luigi Servolini, a schiudere a Pasquale Epifanio Iannini la prima visione solare del mondo, in quel clima di inconfondibile primavera mediterranea che è proprio di Maratea e che doveva per sempre inebriarlo con la fragranza dei fiori e la luce abbagliante del paesaggio. Visione solare del mondo che gli permise di mettere, scrive A. Guzzo, al servizio della poesia la sua anima fervente di uomo eter­namente innamorato della vita e della fascinosa terra lucana.

Ed è con anima giovanilmente inquieta e pensosa come scrive­rà il celebre autore del Piave E.A. Mario, che nel 1932 Pasquale E. Iannini giungerà come gerente postale in località Sgarroni di Monticchhio, dove al cospetto di una natura solenne ed incontaminata scaturirà parte della sua produzione poetica giovanile la cui spontaneità e fluidità, come ri­leverà Corrado Alvaro, ha una grazia che attesta una grande fede nell’arte.

Nella terra lucana di Monticchio, Pasquale Epifanio Iannini canterà la regione del Vulture e la sua gente, in versi, in musica e con innumerevoli scritti, specialmente su Il Popolo di Roma, descriverà la laboriosità della gente del luogo e profeticamente ne indicherà la grande valenza turistica.

Non a caso il primo volume di poesie: Canti del Vulture, edito nel 1937 si apre con un possente inno al Vulture.

Alla robusta visione del Vulture, quasi in un liquefarsi di sensazioni e di sentimenti, il Poeta scopre quella serena dolcezza e languore interiore che di fronte al piccolo lago di Monticchio gli ispireranno tanti versi.

Nell’incontaminato incanto della natura, tra le bianche ville, ... accanto a fieni torreggianti, tra i duri passi e le apriche balze P.E. Iannini scopre e canta il pullulare laborioso di tante attività contadine: la mietitura, la coltivazione del tabacco, la vendemmia, allietate dal canto di prosperose fanciulle inebriate da quell’aglianico ... Forte e aromatico dei Vini il guappo, sempre pronto a rinsaldare i petti in quel rapporto solidale cementato dalla quotidiana lotta per vivere.

Io rivivo, scriverà su Il Popolo di Roma il 20.07.1939, in questi giorni della piena trebbiatura di Monticchio le ore più belle della limpida gioia. Mi avanzo spesso accanto agli alti cumuli del prezioso alimento, accarezzo e ba­cio le spighe indorate dal sole, ... mentre ammiro chi sta in alto sulle bighe, armato di forche per satollare l’insaziabile corpo del rutilante carro,chi il grado guida all’insaccamento, chi trasporta, chi forma i fienili, chi controlla, chi pesa... “tutti uniti nel lavoro” in un’armonia di muscoli di cuori e gioia.

Molto spazio occorrerebbe per raccontare sulla produzione letteraria monticchiana di P.E. Iannini: vogliamo qui solo riproporre alcuni versi, tratti dalla lirica: Quadretti monticchiani che nella loro semplicità descrivono, come in una pennellata, sereni ed idilliaci aspetti della vita conta­dina e agreste del tempo:

Sull’erbetta coperta di brina

gira e becca una grigia gallina,

sta sull’uscio la bruna sartina,

bianche tele, più terso l’amor.

Una fonte canticchia perenne

la canzone del nulla e lavora,

la disturba una limpida mora

i suoi panni curvata a lavar.

 

Alla fine degli anni trenta Pasquale Epifanio Iannini lascia Monticchio che continuerà a cantare insieme alla sua Maratea per le vie del mondo.

A dieci anni dalla sua morte vogliamo ricordarlo in quella terra del Vulture che raccolse i suoi primi palpiti poetici, e che portò sempre nel cuore e dove non ri­tornò mai più.

Ci piace concludere, perciò, con lo scritto apparso sul Mattino il 30.01.1959 dove nella speran­za di rivederlo ancora a Monticchio, l’ing. Catenacci, illustre figlio del luogo, così si esprimeva: Questo è il saluto e l’augurio che ti vengono dalla terra del Vulture, dove belle fanciulle cantano ancora i tuoi stornelli intrisi di sole, in specie fra questi gli opini Campi di Monticchio Sgarroni e di Monticchio Bagni, da dove venti anni fa partisti e non facesti più ritorno.

Da “La Parola”Novembre 1998

 

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