Dal libro di Sergio De Nicola:
Maratea … parliamone ancora

La solarità del Golfo di Policastro

negli scritti di Angelo Guzzo

E’ tutta la magia del Golfo di Policastro, con i suoi colo­ri, con i suoi profumi, con le sue storie e con i suoi miti che rivive nelle pagine delle numerose pubblicazioni di Angelo Guz­zo.

Tra le case addossate l’una all’altra, quasi per sostenersi e farsi forza per far fronte al con­trasto dei secoli, come in una sua poesia li descrive la poetessa Maria Antonietta Mordente, emergono sagome silenziose di uomini senza tempo, trasfigurati da una ras­segnata fatica e dai cui occhi, fissi nell’infinito, traspaiono storie antiche nate tra le spume del mare, tra le vele sospinte dal vento e sui riflessi iride­scenti di infocati tramonti.

Sono storie di uomini, quelle raccontate, la cui vita nasce e si confonde con una natura incontaminata, tra numerosi pic­coli discreti agglomerati, che hanno per culla il mare e il di­segno discreto di una cultura semplice, spontanea e rispet­tosa dei luoghi.

 Le multiformi emergenze naturali, di cui è ricca la tellurica conformazio­ne del golfo, fanno raggiungere alla prosa di Angelo Guzzo momenti di lirica bellezza, co­me quando, scendendo dallo svincolo autostradale di Lagonegro, dopo numerosi tornanti tra uliveti nodosi, querceti seco­lari, carrubi frondosi e aromatiche mortelle, gli appare la calma bellezza del golfo e la sua Sapri adagiata come una divinità mitologica su una splen­dida baia lunata.

 La visione ampia del gol­fo, nel cui incanto, in una dila­tazione interiore, il concetto del tempo e la limitatezza degli spazi sfuma, ne stimola la fan­tasia e il cuore ed ecco che ai suoi occhi il favoloso bastione di Palinuro gli appare simile ad un gigantesco cetaceo a ri­poso mentre speroni rocciosi, simili a baluardi calcarei, di­fendono fazzoletti di case dis­tesi al sole della marina (...) fra giardini fioriti, orti placidi e gonfi in una esplosione di rose e di bouganville che ne ricamano balconi, terrazze, portali e facciate spesso corrosi dalla salsedine e dal tempo.

Che dire, poi, dei numerosi paesi, arroccati sui monti, che dal Cristo di Maratea al faro di Palinuro, a raggiera si affaccia­no sul golfo.

 Qui sono le case tenacemente abbarbicate ai pendii, quasi a non volersi più staccare da una terra che li ha accolti per sfuggire in molti ca­si ai predoni del mare, le chie­se, le piazzette, i vicoli stretti e contorti dove si insinua il vento che corre sui monti, a ricordare al suo cuore da una parte lotte e passioni di feuda­tari e vecchi signori e dall’altra la fede e il lavoro di una uma­nità laboriosa.

Da questi paesi Angelo Guz­zo ammira ... laggiù le asso­late marine del golfo e una serie di colline che degradano dolci, ferite di tanto in tanto da valloni aspri come il senso del­la vita della gente che vi ha vissuto e che ancora oggi sembra voler nascondere la propria identità difendendo una privacy che data di se­coli se non di millenni. Coglie nei monumenti, nei luoghi di culto, nelle case di pietra e cal­cina il senso della pazienza e dell’attesa di uomini sui cui volti appare la fierezza della civiltà contadina e 1a compo­stezza di silenzi atavici che evocano storie scritte col san­gue e pertinaci resistenze.

Quelle pietre, espressione della memoria, come li defini­sce G. Appella, in una terra per certi versi ancora immobile e solenne, continuano ancora oggi a far rivivere dolcezze e ama­rezze antiche, storie e vicende collettive suscitando momenti di incontro, di pause, di autoa­nalisi e riflessione.

 In questo contesto, nelle notti stellate, mentre in solitario languore, ci si affaccia su questo mitico ma­re del golfo, ci sembra di ascol­tare, come un’eco lontana, so­spinto dal vento, l’antico pian­to della ninfa Camerota, tra­sformata in rupe per aver rifiu­tato l’amore di Palinuro che continua, con i riflessi delle si­stoli luminose del suo cuore,* ancora a cercarla fra le onde del mare.

 

 Da “Il Sirino” Aprile 2001 

 *Bagliore intermittente del faro di Capo Palinuro

 

 

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