Mario Brando
Incontrai
l’ultima volta Mario Brando, fotografo, quando aveva circa 92
anni. Parlammo lungamente della sua attività professionale e di Maratea. Dal
suo dire pacato, lucido e lineare, traspariva la
corposità di una vita intensamente vissuta in qualità di attore testimone,
documentatore e archivista della vita della nostra comunità. Nel susseguirsi
dei ricordi, una certa tristezza velava il suo dire, ma nello stesso tempo la
coscienza di avere nei suoi archivi, accuratamente ordinati, la storia di quasi
150 anni di immagini
di Maratea lo inorgogliva. Si, di quasi 150 anni, perché Mario Brando,
deceduto nel 1989 all’età di 94 anni, fu un vero figlio d’arte.
Il padre Aquilino, nato nel 1864, fu tra i primi in Lucania
a dedicarsi all’arte della fotografia, e ad aprire, cosa rara nella regione,
nella seconda metà dell’ottocento uno studio fotografico a Maratea.
La fotografia all’epoca compiva i suoi primi passi e Aquilino
fece sue le tecniche, proprie della seconda metà dell’800 del Disderi che con la sua carte
da visite aveva fatto della fotografia e in particolare del ritratto un
bene fruibile da tutti gli strati sociali.
Alla scuola del padre, Mario, nato nel 1904, apprese tale
arte che diventerà il suo lavoro e la sua passione e che ne farà, grazie al suo
archivio, il depositario del costume e della vita non solo di Maratea ma di
tutto il circondario.
Le foto di Aquilino e di Mario fino ai primi decenni del 900
non si discostano come impostazione dalle tante prodotte da rinomati studi di
grandi città. Donne, madri, spose si pongono alla memoria familiare
altere, impettite, asessuate, spesso accanto ad uno sposo anch’esso
statuario o al centro di numerose e ben ordinate famiglie. I loro atteggiamenti
e i loro volti di norma precocemente sfioriti, sembrano non aver conosciuto né
femminilità né grazia, ma solo virtù, lavoro, sacrificio, riproponendo
i freddi canoni che la storia, la società e la cultura del tempo ha loro
assegnato.
A Maratea, come a Napoli o a Torino, sfilerà davanti ad una ingombrante macchina fotografica una umanità varia,
disposta comunque a sintetizzare nel tempo di uno scatto la propria immagine
ideale, sintesi simbolica di uno stato non vissuto, quanto recitato, tra
accessori e scenografie, per l’occasione, davanti all’obiettivo. Si veniva a
ripetere così, nel piccolo, anche in periferia, quel cliché fatto proprio dalla
borghesia illuminata che a livelli più alti, con la fotografia, aveva trovato il
modo di proporsi come immagine definitiva.
Attraverso le immagini dei Brando è tutta Maratea che rivive
la sua vita nei volti della sua gente con le loro pulsioni religiose, politiche
e sociali.
Il lavoro, il mutamento dei gusti nell’abbigliamento e nella
cura della persona, la quotidianità, la fede, le ricorrenze, gli eventi
eccezionali che durante i decenni hanno segnato la vita della nostra comunità
sono infatti tutti scanditi con precisione temporale
nelle foto di Mario Brando, e sono oggi un patrimonio inestimabile di indagine
socio-andropologica per gli studiosi interessati alla
nostra storia. Con le foto e con le cartoline poi, che i Brando hanno prodotto
fin dai primi anni del secolo ad oggi si possono
seguire cronologicamente i mutamenti ambientali del paesaggio conseguenti alla
realizzazione delle varie opere pubbliche e la storia
dello sviluppo territoriale dei nuovi insediamenti abitativi.
Auspico che gli eredi conservino gelosamente tale
inestimabile valore.
Con i suoi occhi che tanto hanno visto e fissato nelle
immagini, Mario Brando, insieme al padre, è testimone indelebile delle nostre
gioie e dolori, speranze e delusioni: è da considerarsi il notaio, attraverso
l’immagine, almeno fino a quando la fotografia non è divenuta un bene di massa, della nostra storia collettiva ed individuale e
quindi delle nostre passioni e dei nostri sentimenti.
Per questo, Mario, chi ha cuore non ti dimenticherà.