di Aldo Fiorenzano
Erano
gli anni ‘70 ed al Porto, in una delle case più belle, venne ad
abitare un noto Architetto di Firenze. Girava voce che avesse fatto la stazione
di Firenze, il piano regolatore di Stoccolma ed altre importanti opere. Era un
uomo anziano, molto alto dal fisico un poco cadente dovuto al fatto che prima era
Io
ebbi modo di conoscerlo personalmente quando giunse al Porto la sua nuova barca
che si era fatto costruire da un cantiere navale di Castellabate,
Un
giorno mi chiese se sapessi andare a vela ed io gli risposi subito di si,
mentii ma avevo bisogno di lavorare come marinaio e lui era un buon armatore,
essendo ricco. Io ero andato a vela solo con una piccola barchetta che usava a
mò di vela un lenzuolo bianco issato su un piccolo albero al centro
della barca. Nonostante ciò avevo scuffiato un paio di volte, mi ero
cioè rovesciato con la barchetta ed ero stato trainato sulla spiaggia
con la barca ancora capovolta. Il mio curriculum quindi come skipper era
impresentabile.
Essendosi
subito accorto che sia le mie che le sue cognizioni sulla navigazione a vela
erano alquanto scarse, fece venire da Salerno un maestro con l’incarico
di insegnarmi sia la teoria che la pratica velica. Appena arrivato, fece la
visita alla barca e ci disse che bisognava comperare subito un anemometro; io, non sapendo cosa fosse,
annuii e guardai l’architetto il quale pensoso disse al Maestro:” Guardi che il mio ano non l’ha
misurato mai nessuno”. Lo disse in un fiorentino così
simpatico che ci fece fare una sonora risata. L’istruttore ci disse che
era un’elichetta da montare in cima all’albero che segnava sia la
direzione che la velocità del vento.
A
parte la particolare terminologia che imparai in seguito, capii subito come
prendere il vento e fare scivolare sul mare
L’anno
successivo infatti ero già al comando della barca avendo preso la
patente nautica che me ne dava titolo.
Mimma
Mondadori, quella della casa editrice e futura seconda moglie
dell’Architetto e Giorgio Bassani lo scrittore, spesso mi guardavano
sott’occhio e notavano puntigliosamente gli errori che commettevo durante
la conversazione o durante il consumo del pasto a bordo. In genere il marinaio
su una barca da diporto serve il pranzo all’armatore e agli ospiti e solo
quando questi hanno finito può consumare il suo. L’Architetto
volle sempre che io pranzassi insieme a tutti i commensali e che partecipassi
alla conversazione in modo che potessi esprimere anche il mio parere su
qualsiasi argomento si stesse trattando.
Quando
stava bene in salute - soffriva spesso di dolori allo stomaco dovuti ad un
ulcera gastrica che si era cronicizzata - era una persona molto simpatica e
raccontava delle storie veramente carine, a volte un poco colorite e sempre
maliziose. Raccontò una volta che all’inizio della sua carriera
ebbe l’incarico di progettare una villa a Capri. Il committente era un
certo sig. Foglioni e lui, avendo problemi nel ricordare i nomi dei suoi
clienti che per sua fortuna erano tanti, subito pensò: ecco un cognome che non dimenticherò
mai, essendo chiara una certa allusione.
Passò
del tempo e lui ritornò a Capri per proseguire il lavoro di costruzione
della villa ed appena vide il cliente, allungò la mano e disse: Buon giorno signor festicoli.
La
sua presenza a Maratea era dovuta al fatto che il Conte Rivetti, un industriale
piemontese, l’aveva chiamato per la progettazione del Santavenere, un
albergo di prima categoria e per il restauro della torre che il Conte aveva
scelto come sua dimora. Avendo ambedue un carattere molto deciso ben presto finirono
per litigare, in modo così profondo da non riuscire più a
rappacificarsi.
Anche
il Conte aveva una barca:
Un
giorno gli dissi che il Conte aveva fatto costruire una nuova piscina davanti
all’albergo che prendeva l’acqua direttamente dal mare; lo dissi
sapendo che l’architetto l’avrebbe presa come una provocazione ed
infatti subito replicò, innanzi a degli illustri ospiti, che in
confronto alla sua piscina che aveva nella sua dimora a Fiesole quella del Conte
era: un piscio di gatto.
Spesso,
quando gli ospiti andavano a fare il bagno lui si fermava a bordo a conversare
con me. Erano dei momenti molto piacevoli perché mi raccontava episodi
della sua vita sempre molto interessanti e non solamente i successi, ma anche
le sconfitte che immancabilmente si verificano durante la vita di una persona.
Mi fece capire che anche le persone di successo vivevano momenti di solitudine
e di infelicità. Io invece pensavo allora che i ricchi, col denaro
potessero essere sempre contenti perché avevano la possibilità di
non farsi mancare mai niente. Mi disse un giorno che un episodio l’aveva
emozionato e lusingato nello stesso tempo: fu il suo primo incontro che ebbe
con Mussolini. Era stato chiamato dal Duce per discutere su un impianto
telefonico da fare al Sud. Impianto che poi realizzò ottenendo il plauso
dal Duce in persona.
Io
ero incaricato di comperare il pesce fresco direttamente dalla paranza e lui si
raccomandava con me, dicendomi che non mi dovevo preoccupare se il prezzo era
alto ma solo della freschezza del pesce. Gli comperavo delle triglie grandi e
freschissime ma avevo timore nel dirgli il prezzo, tanto lo vedevo esagerato e
gli chiarivo che non percepivo nessuna tangente
nell’operazione, anche se questo termine è diventato famoso
successivamente.
Un
giorno venne a bordo più triste del solito e mi disse che meditava di
vendersi tutto e andarsene dal Porto. Gli chiesi quale fosse il motivo di tale
risentimento e lui rispose che già un paio di volte aveva detto a
Rosolia, la sua cuoca, di togliere le teste alle triglie prima di servirle a
tavola perché quell’occhio bianco e rinsecchito dal calore gli
faceva perdere quel poco di appetito che aveva. Rosolia non rispondeva e la
volta successiva riproponeva le triglie a tavola sempre con le teste. Quella
sera l’Architetto si era incavolato ed aveva sgridato Rosolia
perché per l’ennesima volta non aveva ubbidito. Rosolia rispose,
alzando la voce ancora più di lui, che non poteva buttare le teste delle
triglie perché erano la parte migliore del pesce e nel contempo aveva
preso una triglia con le mani, ne aveva staccato la testa con decisione e se
l’era infilata in bocca masticandola in faccia all’architetto
insegnandogli così come si mangiano le triglie, poi voltò le
spalle e se ne andò lasciando sbigottito il povero architetto. Io
dovetti simulare una stizzosa tossicina per evitare di ridere sonoramente perché
conoscendo Rosolia, immaginai la comicissima scena.
Una
volta aveva degli ospiti a casa che ogni giorno portava a mare e mi diceva di
far loro visitare le zone più belle della costa badando di farli
divertire. Io ci tenevo a fare bella figura ed organizzai visite alle grotte,
pesche subacquee nelle zone più belle, veleggiate stupende e picnic in
spiagge irraggiungibili da terra. Tutti gli ospiti erano contentissimi e mi
riempivano di complimenti, tranne una bella ragazza che aveva più o meno
la mia età, tutte le cose che facevamo non suscitavano in lei nessuno
entusiasmo. Gli chiesi pure se avesse delle preferenze ma scosse il capo per
dirmi di no.
Anche
l’Architetto aveva notato che questa ragazza non si divertiva e mi chiese
se ne avessi scoperto il motivo e alla mia risposta negativa mi disse: Bimbo, dobbiamo prendere dei provvedimenti,
questa sera vestiti bene e vieni a casa mia , ti fermi un poco a parlare con
noi e poi chiedi sia alla ragazza che al padre il permesso di uscire con lei
per condurla nella discoteca del Santavenere. Logicamente il tutto a spese
sue. A me è preso un mezzo accidente perché non sapevo come
comportarmi, rifiutarmi sarebbe stato scortese e inopportuno, era una ragazza
bella e ricca, ma io non avevo la sfacciataggine di invitarla in quel modo e
poi cosa dovevo fare in caso di rifiuto? Sarei rimasto stecchito. Mi disse
inoltre che nel caso la ragazza avesse accettato, non dovevo fare il galletto
ma avere un comportamento educato e non invadente essendo la prima uscita
insieme, lui avrebbe garantito per me davanti al padre. Si fece subito sera e
nessuno dei pantaloni che avevo mi sembravano adatti e nemmeno le magliette si
abbinavano, tantomeno le scarpette. Rivoltai casa e litigai con mia madre che
non capiva tutta quell’agitazione. Andai infine al Porto nella boutique
dove c’era Liliana, una mia amica e la pregai di darmi un pantalone
decente ed una maglietta aderente in sintonia col pantalone. Mi fece la piega
al pantalone seduta stante, anche se provvisoria, e mi abbinò una
maglietta di marca che mi stava benissimo. Gli promisi che l’avrei pagata
al più presto, la ringraziai e mi andai a fare gli ultimi ritocchi a
casa. Ne uscii con i capelli bagnati e con il cuore che voleva uscirsene dal
petto. Arrivai un paio di volte vicino la porta ma me ne tornai, una volta mi
sembrava troppo presto, un’altra mi ero dimenticato cosa dire, infine mi
feci coraggio e bussai. Mi aprì Rosolia e mi condusse nel salotto dove
c’erano tutti, accennai ad un sorriso, dissi buona sera e mi sedetti
vicino l’Architetto. Da come mi guardavano divertiti capii che
l’architetto mi aveva spianato la strada, facemmo un po' di conversazione
e poi, visto che non accennavo all’invito fu lui a dire che sulla barca
avevo espresso il desiderio di uscire con la ragazza ed era una buona idea
perché quella sera in discoteca c’era una festa simpatica. Sia il
padre che la ragazza acconsentirono e dopo poco uscimmo insieme. Che emozione,
me la mangiavo con gli occhi tanto era bella e ben vestita. Per prima cosa la
convinsi a fare un giro sul Porto per farmi vedere dagli amici e poi andammo
alle Ginestre, la discoteca del
Santavenere che era bellissima. Quella sera feci bella figura perché
conoscevo un paio di ragazzi del complesso musicale che suonavano dal vivo, I Lupi si chiamavano e la ragazza si liberò
dal magone e si divertì un sacco. La riportai a casa che erano le due
passate e dalla discoteca fino ai gradini di casa la condussi per mano, la
salutai dandogli un bacio sulla guancia. Le luci in casa dello architetto erano
ancora accese.
Passai
quattro o cinque anni a bordo della Castrocucco,
anni che ricordo con grande piacere perché mi hanno maturato e mi hanno
dato modo di fare esperienze bellissime e conoscere e frequentare personaggi di
primo piano.
Anche
i miei genitori erano contenti perché quando gli raccontavo le mie
esperienze mi dicevano sempre un proverbio: Mettiti
sempre con quelli migliori di te e fanne anche le spese.
Un
giorno, mentre navigavo speditamente con
L’Architetto
durante i mesi invernali soleva tenere la barca in un cantiere di Salerno dove
faceva fare la manutenzione al motore e tutti i lavori di rimessaggio. Io ero
l’incaricato sia del viaggio di andata che del ritorno nonché
della assistenza ai lavori in cantiere. Logicamente trasformavo questi
trasferimenti in mini crociere, tanto era il divertimento che provavo nel
navigare e spesso portavo con me degli amici coi quali dividevo lavoro e
divertimento, tutto a spese dell’Architetto che in queste occasioni era
brillante.
Il
mio cruccio con l’Architetto stava nel fatto che quando veramente
c’era il vento forte per navigare a vela, lui non voleva uscire
perché soffriva di mal di mare e diceva che il suo sogno era: Vento forte e mare calmo, evento che si
verificava solo raramente.
L’evento
che invece lo contrariò moltissimo e che gli fece cadere dal cuore
Maratea fu che dopo il 15 di agosto, la sua casa fu invasa da una grande puzza
di olio fritto. Al Porto il 15 agosto l’Azienda di Soggiorno e Turismo
organizzava
Malgrado le denunce fatte, ciò accadde anche gli anni successivi e quindi l’architetto fu costretto ad andarsene dopo ferragosto facendo diventare i suoi ritorni sempre più radi.