Cenzino

di Aldo Fiorenzano

“Ma cu a dittu ca a Santuiannu fa caudu?” Così solevamo dirci quando l’ennesima ondata ci copriva e noi dovevamo agguantarci agli scogli  per non essere trascinati in mare con tutta la canna che tenacemente serravamo tra le mani. Solo se il mare era abbastanza mosso  a Santoianni era possibile pescare le occhiate grandi e noi, quando le altre barche rientravano per il mare mosso,  uscivamo, ormeggiavamo la barca nella cala di terra e, pieni di stroglie, dovevamo fare quasi il periplo dell’isola per raggiungere la posta delle occhiate che era  nella parte a ponente della punta di fuori. Le stroglie erano le canne, i secchi con il richiamo, la busta con l’esca, le bottiglie dell’acqua , la busta con i panini e la scatola con tutti gli attrezzi da pesca. Dovevamo indossare i pantaloni lunghi e le calze per sopravvivere ai morsi delle pulci che a migliaia coloravano le nostre gambe di nero.

Una volta raggiunto il posto, dopo aver depositato tutto l’armamentario in una conca lontana dagli spruzzi, procedevamo a  “ camiare “ buttare cioè il richiamo a mare che consisteva in una miscela di pane, formaggio, pomodori, crusca  e scorze di pancarrè che avevamo usato per fare la pasta che era l’esca speciale per pescare le occhiate. Mentre la pastura gettata in mare faceva il suo effetto di  richiamo, noi  procedevamo ad armarci la canna con la massima cura, consapevoli che se qualche pesce si sboccava avrebbe spaventato il branco e quindi  nessun pesce avrebbe più abboccato  per parecchio tempo. Questi erano i momenti migliori per noi, il punto era stato raggiunto, il richiamo faceva già saltare le occhiate sulla superficie schiumosa delle onde che si frangevano sull’isola e noi eravamo pronti a pescare.    Dovevamo badare accuratamente  a dove ci posizionavamo perché era veramente pericoloso farsi prendere da un’ondata perché gli scogli sull’isola sono appuntiti e questa ,frange  violentemente  alzando spruzzi  molto violenti. Bisognava pescare proprio nelle turbolenze delle onde perché solo lì le occhiate perdono la loro proverbiale diffidenza e abboccano strattonando violentemente la canna. Era una emozione continua, tra occhiate che abboccavano, marosi che ti spruzzavano in faccia e il tentativo di dirigere l’occhiata abboccata verso la conca che ci permetteva di  toglierla dall’amo per gettarla finalmente nel secchio. Spesso ci dovevamo aiutare a vicenda per guadinare le occhiate più grosse per non rischiare di perderle, ma questa pratica non ci faceva piacere perché ci distoglieva dal pescare e cercavamo sempre di cavarcela da soli. Dopo una mezz’ora di pesca concitata le occhiate sparivano e noi facevamo  la posta , lasciavamo cioè che l’esca raggiungesse il fondo del mare e spesso abboccava qualche sarago o qualche salpa, più raramente qualche cefalo . Quando anche la pesca da posta non produceva più frutti, allora facevamo una pausa, guardavamo il pesce pescato, facevamo qualche commento e subito dopo prendevamo il  panino con la mortadella e lo divoravamo  con grande goduria, io bevevo la birra e Cenzino l’acqua minerale fredda. Finito il rito del panino ributtavamo in acqua altro richiamo, camiatoio lo chiamiamo e, mentre questo richiamava il branco di occhiate, noi rifacevamo le lenze, danneggiate dai denti del pesce pescato. Quando ricominciavamo a pescare , ricominciavano anche le scariche di adrenalina.  Qualche volta abboccavano due occhiate in contemporanea ed era una bella lotta per portarle in secco, spesso una si perdeva con grande disappunto ed imprecazioni  sia mie che di Cenzino. A fine pescata il secchio era sempre pieno e pesante e la sfacchinata per raggiungere la barca era sempre più grande. Spesso capitavamo sull’isola quando i gabbiani vi avevano nidificato ed iniziava un concerto di  lamenti  che continuava per tutta la pescata e se per caso passavamo vicino un nido con i piccioni di gabbiani, le madri ci attaccavano sfiorandoci a grande velocità. Arrivati al porto andavamo direttamente davanti all’officina di Cenzino e ci dividevamo il pesce secondo la tecnica di : uno a me e uno a te. Poi lui lo regalava ai suoi amici ed io riscendevo al porto e lo regalavo ai miei amici, uno in particolare, Romano che era sempre presente nella spartizione.     Per  tanti anni è durato  questo pescare con Cenzino   in punti della costa considerati  estremi per la difficoltà che c’era per raggiungerli, in particolare ad Aquafredda e a Valle d’acqua nei pressi  di Castrocucco . Ma questo fa parte del passato recente.  Un male incurabile in poco tempo  ha distrutto la resistenza  di Cenzino e a nulla sono serviti  gli interventi chirurgici e le terapie .

Quando passo vicino l’isola di Santoianni, vicino Acquafredda e vicino Valle d’acqua provo una stretta al cuore, mille pensieri e mille ricordi mi attanagliano la gola, quante storie belle vissute insieme, quanti  discorsi  fatti pescando e quanti lunghi silenzi ci facevano compagnia .

Non ho avuto ancora il coraggio o la voglia di riandare a pescare in quei  luoghi ne da solo ne  con altri consapevole che nulla  potrebbe essere come prima, ma quando ci passo  mi pare ancora di vederti, con la canna in mano, imprecare contro quell’occhiatona che ti aveva  fregato e risentirti ancora una volta dire…  “ ma cu a dittu ca a Santuiannu fa caudu?

Il mare ha  di questi miraggi.

 

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