Industria e turismo al Sud nell’esempio di Rivetti
Ingenue speranze e forti delusioni
in uno spaccato della storia di Maratea
Ai funerali di Stefano
Rivetti, nell’ottobre scorso, si sono avute manifestazioni nelle quali, proprio
da parte di amministratori locali, sono state ripetute cose non vere con
interpretazioni di comodo della vicenda dell’industrializzazione
nella nostra zona, e, dando fondo alle risorse di piaggeria tipiche di certo
personale politico che si caratterizza per subalternità culturale, se non
civile, è stata scritta una brutta pagina.
Per avere un’idea del
discorso pronunciato nell’occasione dal Sindaco, per esempio, basterà leggere
il manifesto (riprodotto in questa pagine) attribuito ad
un ipotetico cittadino qualunque, che
ha costituito in effetti la traccia della suddetta ispirata orazione funebre (riprodotta poi nel bollettino
dell’Amministrazione ad edificazione del pubblico). Come si può vedere, c’è
ancora chi, ai nostri giorni, confonde investimenti industriali sostenuti da
finanziamenti pubblici con la beneficenza privata e, con mancanza di gusto, avvolge di spirito religioso anche le attività speculative.
In verità, l’intervento della
famiglia Rivetti a Maratea è stato già studiato e raccontato in tempi non
sospetti per quello che effettivamente era, sicché una sintetica
ripresentazione - come questa che ci accingiamo a fare - vale piuttosto come
segnalazione per lettori più giovani, oltre che doverosa testimonianza, a
fronte della avvilente retorica e piaggeria di alcuni rappresentanti del
declassato potere locale.
La vicenda comincia negli
anni ‘51-52 quando un industriale distinto, alto, accompagnato dal capo dei
vigili urbani, incontra sul cantiere della villa comunale, dove dirige i
lavori, il sindaco di Maratea, Biagio Vitolo.
Questo
è l’inizio di un confronto impari, fra due mondi, uno
semplice, fatto di espedienti per superare le mille difficoltà che
quotidianamente si frappongono sulla via di una Amministrazione protesa verso
il progresso, e quello di chi ha lungamente ideato un progetto economico a
breve e lunga scadenza sul nostro territorio..
Stefano
Rivetti, in paese subito conosciuto come il
Conte, cala in una comunità in cui, come risulta
dal censimento del 1951, il 36,4% dei cittadini è dedito all’agricoltura, il
34,7% all’industria, il 9,7% impiegato nella pubblica amministrazione.
L’agricoltura condotta con
metodi primitivi coinvolge prevalentemente nuclei familiari interi, sul loro
fazzoletto di terra.
Quella che figura come
industria è rappresentata quasi totalmente dalla attività
edilizia, peraltro non costante, con una piccola frangia di artigiani, mentre nel
settore terziario quasi totalmente sono occupati i commercianti al minuto. La
popolazione non attiva risulta essere al 22,2% considerando i
residenti dai dieci anni in su. In questa fascia è inclusa la fetta dei
disoccupati.
I consumi, dato il basso reddito
dei cittadini, sono ridotti pressoché all’essenziale; la condizione abitativa è
rappresentata prevalentemente da edifici a struttura tradizionale serviti da
luce, acqua, ma carenti per il resto di servizi
igienici. Discreta è la viabilità, buono l’allacciamento ferroviario.
Nonostante il clima
recessivo, in questo paese continuano a vivere le sue secolari istituzioni,
come l’ospedale, l’educandato femminile De’ Pino, mentre l’ansia di vivere si
manifesta con attività ricreative di gruppo; grazie poi all’ideatività
del sindaco Vitolo si cerca di migliorare il territorio con opere viarie e
luoghi di ritrovo, nella speranza di un futuro turistico già dà tempo auspicato
in molti.
Il Conte, espressione di una
delle più grosse famiglie di industriali lanieri, in
cerca di contributi della Cassa per il Mezzogiorno, non può strategicamente
scegliere area geografica più propizia data la bellezza del luogo e la sua
contiguità con le regioni Calabria e Campania, ciò ben auspicante per altri
finanziamenti da ottenersi da altri enti e da altre regioni.
L’anelito collettivo e
cosciente, poi, a voler progredire fa in modo che il Conte trovi una comunità
che appare matura per tale incontro, come si evidenzia a una lettera inviata al
sindaco Vitolo dal sig. Antonio Cernicchiaro (il 4
aprile 1953) il quale dice di essere disposto a cedere per le attività
produttive del Conte, a prezzo simbolico, una grossa proprietà al solo scopo di pubblico bene, essa
servirà (vi si legge), a completare
un’opera che apporterà senza dubbio il benessere ad
una intera popolazione....
Tale decisione è favorita
dalla convinzione di un immediato lancio turistico di Maratea da parte di chi
avrebbe potuto farlo in grande stile e contribuisce a
persuadere altri proprietari a cedere i loro terreni ad una cifra media di 50
lire a metroquadrato convincendoli delle buone
intenzioni del Conte.
Il Comune, retto da
maggioranza DC, cerca poi di fornirgli ogni tipo di agevolazione dimostrandogli
sensibilità e fiducia illimitata, avallata anche dalle assicurazioni dei
parlamentari più rappresentativi della Democrazia Cristiana lucana.
Il 12 luglio 1953 è annunciata al popolo di Maratea, presenti autorità comunali
e provinciali, la volontà del Conte di installare un impianto industriale a
Maratea che aprirà le porte a circa 250 apprendisti nel 1956.
L’immagine
che Stefano Rivetti cerca di dare subito di sè alla
popolazione è da una parte quella fortemente radicata
ai valori tradizionali quali famiglia e religiosità, capisaldi della cultura
locale, dall’altra quella di stampo
feudale vista però come normale e quindi accettata dalla gente. Si stabilisce
poi in un vecchio castello fatto rimodernare ed espone, si dice, una bandiera
per annunciare la propria presenza in casa.
Il tutto,
grazie anche agli atteggiamenti servili di parte del clero e di alcuni
rappresentanti della politica locale, rende più mitica la sua figura, favorendo
quel processo di esaltazione del personaggio che in parte ancora
si avverte.
Si
diffonde tra le contrade la notizia che un Missionario OMI, Padre Petrucci,
sottratto ai bisogni dei comuni mortali, alla
Torre sarebbe il direttore spirituale dei figli, mentre a Natale circolano
le calde iconografie augurali dove, in una armonia di
profili ed affetti, i suoi figli vengono raffigurati ora separatamente, ora
uniti in mistica preghiera, davanti al Bambino benedicente.
Nella
chiesetta del Gesù, poi, tutti possono constatare la
pietà del Conte, al quale non è nemmeno negata una parola nel Sacrificio della
Messa, che inizia solo quando, tra il brusio dei cittadini e la riverenza di
amministratori pronti a fargli corona, viene occupato il primo banco a lui
riservato.
Fa
scalpore poi la sua prodigalità durante la questua, nella Chiesa
dell’Immacolata, nel centro storico, quasi a ringraziare l’attenzione del
sacrestano che, alla sua vista, subito è corso, con l’approvazione del clero, ad offrirgli, in posizione di riguardo, s’intende, un
inginocchiatoio con relativo cuscino. Ciò evidentemente perché lo si considera non un semplice ricco, quanto un benefattore,
sceso dalla città del nord per il riscatto delle nostre genti, trascurando il
particolare degli oltre settemila milioni di finanziamento statale che ha
ottenuto.
Altra
precisazione utile è che il suddetto Conte non disdegna di usare la mano dura nelle
sue fabbriche, quando qualche ingranaggio
scalda o lavora male. Però, per lenire eventuali dissapori per problemi di
lavoro, fa venire i padri
gesuiti Spallone e Triva: a loro e non ai sindacati
dovranno rivolgersi gli operai. Ai quali, infatti, scrive: I padri vi saranno vicini per l’assistenza spirituale e per cercare di
risolvere i problemi inerenti alla vostra occupazione, e quelli eventuali della
vostra famiglia. Grazie a tale sensibilità,
i suoi operai potranno evitare
il contatto fuorviante con i sindacati, portatori solo di preoccupazioni e
dispiaceri al buon padre-padrone.
In questo
scenario abilmente costruito, si può sfociare in una sorta di sacralizzazione
di un uomo al quale tutto acriticamente viene concesso:
il territorio, il potere politico, e forse anche altro. Noterà Daniela Testa,
nella sua tesi di laurea all’università di Milano, proprio sul caso Rivetti (ampi stralci di essa sono
stati riportati da Basilicata nel n.
442,9/10 del ‘70), dalla quale traiamo molte citazioni, che in tal modo Rivetti
impadronitosi di mezzo paese, per non
dire di tutto, vi instaura una specie di
neo-feudalesimo a cui nessuno osa ribellarsi.
Padrone unico delle varie aziende del luogo riesce con la
complicità delle DC locale ad esser il padrone
incontrastato di ogni genere di attività: è presidente della A.A.S.T.,
commissario prefettizio dell’ospedale di zona, presidente della casa di riposo,
presidente del consorzio per il nucleo di sviluppo industriale del golfo di Policastro,
e gestore di ogni attività comunale tramite i suoi uomini piemontesi e alcuni
locali eletti al comune nella lista della DC.
Mentre su questo Uomo la stampa dei Sud tace, quella dei Nord si scioglie
in deliranti e sprezzanti analisi sociologiche antimeridionali al solo fine di
mitizzare la figura del pioniere, del
nuovo redentore delle zone depresse dei Mezzogiorno.
Montanelli
scrive: prima
che un industriale del Nord, l’ing. Rivetti, venisse a restituire questi luoghi
al loro naturale destino di ottava meraviglia del mondo, gli abitanti di
Maratea vivevano come venti secoli fa: di fichi, di pomodori, di carrube, d’uva
e di cacio pecorino.
Il Pionere,
più oltre si ribadisce, cala in una realtà dove solo le donne lavorano, mentre gli uomini
giocano solo a scopone e briscola, aggrumandosi come mosche nei caffè locali,
perché schivi, come tutti i meridionali, per un complesso di paure e abitudini
casalinghe del sole e della luce.
Si fanno
risaltare le difficoltà e gli ostacoli nei quali ogni giorno si trova questo
industriale che anziché portare i
capitali all’estero, sente l’impegno morale e nazionale di investirli al Sud
affrontando difficoltà burocratiche e tecniche enormi ma sopratutto
trovandosi di fronte a gente neghittosa, a pretese salariali senza senso, a
persone comunque non disposte ad
accettare con disciplina la dura servitù del lavoro moderno.
Tali
difficoltà non dovevano essere certo così pesanti se
l’attività del Conte si estende a largo raggio su tutta la zona con ritmo
solerte e alacre.
Si
decantano in questi articoli le fabbriche provviste di attrezzature tra le più
moderne d’Europa, ma a Maratea sembrano giungere solo vecchi telai che il
Nostro aveva in Toscana e a Biella e fatti figurare come acquistati nelle più
moderne fiere d’Europa.
Questo è
dunque il profilo dell’Uomo amato e odiato e che comunque ha segnato
direttamente nel bene e nel male la nostra storia fino al 1964.
Con le
elezioni comunali di questo anno, la quasi totalità
del popolo, stanco di servire e di subire le sue prepotenze e i suoi arbitri,
si scrolla dei suoi collaboratori servili, scacciandoli dal comune, segnando il
progressivo ridimensionamento di questo Uomo e del suo potere.
Con la
forza propulsiva dei settemila milioni avuti dallo Stato come finanziamento e
come contributo a fondo perduto il Pianeta Rivetti, quale meteora piena di
energia, si infrange sul nostro territorio creando un
cratere attivo di iniziative e progetti di cui rimarranno a distanza di un
decennio, come testimonianza di vecchia era geologica, solo i resti degradati
e corrosi.
Per la
nostra collettività, che appagate alcune esigenze fondamentali vive senza
essere stimolata dal bisogno di accelerare i tempi per risolvere i problemi
rimasti insoluti, è un’onda d’urto che investe e scuote tutti gli strati
sociali facendo intravedere nella maggioranza di essi
l’Epifania di un Eldorado a lungo sognato.
Ciò si concretizza in una globale delega al Rivetti sui programmi
di sviluppo e in un consenso totale e fiducioso.
Né può
essere altrimenti se alla promessa di un immediato sviluppo industriale e
turistico fanno subito l’apparizione numerosi cantieri dietro i quali, però,
cominciano ad incrociarsi interessi di numerose
società, le cui operazioni, spesso non chiare, sono ignorate dalla gente, e che
nel corso degli anni divengono mezzi di pressione e ricatto su una classe
politica ingenua, credulona, poco preparata a fronteggiare la nuova realtà.
Nel 1953
fra l’Istituto industriale laniero Italiano e i Rivetti, viene
istituita
Sembra che
tale scelta produttiva, che rappresenta una fase intermedia nel processo
industriale e tessile, sia stata dettata dall’urgenza che
i Rivetti hanno nel rinnovare i vecchi macchinari esistenti nei loro
stabilimenti del nord.
Con tale
operazione, infatti, possono essere acquistati, con i contributi dello Stato,
nelle più moderne fiere d’Europa, macchinari d’avanguardia destinati a Maratea,
ma che non avrebbero mai toccato il suolo lucano.
Nel
Nel 1953
altre due società:
Tale
società riesce a strappare una convenzione finanziaria con i comuni di Praia a Mare e Maratea,
sede degli stabilimenti, con la quale le suddette amministrazioni si impegnano, per concorrere ai sacrifici pecuniari che
vengono affrontati per lo sviluppo turistico del paese, a versare un contributo
per 29 anni a fondo perduto, senza l’obbligo di rendiconto, sulla sua
destinazione e rinunciando anche al diritto di poter intervenire nella stesura
dei programmi di sviluppo turistico. Tale contributo è costituito dall’80%
delle imposte di consumo sui materiali da costruzione impiegati per
l’installazione degli impianti industriali della S.p.A. Lanificio di Maratea e
società collegate per la costruzione di fabbricati ad
uso civile, nonché della imposta sulle industrie e di quelle di consumo sulla
energia elettrica, pagate dal lanificio di Maratea o da quelle società che ad
esse dovessero sostituirsi. Con quest’ultima postilla il Conte, in caso di
vendita degli impianti ad altre società, si trova ad avere un vantaggio di gran lunga accresciuto.
Se a tali
agevolazioni si aggiungono le facilitazioni fornite dai Comuni sull’acquisto
dei terreni e su altre spese come la fornitura di acqua si può notare come strumentali
e speciosi siano gli interventi della stampa del nord, nell’evidenziare le
fantomatiche difficoltà che il Rivetti etti incontra in zona.
Nel 1955 viene costituita
Non
passerà qualche anno e il vento forse strumentale, della crisi, investe
l’azienda i cui suoli vorrebbero essere sfruttati non più a scopo produttivo ma
turistico, e riesce a sopravvivere grazie al forte impegno delle forze
sindacali e politiche, ma principalmente dalla determinante
volontà di lotte degli operai, poi costituitisi in cooperativa, che più volte
all’epoca occupano la sede comunale.
Nel 1959
sorgono altre due industrie:
Nel 1960
nasce
Nel 1960
con una certa società finanziaria incremento agricoltura ed
industria con sede in Bellinzona il Conte costituisce
Nel 1965,
poi, compaiono altre due società: la turistica
Monte S. Biagio in cui compare la figlia Silvia e
Le uniche
società che sembrano godere agli occhi di tutti buona salute, il Lanificio di Maratea e
Negli
stessi anni
La cogestione tra Rivetti e l’IMI continua per alcuni anni, fra
crisi, difficoltà e problemi fino a quando, con le dimissioni di Luciano
Francolini nel 1968, il Lanificio di
Maratea si avvia a passare all’ENI. Da allora inizia il travagliato cammino
di questa industria che di volta in volta, con continui contributi dello Stato,
sopravvive cambiando padroni, non garantendo serenità e prospettive di lavoro
sicuro ai suoi dipendenti.
Rimane
all’IMI invece
Dopo poco,
anche di questa industria, in seguito a travagliati passaggi societari,
rimangono inquietanti le mura fatiscenti del capannone, con i vetri fracassati
e gli infissi divelti a testimonianza di una speranza non realizzata e di inganno perpetrato, con i soldi dei contribuenti, verso
una collettività di lavoratori desiderosa di progredire con il proprio impegno.
Negli anni
che vanno dal 1967 al
Il tutto
iniziato come il bagliore di una meteora, man mano perde la sua luminosità, tra
i labirinti di fantomatiche società e l’inerzia di una classe politica che, con
la sua compiacenza, diviene complice dei disegni fallimentari dei Conte.
Eppure nel
I tempi
però non sono maturi, la lista civica viene sconfitta.
Il popolo
però sa attendere, vuole vedere, vuole valutare e alla fine, stanco di essere
raggirato dai suoi stessi rappresentanti, per la prima ed
unica volta, nel 1964, scaccia i democristiani succubi del Conte dal Comune,
salvaguardando forse il territorio di Maratea da una nuova speculazione, questa
volta di tipo turistico, in considerazione del fatto che un Piano Regolatore,
come si dice, gestito da
Rivetti, si sta approntando.
Rivetti ha intuito le potenzialità turistiche di Maratea che subito
cerca di sfruttare, mettendo in moto meccanismi finanziari e politici di grossa
portata, per cui da molti viene considerato come lo scopritore delle bellezze
della nostra terra.
Bellezze,
al contrario, percepite da tanti figli di Maratea in
tempi difficili, quando il turismo è prerogativa di pochi, come dimostrano tra
l’altro, i numerosi articoli di P.E. Iannini sul Popolo di Roma negli anni trenta, le
inserzioni pubblicitarie di A. Cernicchiaro o gli
almanacchi di P. De Grazia, editi dalla Paravia che già nel 1927 descrivono
Maratea: come pittoresca cittadina sul
terreno e stazione balneare.
Il
conflitto mondiale, poi, con il suo retaggio di sciagure e di fame, non poteva
essere certo da stimolo per uno sviluppo socio-culturale immediatamente
orientato al turismo nel primo tempo della ricostruzione.
Con
l’avvento di Stefano Rivetti, nel 1953, si blocca tutto insieme quel lento
processo evolutivo in senso turistico della nostra comunità, ancora solo nella
fase intuitiva, definito
autoctono dagli studiosi di geografia turistica e caratterizzato da
un tipo di sviluppo lento, gestito dalle popolazioni locali nel rispetto di
quelle regole sancite dagli usi e dalle tradizioni, per cui lo sviluppo
turistico si integra con le altre attività e gli
interessi dei singoli, facendo di una collettività la protagonista dei suo
sviluppo e della sua storia.
Nè,
considerando i tempi, si può dire che a livello locale manchino le idee per
avviare un discorso turistico, anche se queste non trovano credibilità
nelle istituzioni, non essendo ancora esploso il turismo come fenomeno sociale
ed economico.
La
costruzione di un porto turistico, la realizzazione di una seggiovia che dal
mare porti al Monte S. Biagio, l’urgenza della costruzione di strutture
recettive, e la stesura di un progetto turistico a più ampio respiro,
coinvolgente i comuni viciniori, è quanto auspicato, per esempio nei loro
articoli dai vari F. Faraco, B. Schettino, P. E. Iannini, ecc.
Con
l’avvento di Rivetti, questo processo, ancora solo nella fase dialettica, viene troncato, e si inizia quei processo di sviluppo
definibile di colonizzazione aristocratica in cui un grande
operatore, estraneo alla comunità interessata, progetta e realizza lo sviluppo
turistico di una località con una massima velocità di trasformazione
dell’ambiente e di alterazione dei rapporti sociali esistenti.
La parte
più turisticamente sfruttabile, frazionata tra numerosi proprietari, viene gradualmente acquistata da Stefano Rivetti o da
società di sua emanazione creando un vero e proprio latifondo turistico che lo
stesso si premura di fare attrezzare con varie infrastrutture a spese della
collettività, tramite le discutibili scelte dell’amministrazione comunale dove
il Rivetti non entra in prima persona
ma attraverso servizievoli collaboratori che
ricoprono i posti chiave nell’amministrazione comunale, facendo in modo che
il territorio sia coordinato negli
interventi e risponda alla stessa unica logica, ciò mentre i cittadini nel
1961 scendono per la prima volta in piazza per protestare contro l’esoso
aumento della tassa di famiglia, inalberando cartelli sui quali si legge
significativamente: vogliamo la libertà
del popolo di Maratea, via i
prepotenti dal nostro paese e si evidenzia paradossalmente il fenomeno del
pendolarismo per mancanza assoluta di edilizia popolare.
Ci si pone
all’epoca la domanda se è veramente un fatto positivo che un industriale operi
in maniera incontrastata, in una zona vergine, producendo profonde modifiche
sia dal punto di vista ambientale che sociale o se è più giusto che gli
strumenti di controllo governativo giochino il loro ruolo di intermediari tra
l’iniziativa privata e il pubblico interesse come la necessaria pianificazione
e identificazione delle aree industriali e turistiche.
Tale
interrogativo viene posto mentre al comune di Maratea
si dice che per il piano regolatore ci
avrebbe pensato il Conte e che anzi lo stesso sarebbe stato progettato nei
suoi studi di Firenze, ed adottato dall’Amministrazione che sarebbe scaturita
dalla elezione del 1964.
Questo
disegno crolla perché in tale consultazione un popolo non curante dei ricatti
posti da chi è l’unico arbitro del diritto al lavoro scaccia i suoi uomini dal
Comune.
Da
informazioni verbali risulta che nel 1964 l’architetto Berardi, a lavori quasi
ultimati, rinuncia all’incarico per
la progettazione del piano regolatore; nel contempo è
nuovamente il Rivetti a farsi vivo con i nuovi amministratori consigliandoli di affidare altro
incarico ad una società specializzata nel settore:
La nuova
Amministrazione, scaturita dalla vittoria della lista civica Sveglia, rifiuta tale indicazione, attua
con i suoi tecnici il primo piano di fabbricazione del comune e fa suo il
decreto ministeriale del 24 maggio 1966 il quale, ai sensi della Legge 29
giugno 1939 n° 1497, vincola tutta la fascia costiera Tirrenica della Lucania
perché costituisce con le sue insenature,
le sue spiagge, le coste, i valloni, i fiumi e i monti retrostanti
una serie di quadri naturali di grande suggestività.
Nell’agosto
del 1973 poi esplode la dignità del popolo del popolo che tumultuosamente non
permette la programmazione del solito spettacolo elitario
e crea i presupposti per l’allontanamento del Rivetti, nel dicembre dello
stesso anno, dalla presidenza dell’Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo.
Così dopo
il fallimento della fase industriale, le manifestazioni dell’agosto 1973 creano
i presupposti politici per una politica più popolare della locale Azienda
Autonoma, che, escludendo il Rivetti, ne segna malinconicamente la scomparsa
anche dallo scenario dell’industria turistica.
Della sua politica
e dei contributi avuti per lo sviluppo turistico del posto, rimangono come
uniche testimonianze un albergo, che ben presto dovrà essere rilevato da altre
società, perché in passivo, i resti ancora visibili di un night, la disabitata
e disadorna piazza del Gesù e un Cristo alto
E’ la
stessa DC locale d’altronde, come si evince dalla delibera di Giunta n. 22 del
4 febbraio 1971, che evidenzia la
necessità di definire la linea di condotta del comune, perché non vada smarrito
l’obiettivo primario di spinta per lo sviluppo
turistico della zona, obiettivo solo in minima parte raggiunto sebbene siano
trascorsi quasi venti anni di attività sociali di società a tal fine
preposti e nonostante il comune abbia
dato un notevole con tributo finanziario sotto forma di contributo annuale.
Nella
stessa delibera si evidenzia come la legittima aspettativa
a Maratea non sia stata sempre
soddisfatta, nonostante a suo tempo, anche, alcuni cittadini abbiano messo a
disposizione i loro terreni ricevendone compensi irrisori.
Rimane
salvo e incontaminato l’incanto della nostra costiera, perché, a nostro
giudizio, Stefano Rivetti non ha avuto semplicemente il tempo di deturparla, e
non per gusto estetico, come da più parti si sostiene.
Negli anni
immediatamente posteriori al 1953, si è ancora nella fase di aggregazione
proprietaria che diviene poi un vero e proprio latifondo turistico intestato al
Conte o a società a lui vicine, ed è ancora in fase iniziale l’ampia campagna
di propaganda turistica, per cui non diviene giustificabile l’immediata
realizzazione di importanti opere recettive sulla costa.
Il moto di
ribellione istintiva popolare, che crea la debacle
elettorale della DC del 1964, prima, e poi il decreto ministeriale del 1966 che
vincola il territorio, e nella campagna elettorale del 1975 le forze della
sinistra unita, raccolte nella lista civica
Ciò in
totale disprezzo dei consistenti contributi avuti meno di dieci anni prima per
l’acquisto, la sistemazione del terreno, e la costruzione dell’Azienda PAMAFI e della protesta di tutti i
lavoratori che occupano più volte la sede del comune di Maratea con l’appoggio delle forze sindacali e politiche.
Nel
contempo la vita politica locale diviene
più articolata, e con i vari apparati di partito, che a livello regionali li
sostengono, crea una rete che comunque riesce ad imbrigliare i sussulti
speculativi del Conte.
Stefano
Rivetti infatti sogna la creazione di grossi
insediamenti sui terreni costieri di cui è in gran parte proprietario e ne
parla anche di recente con esponenti di rilievo della DC Potentina, con uomini
così detti di prestigio.
Ci
riferiamo, infatti, ai progetti di una fantomatica nuova organizzazione ingegneristica s.r.l. di Roma la quale prevede
la costruzione di altri porti oltre quello esistente
sui
Campi di
golf, maneggi, passeggiate ecologiche completano tale progetto, senza nessuna
considerazione e rispetto del popolo di Maratea che oltre a venire
espropriato, così, del suo territorio e della sua costiera, non avrebbe altra
scelta economica se non quella di servire.
In tale
piano, per realizzare i diciassettemila
posti-mare vengono considerati perfino i metri
quadrati o lineari da riservare sulla costiera ad ogni bagnante (15 mq. o un
metro lineare) secondo una arida logica di profitto che mortificherebbe il
turismo.
L’irrecuperabile,
per fortuna, sul nostro territorio, per una serie di circostanze, non è
avvenuto.
Sta ora
alla sensibilità politica locale e regionale fare in modo che i cittadini
locali si inseriscano su quanto in precedenza si è
fatto, recuperando il tempo perduto, in una logica di sviluppo imprenditoriale
orizzontale, l’unica in grado di porre le basi per una economia turistica
stabile e che nello stesso tempo faccia degli abitanti del luogo i protagonisti
e i padroni del proprio sviluppo, nel rispetto della loro storia e delle loro
tradizioni.