Il milione
di
Aldo Fiorenzano
Uno dei motivi per cui amo il
mio paese è che, essendo come un posto di frontiera, vi transitano tutte
le categorie di persone, dalle più normali alle più strane.
Un giorno passò Paolo,
un bel ragazzo romano con barbetta e capelli biondini, volutamente un po'
trasandati, dotato di buona comunicatività si mise subito a parlare con
noi giovani marinai che allora praticavamo la pesca del tonno e del pescespada
con una piccola barchetta presa in prestito da una pescheria di Praia a Mare
alla quale eravamo poi vincolati a vendere il pesce pescato.
Subito ci fece capire che gli
sarebbe piaciuto tantissimo venire un giorno a pesca con noi e Matteo, il
capopesca, gli disse subito che non si trattava di uno scherzo perché si
usciva il primo pomeriggio, si andava molto a largo e si ritornava dalla pesca
la tarda mattinata del giorno dopo, soltanto dopo aver tolto dal mare tutte le
coffe.
Pescavamo i tonni e i
pescespada con le coffe, un filo di doppio nylon lungo una decina di chilometri
sul quale, ad una distanza di una ventina di metri ciascuna venivano legati dei
braccioli con dei grandi ami ai quali veniva innescato un grosso pesce chiamato
lacerto. Per mantenere a galla le coffe, trattandosi di un tipo di pesca di
superficie legavamo sopra ogni bracciolo una bottiglia di plastica e ogni dieci
bottiglie mettevamo un bidone più grande per farci aiutare a tirare dal
fondo i tonni che abboccavano. Mentre i pescespada, pur pesando qualche volta
anche 80 o 90 chili non toccavano mai il fondo, i tonni raggiungevano sempre il
fondo del mare e morivano spesso affogati con la testa conficcata nel fango.
Bisognava quindi tirarli in superficie da una profondità di cinque o
seicento metri.
Nonostante l’ammonimento
Paolo volle ugualmente venire ad affrontare tutti i disagi della pesca
d’altura ma a godersi anche il fascino che indubbiamente suscitava.
Partimmo verso le tre del
pomeriggio, eravamo in cinque, Paolo compreso ed io iniziai subito le fasi di
scongelamento dell’esca. Paolo non si perse nemmeno una virgola di quello
che facevo e con molta discrezione mi chiedeva spesso spiegazioni su come si
sarebbe svolta
Tutto filò in modo
monotono e deludente fino a quando non chiedemmo a Paolo se vedesse il
galleggiante successivo visto che il recupero del filo cominciava ad essere
più difficoltoso perché veniva dal fondo anziché dalla
superficie. Ci rendemmo subito conto di avere nella lenza un pesce grande
quando emerse un galleggiante tutto deformato, segno che era stato trascinato
in alta profondità e a quel punto scattarono le misure di allerta: non
sapevamo ancora se il pesce fosse vivo o morto quindi sia io che Matteo ci
mettemmo a tirare il filo con molta accortezza mentre Pinuccio lo raccoglieva
diligentemente dentro un grosso recipiente. Spesso bisognava mollare
velocemente filo e ami dietro al pesce che tirava ad una velocità
impressionante. Dopo un po' ci accorgemmo che il pesce pur essendo molto grande
perché molto pesante non combatteva quindi era morto. Bisognava solo
tirarlo dal fondo del mare. Un’ora dopo emerse un tonno che superava i
tre quintali di peso, lo agganciamo con l’arpione e, con il paranco, lo
issiamo a bordo . Paolo lo cavalcò a mo’ di cavallo e cantò
a squarciagola una stonatissima canzone.
Breve
commento, sigaretta in bocca e
si ricominciò a
tirare le coffe; passarono lisci una ventina di ami con ancora innescate le lacerte
morsicate dai totani quando ad un certo punto si videro tre bottiglie di
candeggina ACE molto vicine tra loro. Buon segno: qualche pesce era abboccato.
Infatti arriviamo vicini e le tre bottiglie incominciarono a correre verso il
largo. Con molta attenzione recuperammo un fascio di filo tutto imbrogliato, lo
tagliammo dal resto della coffa e ne legammo velocemente i capi. Dopo un po'
saltò davanti alla barca un bel pescespada che tentava in tutti i modi
di sganciarsi dalla coffa e finiva invece per impigliarsi sempre di più.
Dopo breve lotta venne arpionato dal sottoscritto e recuperato a bordo, pesava
una quarantina di chili. Paolo sembrava appena uscito da un libro di Ernest
Hemingway, guardava incredulo quei due pesci enormi e rideva. Il tempo di
tirare altri pochi ami e recuperammo uno squalo di una trentina di chili. Anche
gli squali avevano un valore, le pescherie ce li pagavano allo stesso prezzo
col quale ci vendevano l’esca. Era importante quindi pescarne almeno lo
stesso peso dell’esca, ciò avrebbe reso netto il ricavo della
vendita dei tonni e dei pescespada. Dopo lo squalo, un pescespada e poi un
altro, infine altri due squaletti. La barca era piena di grossi pesci e mentre
rientravamo a terra io, che ero anche il chirurgo di bordo, dovevo togliere le
budella e le branchie ai pesci perché le pescherie li comperavano
puliti. Dovevo però conservare le trippe dei pescespada e il cuore dei
tonni poiché erano delle squisitezze da regalare ai pescivendoli.
Grande turbamento
suscitò quella pescata a Paolo che cominciò a pensare di aver
trovato la propria dimensione di vita. Dalla pensione dove abitava passò
in una casetta in fitto vicino al Porto. Veniva ormai sempre a pescare con noi
e portava da mangiare e da bere per tutto l’equipaggio. Frequentandoci si
meritò subito un appropriato soprannome: un vecchio marinaio notò
una sua certa somiglianza con la statua del Cuore di Gesù che era nella
nostra Chiesetta di Santa
Intanto la barca con la quale
andavamo a pesca mostrava segni evidenti di vecchiaia, il motore fumava a
dismisura e l’acqua in sentina era sempre di più e sempre
più nera, segno che il motore perdeva olio. Aggiustavamo una cosa e se
ne guastava un’altra. Un giorno siamo dovuti tornare indietro dalla pesca
perché si è rotto un tappo delle testate del motore, era
fuoruscita l’acqua del raffreddamento e il motore si è
surriscaldato bloccandosi del tutto. Addio pesca e addio guadagno, la stagione
di pesca era ormai compromessa. Paolo aveva seguito in silenzio le ultime
vicende, aveva ascoltato rammaricato le imprecazioni e le bestemmie di Matteo
che disperato meditava cosa fare, non vedendo all’orizzonte nessuna
soluzione al problema. La sera stessa ci incontrammo sconsolati al bar per
affogare nella birra le nostre delusioni, c’era anche Paolo che ad un
certo punto disse di volerci parlare perché credeva di avere lui una
soluzione. Ci sedemmo ad un tavolo appartato io lui Matteo e Pasquale, fratello
di quest’ultimo. Esordì dicendoci che era quasi scappato da Roma
in quanto viveva una situazione insostenibile: lui, di indole anarchica, si
trovava a convivere con una ricca donna una quarantina di anni più
vecchia di lui e avendo raggiunto uno stato di saturazione, aveva deciso di
andare via senza soldi ma anche senza grossi problemi. Adesso la situazione era
cambiata e ci disse che lui era disposto, se noi eravamo d’accordo, a telefonare
alla sua amica, fare la pace, e chiedergli i soldi per acquistare una nuova
barca da pesca.
Un po' increduli e un po'
fiduciosi dicemmo che era troppo bello trovare i soldi per l’acquisto di
una nuova barca. Pasquale disse di aver sentito dire ad un siciliano che a
Crotone si vendevano delle barche da pesca ed alcune erano in ottimo stato e
non costavano molto perché fatte, anni prima, con il fondo perduto dello
Stato. Paolo disse che ci avrebbe fatto sapere e fu così che la mattina
dopo chiamò Matteo dicendogli che potevamo andare a Crotone a comperare
una nuova barca a nome suo. Lui sarebbe partito per Roma a prendere i soldi che
la sua amica gli aveva promesso di dare. Una settimana dopo eravamo già
in partenza da Crotone con una bellissima barca chiamata Il Milione. Ricordo che accanto alla bussola Paolo teneva un libro
di W. Reick ”La rivoluzione
sessuale”, libro che lessi e che mi restò dentro.
Pescammo due o tre anni con
la barca di Paolo dividendo con lui spese e guadagni, poi un giorno
partì dicendoci che aveva bisogno di nuovi stimoli. Di lui non abbiamo
saputo più nulla.
Al Porto transitano di queste
meteore.